

Locus desperatus
Un mattino, uscendo dal suo appartamento, un uomo nota una croce sopra lo spioncino della porta di casa. Pensando a uno scherzo, la cancella. Il giorno seguente è ancora lì, e così quello successivo, e quello dopo ancora. Il segno ricompare. Implacabile. Chi può essere stato a farlo, e che significato ha? A rispondere alle sue domande saranno tre inquietanti personaggi: Asfragisto (minuto, gobbo, sgradevole), Procopio (tremebondo, storpio) e Sileno (piccolo, informe, “con la postura di un punto interrogativo”). Sarà il primo, bramoso e inquietante, a spiegare a Michele che la croce è un segno di sfratto: entro dieci giorni dovrà lasciare non solo la casa, ma anche le sue cose e la sua vita, per permettergli di prendere il suo posto (e andare a sua volta a sostituirsi a un altro). Cercando di capire cosa stia accadendo, Michele si troverà a fare i conti con il proprio passato scoprendolo diverso da come lo ricordava. Ma una cosa è certa: non lascerà casa. Difenderà la sua vita, e le sue cose, con tutte le forze, chiamando a raccolta le energie di tutti, feticci e amuleti che siano.
«Quattro tavole originali del Necron di Magnus, due del Dick Tracy di Chester Gould… una calcografia del Piranesi, altrettanto originale, una madonna lignea del Cinquecento, con tracce dell’antica doratura, l’Oca di Enzo Mari…»
Così, con un lungo elenco di oggetti che sembrano catapultare il lettore in una sorta di Wunderkammer del protagonista, si apre Locus desperatus di Michele Mari. Attraverso una narrazione al limite dell’onirico, l’autore affronta il tema della reificazione della vita e del rischio che, infondendo troppo di sé stessi nelle cose che si possiedono, si perda di vista chi si è e chi si è stati, in favore di ciò che si ha. Alle “cose”, infatti, Michele affida la propria immagine, la propria memoria e la testimonianza della sua stessa identità creando un rapporto di interdipendenza e rendendo la casa un luogo in cui chi vive e chi è abitato si sovrappongono, si mescolano, perdono ogni confine. Assumendo le forme di un’estensione concreta del protagonista, dev’essere messa in salvo a ogni costo. Inizia così un percorso quanto mai destabilizzante in cui ogni certezza del protagonista vacilla, si deforma, si sgretola, spingendolo a dubitare della sua stessa mente. A venirgli in soccorso sono la cultura, la lingua e le parole. Una protezione fatta di latinismi, dantismi, foscolismi, richiami alla grande letteratura e alla grande cinematografia italiana in cui l’Io narrante e l’Io dello scrittore si accavallano dando vita a una scrittura chirurgica e rocambolesca, ricca di tratti dichiaratamente gaddiani e di riferimenti letterari aulici che fanno da contraltare alla visceralità umana dei personaggi e delle loro azioni.
Locus desperatus
di Michele Mari
Einaudi, 2024