Quando l’arte fotografa l’arte. Pittori e scultori negli scatti della Rivista Pirelli
“La fotografia di un’opera d’arte – architettura, scultura e anche pittura – è già una presentazione critica dell’opera. È sempre un’interpretazione”. Così sentenzia il critico d’arte Guido Ballo – opinione condivisa anche dal fratello Aldo, il cui lavoro era teso a “interpretare l’oggetto, restituirgli l’anima” – come si legge in un articolo del 1950 della Rivista Pirelli. Un periodico sulle cui pagine, attraverso le voci di studiosi come Giulio Carlo Argan e Gillo Dorfles, il tema delle arti figurative e il loro rapporto con l’obiettivo fotografico assumono un ruolo di primo piano. Al centro degli scatti c’è soprattutto il patrimonio artistico del Belpaese. Nel 1963 l’azienda pubblica un calendario dedicato ai rosoni più spettacolari delle chiese italiane: le facciate di San Zeno a Verona e di Santa Chiara ad Assisi, tra le altre, vengono riprese da Paolo Monti e pubblicate sul magazine, in una dedica visiva alla cultura architettonica nazionale. Anche Pepi Merisio esplora le bellezze del nostro Paese, dalle ville rinascimentali della campagna lombarda alle più importanti cupole della cristianità, allargando il suo sguardo anche alla Città del Vaticano: le immagini raccontano la vita quotidiana all’interno degli appartamenti pontifici – tra parate, visite di Stato e cerimonie officiate sotto la volta della Cappella Sistina – e della Basilica di San Pietro; l’equilibrismo di un Sanpietrino durante la pulizia della Gloria del Bernini domina la copertina dell’ultimo numero del 1967, in un dinamismo vertiginoso di grande impatto. Dai tesori del passato alle ultime tendenze della contemporaneità: nel 1970 Giuseppe Pino fotografa le operazioni di wrapping del monumento a Vittorio Emanuele II a Milano, con il sollevamento sopra la scultura del tessuto in polipropilene fissato attraverso una fune, scattando poi dalle terrazze del Duomo l’esito dell’operazione artistica di Christo e Jeanne-Claude, durata solamente due giorni, tra proteste e atti vandalici.
L’obiettivo non è puntato solamente sul capolavoro, ma anche sul suo artefice. Già nel 1950, Aligi Sassu viene ritratto sulla Rivista in sella alla sua bicicletta da corsa: secondo l’artista di Corrente, la passione per il mondo del ciclismo è fondamentale nel suggerirgli forme e colori, strappati “alla velocità, al vento delle discese e alla polvere acre delle provinciali” e utilizzati nelle ceramiche e negli oli, esito della sua esperienza cicloartistica. Un’intera generazione di pittori e scultori passa invece sotto l’occhio critico di Ugo Mulas, il “fotografo degli artisti”, il quale non si limita a riprodurre l’opera in sé, ma ne indaga il contesto, il processo di creazione, interagendo con la scena e diventandone parte. Tra i suoi ritratti più iconici, quello di Lucio Fontana del 1964 – pubblicato sulla Rivista l’anno successivo e ancora nel 1968, anche se già nel 1952 un suo “Concetto spaziale”, utilizzato in una delle trasmissioni sperimentali della RAI, era apparso sulle pagine del magazine – durante l’esecuzione di una delle sue celebri “Attese”. In realtà la sequenza è una messa in scena, in quanto l’artista decide di non operare davanti all’obiettivo, simulando invece, con il suo Stanley alla mano, davanti a tele integre o già tagliate. “È il momento in cui il taglio non è ancora cominciato e l’elaborazione concettuale è invece già tutta chiarita”: nelle parole di Mulas emerge la comprensione dell’operazione intellettuale di Fontana, della non impulsività del suo gesto artistico, dell’importanza dell’attimo sospeso che precede l’azione. Al centro degli scatti di Mulas c’è anche Henry Moore, di cui si documenta nel 1965 la realizzazione de “L’arciere”, scultura dalle superfici curve e levigate, rese con pienezza dal marmo bianco. Dal modello in gesso alla scelta del singolo blocco calcareo a Querceta – quasi un complesso rito religioso, portato a termine grazie anche all’aiuto degli artigiani locali – fino alla lavorazione del materiale nello studio di Forte dei Marmi. Mulas registra tutto: la tensione creativa, la fatica fisica e il saper fare dello scultore inglese, l’atto che dà forma all’informe. Sono tanti gli artisti ripresi dal fotografo di Pozzolengo: nel 1968 Giovanni Pintori è protagonista di un intimo reportage a Bocca di Magra; nel 1970 è con Alexander Calder tra guazzi, ludici mobiles e i più colossali stabiles, mentre l’anno dopo coglie “la musica di linee, di rapporti, di pieni e vuoti” trasmessa dall’opera di Fausto Melotti.
Tra il 1954 e il 1972, Mulas realizza inoltre una serie sulla Biennale di Venezia, cristallizzando la scena artistica internazionale di un’epoca. Tra le edizioni documentate sulla Rivista, quella del 1962, con Giò Pomodoro, Giuseppe Capogrossi e Alberto Giacometti, la cui reazione all’assegnazione del Gran Premio della scultura raggiunge la copertina. Le sue immagini delle Biennali spesso accompagnano la rubrica “Pretesti e appunti”, firmata dallo storico e critico dell’arte Franco Russoli, che esamina la contestata edizione del 1964: la vittoria di Robert Rauschenberg, fotografato da Mulas davanti al suo Studio Painting, rappresenta la definitiva consacrazione della Pop Art americana.
La fotografia immortala inoltre gli artisti alle prese con i prodotti della “P lunga”. Lo scultore Sante Monachesi contempla alla Galleria Astrolabio di Roma la sua opera in spago e resina poliuretanica espansa della Pirelli-Sapsa, denominata commercialmente “Levior”; una scultura leggera, effimera e allo stesso tempo monumentale, evoluzione storica del ready-made di ispirazione dadaista. Anche il pneumatico stesso diventa opera d’arte. Come il Cinturato Tractor Agricolo, esposto nella mostra fiorentina “Forma e Verità”, ideata nel 1966 dall’architetto Lorenzo Papi con lo scopo di dimostrare, tramite oggetti disparati, che l’arte origina sempre dalla quotidianità della vita. Nella mostra si trovano inoltre disegni di Alvar Aalto, lo scheletro della Ferrari “Dino” e un modellino del Grattacielo Pirelli. Nel 1969, all’interno di una serie di incontri tra arte e tecnica promossi dalla Galleria del Naviglio di Milano, uno stampo per coperture è presentato in un originale accoppiamento: insieme al “Giardino Futurista” di Giacomo Balla, l’oggetto assume una dimensione nuova, mostrando, come affermato nel catalogo, la bellezza nascosta “che può scaturire dalle costrizioni formali di uno strumento di lavoro, purché qualcuno ci aiuti a vederla”.
Anche le attività del Centro Culturale Pirelli sono al centro dell’obiettivo fotografico: tra le iniziative relative alle belle arti ci sono conferenze, mostre personali dei dipendenti dell’azienda, itinerari artistici nei principali centri della Penisola ed esposizioni curate dal Centro, dal Medioevo alla contemporaneità: tra queste, una dedicata nel 1967 a Franco Grignani, ripreso mentre illustra ad alcuni visitatori le sue opere allestite negli spazi del Grattacielo, in un percorso che permette di seguire la sua evoluzione dalle prime ricerche del 1950 alla piena maturità. Queste rassegne sono espressione dello stretto rapporto tra Pirelli e gli artisti; un legame che continua ancora oggi, con alcuni dei più importanti nomi internazionali chiamati a collaborare con l’azienda.
“La fotografia di un’opera d’arte – architettura, scultura e anche pittura – è già una presentazione critica dell’opera. È sempre un’interpretazione”. Così sentenzia il critico d’arte Guido Ballo – opinione condivisa anche dal fratello Aldo, il cui lavoro era teso a “interpretare l’oggetto, restituirgli l’anima” – come si legge in un articolo del 1950 della Rivista Pirelli. Un periodico sulle cui pagine, attraverso le voci di studiosi come Giulio Carlo Argan e Gillo Dorfles, il tema delle arti figurative e il loro rapporto con l’obiettivo fotografico assumono un ruolo di primo piano. Al centro degli scatti c’è soprattutto il patrimonio artistico del Belpaese. Nel 1963 l’azienda pubblica un calendario dedicato ai rosoni più spettacolari delle chiese italiane: le facciate di San Zeno a Verona e di Santa Chiara ad Assisi, tra le altre, vengono riprese da Paolo Monti e pubblicate sul magazine, in una dedica visiva alla cultura architettonica nazionale. Anche Pepi Merisio esplora le bellezze del nostro Paese, dalle ville rinascimentali della campagna lombarda alle più importanti cupole della cristianità, allargando il suo sguardo anche alla Città del Vaticano: le immagini raccontano la vita quotidiana all’interno degli appartamenti pontifici – tra parate, visite di Stato e cerimonie officiate sotto la volta della Cappella Sistina – e della Basilica di San Pietro; l’equilibrismo di un Sanpietrino durante la pulizia della Gloria del Bernini domina la copertina dell’ultimo numero del 1967, in un dinamismo vertiginoso di grande impatto. Dai tesori del passato alle ultime tendenze della contemporaneità: nel 1970 Giuseppe Pino fotografa le operazioni di wrapping del monumento a Vittorio Emanuele II a Milano, con il sollevamento sopra la scultura del tessuto in polipropilene fissato attraverso una fune, scattando poi dalle terrazze del Duomo l’esito dell’operazione artistica di Christo e Jeanne-Claude, durata solamente due giorni, tra proteste e atti vandalici.
L’obiettivo non è puntato solamente sul capolavoro, ma anche sul suo artefice. Già nel 1950, Aligi Sassu viene ritratto sulla Rivista in sella alla sua bicicletta da corsa: secondo l’artista di Corrente, la passione per il mondo del ciclismo è fondamentale nel suggerirgli forme e colori, strappati “alla velocità, al vento delle discese e alla polvere acre delle provinciali” e utilizzati nelle ceramiche e negli oli, esito della sua esperienza cicloartistica. Un’intera generazione di pittori e scultori passa invece sotto l’occhio critico di Ugo Mulas, il “fotografo degli artisti”, il quale non si limita a riprodurre l’opera in sé, ma ne indaga il contesto, il processo di creazione, interagendo con la scena e diventandone parte. Tra i suoi ritratti più iconici, quello di Lucio Fontana del 1964 – pubblicato sulla Rivista l’anno successivo e ancora nel 1968, anche se già nel 1952 un suo “Concetto spaziale”, utilizzato in una delle trasmissioni sperimentali della RAI, era apparso sulle pagine del magazine – durante l’esecuzione di una delle sue celebri “Attese”. In realtà la sequenza è una messa in scena, in quanto l’artista decide di non operare davanti all’obiettivo, simulando invece, con il suo Stanley alla mano, davanti a tele integre o già tagliate. “È il momento in cui il taglio non è ancora cominciato e l’elaborazione concettuale è invece già tutta chiarita”: nelle parole di Mulas emerge la comprensione dell’operazione intellettuale di Fontana, della non impulsività del suo gesto artistico, dell’importanza dell’attimo sospeso che precede l’azione. Al centro degli scatti di Mulas c’è anche Henry Moore, di cui si documenta nel 1965 la realizzazione de “L’arciere”, scultura dalle superfici curve e levigate, rese con pienezza dal marmo bianco. Dal modello in gesso alla scelta del singolo blocco calcareo a Querceta – quasi un complesso rito religioso, portato a termine grazie anche all’aiuto degli artigiani locali – fino alla lavorazione del materiale nello studio di Forte dei Marmi. Mulas registra tutto: la tensione creativa, la fatica fisica e il saper fare dello scultore inglese, l’atto che dà forma all’informe. Sono tanti gli artisti ripresi dal fotografo di Pozzolengo: nel 1968 Giovanni Pintori è protagonista di un intimo reportage a Bocca di Magra; nel 1970 è con Alexander Calder tra guazzi, ludici mobiles e i più colossali stabiles, mentre l’anno dopo coglie “la musica di linee, di rapporti, di pieni e vuoti” trasmessa dall’opera di Fausto Melotti.
Tra il 1954 e il 1972, Mulas realizza inoltre una serie sulla Biennale di Venezia, cristallizzando la scena artistica internazionale di un’epoca. Tra le edizioni documentate sulla Rivista, quella del 1962, con Giò Pomodoro, Giuseppe Capogrossi e Alberto Giacometti, la cui reazione all’assegnazione del Gran Premio della scultura raggiunge la copertina. Le sue immagini delle Biennali spesso accompagnano la rubrica “Pretesti e appunti”, firmata dallo storico e critico dell’arte Franco Russoli, che esamina la contestata edizione del 1964: la vittoria di Robert Rauschenberg, fotografato da Mulas davanti al suo Studio Painting, rappresenta la definitiva consacrazione della Pop Art americana.
La fotografia immortala inoltre gli artisti alle prese con i prodotti della “P lunga”. Lo scultore Sante Monachesi contempla alla Galleria Astrolabio di Roma la sua opera in spago e resina poliuretanica espansa della Pirelli-Sapsa, denominata commercialmente “Levior”; una scultura leggera, effimera e allo stesso tempo monumentale, evoluzione storica del ready-made di ispirazione dadaista. Anche il pneumatico stesso diventa opera d’arte. Come il Cinturato Tractor Agricolo, esposto nella mostra fiorentina “Forma e Verità”, ideata nel 1966 dall’architetto Lorenzo Papi con lo scopo di dimostrare, tramite oggetti disparati, che l’arte origina sempre dalla quotidianità della vita. Nella mostra si trovano inoltre disegni di Alvar Aalto, lo scheletro della Ferrari “Dino” e un modellino del Grattacielo Pirelli. Nel 1969, all’interno di una serie di incontri tra arte e tecnica promossi dalla Galleria del Naviglio di Milano, uno stampo per coperture è presentato in un originale accoppiamento: insieme al “Giardino Futurista” di Giacomo Balla, l’oggetto assume una dimensione nuova, mostrando, come affermato nel catalogo, la bellezza nascosta “che può scaturire dalle costrizioni formali di uno strumento di lavoro, purché qualcuno ci aiuti a vederla”.
Anche le attività del Centro Culturale Pirelli sono al centro dell’obiettivo fotografico: tra le iniziative relative alle belle arti ci sono conferenze, mostre personali dei dipendenti dell’azienda, itinerari artistici nei principali centri della Penisola ed esposizioni curate dal Centro, dal Medioevo alla contemporaneità: tra queste, una dedicata nel 1967 a Franco Grignani, ripreso mentre illustra ad alcuni visitatori le sue opere allestite negli spazi del Grattacielo, in un percorso che permette di seguire la sua evoluzione dalle prime ricerche del 1950 alla piena maturità. Queste rassegne sono espressione dello stretto rapporto tra Pirelli e gli artisti; un legame che continua ancora oggi, con alcuni dei più importanti nomi internazionali chiamati a collaborare con l’azienda.