Le scelte necessarie della Ue e gli eurobond per la sicurezza, le tecnologie e l’ambiente
La stagione delle drammatiche crisi, per la Commissione Ue uscente: la pandemia da Covid19, l’aggressione della Russia in Ucraina, la guerra in Medio Oriente, la crisi energetica. E adesso una nuova stagione che si spera sia di rilancio, ripresa e investimenti, per la nuova Commissione. Resta un evidente elemento di continuità, la guida nelle mani della presidente Ursula von der Leyen. Ma c’è un orizzonte radicalmente modificato, di fronte a un bivio tra rilancio e declino. O l’Europa sarà capace di crescere come soggetto politico e industriale e definire dunque scelte di sviluppo sostenibile lungimiranti e ambiziose, per fare fronte alle sfide che vengono dai due principali protagonisti dello scenario geopolitico, gli Usa e la Cina e alle manovre di protagonismo di altri grandi attori internazionali, l’India e la Russia, i paesi arabi e tutti gli altri soggetti di un inquieto Global South oppure dovrà fare i conti con un inquietante degrado di ruolo, peso e, in fin dei conti, benessere. Diventando, insomma, un elegante, colto, sofisticato ma irrilevante Grand Hotel in cui i ricchi e potenti del mondo andranno a fare le loro vacanze (il monito è arrivato nelle scorse settimane dal “Financial Times”).
“L’Europa perde competitività e solo l’Italia tiene testa agli Stati Uniti e alla Cina”, documenta Marco Fortis su “IlSole24Ore” (27 giugno), analizzando l’andamento delle esportazioni tra il 2016 e il 2023.
Subito dopo le elezioni per il nuovo Parlamento Ue e il voto per la nuova Commissione (con il sostegno di popolari, socialisti, liberali e verdi) si è molto discusso di alleanze, accordi politici, consensi e dissensi (ha fatto scalpore il voto contrario alla von der Leyen da parte della leader di Fratelli d’Italia, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni). Ma probabilmente adesso è necessario che, schieramenti politici a parte, Commissione, Parlamento e Consiglio d’Europa indichino rapidamente le scelte da fare sui temi cruciali della nuova stagione e trovino le risorse finanziarie da mettere in campo.
I temi degli impegni da prendere sono chiari. Una politica comune della sicurezza, che dia conto della posizione Ue sulla difesa (nell’ambito Nato, ma con un ruolo più impegnativo di Bruxelles e dei paesi Ue, per controbilanciare un eventuale alleggerimento dell’impegno Usa), sull’autonomia energetica, sulle tecnologie legate alla cybersecurity. Una politica industriale, che recuperi il crescente divario di competitività nei confronti di Usa e Cina, con una strategia europea per l’Artificial Intelligence e con un nuovo Green Deal che non metta in difficoltà le imprese dei paesi europei e contenga misure che ne mitighino l’impatto dei costi. Una politica fiscale e una politica sociale che evitino le distorsioni alla concorrenza per dumping tra singoli o paesi Ue e riformino il welfare. E una politica finanziaria che faccia dell’Europa un unico, efficiente mercato bancario aperto e competitivo, in grado di attrarre investimenti internazionali e dare opportunità all’allocazione del risparmio delle famiglie e delle imprese europee.
Scelte impegnative. Ma indispensabili. Che chiedono risorse ingenti, sia per la sicurezza sia per finanziare la doppia transizione, ambientale e digitale: almeno mille miliardi all’anno per il prossimo decennio. Da trovare rafforzando il bilancio Ue, con un’espansione al 2% del Pil, anche per la creazione di “beni pubblici europei”. E da chiedere ai mercati internazionali, seguendo l’ottima scelta già fatta per il Recovery Plan Next Generation Ue, la raccolta di fondi di mercato, come debito comune Ue, o per fronteggiare là conseguenze della pandemia.
In altri termini, arriva finalmente l’ora di una strategia già elaborata da una delle intelligenze europee più acute e dotate di sguardo da statista, Jacques Delors: gli eurobond.
Ma c’è anche un’essenziale riforma di governance da realizzare rapidamente, pur nella evidente consapevolezza delle difficoltà da superare: andare oltre la regola dell’unanimità delle decisioni (mettendo fine al potere di veto di singoli paesi che bloccano accordi su cui tutti gli altri sono favorevoli) e procedere dunque con maggioranze qualificate o intese, sui vari temi, tra paesi che sono pronti ad andare avanti. Le regole istituzionali sono complesse da definire, tenendo insieme i valori della governabilità con quelli dell’uguaglianza di peso delle rappresentanze. Ma sono temi da mettere certamente in cantiere, presto ed efficacemente.
Indicazioni essenziali, da questo punto di vista, sono contenute nel rapporto preparato dal gruppo di lavoro sul mercato unico guidato da Enrico Letta (“l’Europa è molto più di un mercato”, sostiene il presidente dell’Istituto intitolato a Delors) e in quello sulla concorrenza guidato da Mario Draghi, atteso per l’autunno. Nessun protezionismo, dannoso soprattutto per un’area economica con robuste vocazioni esportatrici, come l’Europa. E invece una scelta forte su mercati aperti e competitività, innovazione e qualità dello sviluppo.
Proprio su questi temi ci sono considerazioni interessanti in una “Lettera aperta alle Istituzioni Europee” inviata a metà luglio a Ursula von der Leyen, Roberta Metsola e Charles Michel da sei autorevoli Centri Studi, il Centre for European Reform (Londra-Bruxelles-Berlino), la Fondazione Astrid (Roma), la Fondazione Res Publica (Milano), la Fundaciòn Alternativas (Madrid), Les Gracques e Terra Nova (entrambe di Parigi).
Le considerazioni di partenza parlano di “vulnerabilità strutturale” della Ue e dei suoi paesi, per dipendenza dell’economia dai mercati di altri paesi, per import (energia e materie prime strategiche) ed export e dunque per il condizionamento dall’andamento delle crisi geopolitiche. Di allontanamento dalle “frontiere tecnologiche” di Usa e Cina ma, guardando bene l’evoluzione delle varie “economie della conoscenza”, anche dell’India. Di una “avversa tendenza demografica di lungo periodo” e di una “deludente dinamica della produttività”. E di una “elevata e diffusa incidenza del debito pubblico che riduce lo spazio per le politiche espansive di bilancio in molti paesi”.
Sono vincoli stringenti, di cui non soffrono Usa e Cina. E il cui superamento richiede scelte politiche come quelle di cui abbiamo parlato.
C’è un passaggio politico impegnativo: “La Ue e i suoi Stati membri dovrebbero assumere una posizione netta per chiarire che non intendono avallare il negazionismo climatico, il mercantilismo di retroguardia, l’autarchia demografica o un ritiro dalle catene internazionali del valore che – per l’Europa – sarebbe scelta autolesionista”. Tutte strategie di corto respiro che “condannerebbero la Ue a ripiegarsi su se stessa e la condannerebbero a un’ulteriore frammentazione e irrilevanza”.
La conclusione del documento dei sei Centri Studi è molto chiara: “Sta nascendo un nuovo ordine mondiale. Se rimane una costruzione a metà, la Ue non avrà alcun ruolo nel plasmarlo. Gli Usa e la Cina sono aree economiche e politiche, la Ue non lo è ancora diventata. Un terzo grande attore globale renderebbe il sistema internazionale più stabile”.
La Ue, dunque, dovrebbe sforzarsi di “rilanciare il multilateralismo evitando quella pura logica di potere nelle relazioni internazionali destinata a peggiorare la situazione di tutti gli attori” E il Consiglio Europeo e il Parlamento devono “riconoscere questo punto cruciale e agire di conseguenza. Hanno l’opportunità di dare un segnale chiaro in questo senso e agire di conseguenza”. Rafforzare l’Europa, nonostante tutto. E giocare da protagonisti sui nuovi equilibri del mondo.
(foto Getty Images)
La stagione delle drammatiche crisi, per la Commissione Ue uscente: la pandemia da Covid19, l’aggressione della Russia in Ucraina, la guerra in Medio Oriente, la crisi energetica. E adesso una nuova stagione che si spera sia di rilancio, ripresa e investimenti, per la nuova Commissione. Resta un evidente elemento di continuità, la guida nelle mani della presidente Ursula von der Leyen. Ma c’è un orizzonte radicalmente modificato, di fronte a un bivio tra rilancio e declino. O l’Europa sarà capace di crescere come soggetto politico e industriale e definire dunque scelte di sviluppo sostenibile lungimiranti e ambiziose, per fare fronte alle sfide che vengono dai due principali protagonisti dello scenario geopolitico, gli Usa e la Cina e alle manovre di protagonismo di altri grandi attori internazionali, l’India e la Russia, i paesi arabi e tutti gli altri soggetti di un inquieto Global South oppure dovrà fare i conti con un inquietante degrado di ruolo, peso e, in fin dei conti, benessere. Diventando, insomma, un elegante, colto, sofisticato ma irrilevante Grand Hotel in cui i ricchi e potenti del mondo andranno a fare le loro vacanze (il monito è arrivato nelle scorse settimane dal “Financial Times”).
“L’Europa perde competitività e solo l’Italia tiene testa agli Stati Uniti e alla Cina”, documenta Marco Fortis su “IlSole24Ore” (27 giugno), analizzando l’andamento delle esportazioni tra il 2016 e il 2023.
Subito dopo le elezioni per il nuovo Parlamento Ue e il voto per la nuova Commissione (con il sostegno di popolari, socialisti, liberali e verdi) si è molto discusso di alleanze, accordi politici, consensi e dissensi (ha fatto scalpore il voto contrario alla von der Leyen da parte della leader di Fratelli d’Italia, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni). Ma probabilmente adesso è necessario che, schieramenti politici a parte, Commissione, Parlamento e Consiglio d’Europa indichino rapidamente le scelte da fare sui temi cruciali della nuova stagione e trovino le risorse finanziarie da mettere in campo.
I temi degli impegni da prendere sono chiari. Una politica comune della sicurezza, che dia conto della posizione Ue sulla difesa (nell’ambito Nato, ma con un ruolo più impegnativo di Bruxelles e dei paesi Ue, per controbilanciare un eventuale alleggerimento dell’impegno Usa), sull’autonomia energetica, sulle tecnologie legate alla cybersecurity. Una politica industriale, che recuperi il crescente divario di competitività nei confronti di Usa e Cina, con una strategia europea per l’Artificial Intelligence e con un nuovo Green Deal che non metta in difficoltà le imprese dei paesi europei e contenga misure che ne mitighino l’impatto dei costi. Una politica fiscale e una politica sociale che evitino le distorsioni alla concorrenza per dumping tra singoli o paesi Ue e riformino il welfare. E una politica finanziaria che faccia dell’Europa un unico, efficiente mercato bancario aperto e competitivo, in grado di attrarre investimenti internazionali e dare opportunità all’allocazione del risparmio delle famiglie e delle imprese europee.
Scelte impegnative. Ma indispensabili. Che chiedono risorse ingenti, sia per la sicurezza sia per finanziare la doppia transizione, ambientale e digitale: almeno mille miliardi all’anno per il prossimo decennio. Da trovare rafforzando il bilancio Ue, con un’espansione al 2% del Pil, anche per la creazione di “beni pubblici europei”. E da chiedere ai mercati internazionali, seguendo l’ottima scelta già fatta per il Recovery Plan Next Generation Ue, la raccolta di fondi di mercato, come debito comune Ue, o per fronteggiare là conseguenze della pandemia.
In altri termini, arriva finalmente l’ora di una strategia già elaborata da una delle intelligenze europee più acute e dotate di sguardo da statista, Jacques Delors: gli eurobond.
Ma c’è anche un’essenziale riforma di governance da realizzare rapidamente, pur nella evidente consapevolezza delle difficoltà da superare: andare oltre la regola dell’unanimità delle decisioni (mettendo fine al potere di veto di singoli paesi che bloccano accordi su cui tutti gli altri sono favorevoli) e procedere dunque con maggioranze qualificate o intese, sui vari temi, tra paesi che sono pronti ad andare avanti. Le regole istituzionali sono complesse da definire, tenendo insieme i valori della governabilità con quelli dell’uguaglianza di peso delle rappresentanze. Ma sono temi da mettere certamente in cantiere, presto ed efficacemente.
Indicazioni essenziali, da questo punto di vista, sono contenute nel rapporto preparato dal gruppo di lavoro sul mercato unico guidato da Enrico Letta (“l’Europa è molto più di un mercato”, sostiene il presidente dell’Istituto intitolato a Delors) e in quello sulla concorrenza guidato da Mario Draghi, atteso per l’autunno. Nessun protezionismo, dannoso soprattutto per un’area economica con robuste vocazioni esportatrici, come l’Europa. E invece una scelta forte su mercati aperti e competitività, innovazione e qualità dello sviluppo.
Proprio su questi temi ci sono considerazioni interessanti in una “Lettera aperta alle Istituzioni Europee” inviata a metà luglio a Ursula von der Leyen, Roberta Metsola e Charles Michel da sei autorevoli Centri Studi, il Centre for European Reform (Londra-Bruxelles-Berlino), la Fondazione Astrid (Roma), la Fondazione Res Publica (Milano), la Fundaciòn Alternativas (Madrid), Les Gracques e Terra Nova (entrambe di Parigi).
Le considerazioni di partenza parlano di “vulnerabilità strutturale” della Ue e dei suoi paesi, per dipendenza dell’economia dai mercati di altri paesi, per import (energia e materie prime strategiche) ed export e dunque per il condizionamento dall’andamento delle crisi geopolitiche. Di allontanamento dalle “frontiere tecnologiche” di Usa e Cina ma, guardando bene l’evoluzione delle varie “economie della conoscenza”, anche dell’India. Di una “avversa tendenza demografica di lungo periodo” e di una “deludente dinamica della produttività”. E di una “elevata e diffusa incidenza del debito pubblico che riduce lo spazio per le politiche espansive di bilancio in molti paesi”.
Sono vincoli stringenti, di cui non soffrono Usa e Cina. E il cui superamento richiede scelte politiche come quelle di cui abbiamo parlato.
C’è un passaggio politico impegnativo: “La Ue e i suoi Stati membri dovrebbero assumere una posizione netta per chiarire che non intendono avallare il negazionismo climatico, il mercantilismo di retroguardia, l’autarchia demografica o un ritiro dalle catene internazionali del valore che – per l’Europa – sarebbe scelta autolesionista”. Tutte strategie di corto respiro che “condannerebbero la Ue a ripiegarsi su se stessa e la condannerebbero a un’ulteriore frammentazione e irrilevanza”.
La conclusione del documento dei sei Centri Studi è molto chiara: “Sta nascendo un nuovo ordine mondiale. Se rimane una costruzione a metà, la Ue non avrà alcun ruolo nel plasmarlo. Gli Usa e la Cina sono aree economiche e politiche, la Ue non lo è ancora diventata. Un terzo grande attore globale renderebbe il sistema internazionale più stabile”.
La Ue, dunque, dovrebbe sforzarsi di “rilanciare il multilateralismo evitando quella pura logica di potere nelle relazioni internazionali destinata a peggiorare la situazione di tutti gli attori” E il Consiglio Europeo e il Parlamento devono “riconoscere questo punto cruciale e agire di conseguenza. Hanno l’opportunità di dare un segnale chiaro in questo senso e agire di conseguenza”. Rafforzare l’Europa, nonostante tutto. E giocare da protagonisti sui nuovi equilibri del mondo.
(foto Getty Images)