Milano discute il suo destino di città intraprendente e solidale
Di che città parliamo, quando diciamo Milano? D’una città da 1 milione e mezzo di abitanti, in cui però ogni giorno entrano almeno un altro milione di persone per lavorare e studiare. O d’una metropoli costituita da 133 comuni con oltre tre milioni di abitanti. Oppure della più grande città universitaria italiana, con 230mila studenti in dieci prestigiosi atenei, ben reputati anche all’estero. Volendo, potremmo anche raccontare un territorio che produce l’11% del Pil nazionale ed è sede del 34% delle multinazionali estere presenti in Italia, secondo i dati di Assolombarda (la maggiore organizzazione territoriale di Confindustria, che riunisce quasi 8mila imprese di Milano, Monza e Brianza, Lodi e Pavia, “il cuore produttivo e innovativo del Paese”). O, ancora, indicare il baricentro metropolitano d’una vasta area, tra le più industriali e dinamiche d’Europa, un rettangolo da Torino e Genova al Veneto e Trieste, dalle Alpi alla via Emilia. Milano dunque “città infinita”, per ripetere una celebre, pertinente definizione di Aldo Bonomi.
Milano da governare. Come? Proprio la dimensione della trasformazioni in corso e la radicalità dei processi di cambiamento (tra crescita economica e questioni sociali) svela come Milano sia una metropoli di mercato ma non possa essere ridotta soltanto alle logiche del mercato e della produttività. E come l’attrattività per persone, capitali, idee, imprese abbia bisogno di fondamenta più solide dei pur essenziali parametri della competitività. Servono virtù civiche e valori sociali. Elaborazioni culturali di respiro internazionale. E soprattutto buona politica, con un’efficace pubblica amministrazione.
Proprio un dato citato all’inizio ci rivela come le questioni non possano essere governate soltanto su scala municipale: un milione e mezzo di abitanti, un altro milione che arriva al mattino e va via la sera. Milano raddoppia o quasi, quotidianamente, le sue presenze. Con tutti i problemi (trasporti, pulizia, servizi, sicurezza, ristorazione, rifiuti, etc) che tutto ciò comporta.
La scala, dunque, non può non essere almeno la città metropolitana, applicando meglio le norme che la riguardano (la legge istitutiva è del 1990, l’iscrizione nella Costituzione è del 2001, l’attuazione del 2014 l’operatività formale, al posto delle vecchie Province, è del 2015: un quarto di secolo, un tempo assai lungo). E dotandola di risorse finanziarie e professionali.
Il guaio, però, è che la città metropolitana non ha mai funzionato bene. “Fantasma Grande Milano”, scrive il Corriere della Sera (28 ottobre) e “Gigante imbrigliato ma strategico” (29 ottobre). Il sindaco della città metropolitana è lo stesso del capoluogo, Beppe Sala. Ma la percezione del ruolo e dei poteri relativi è sempre stata marginale. Con conseguenze negative su tutti i territori interessati.
Serve allora, per Milano, una “legge speciale”, come quella in vigore per Roma? Forse. A patto che ci siano stanziamenti adeguati, per servizi pubblici e stimoli fiscali per gli investimenti privati da accompagnare alle risorse pubbliche. E che la dimensione di riferimento delle norme sia metropolitana.
Bisogna però fare un altro passo avanti. Il tema vero, sui servizi, è pensarli non solo su base amministrativa, ma seguendo gli andamenti dei flussi di persone, prodotti, lavori. E dunque costruendo ipotesi di unioni, consorzi dei comuni, società miste pubblico-private a seconda delle esigenze dei servizi da erogare. Un’inedita geografia politica, economica e amministrativa. Ma da sperimentare, tenendo conto anche del buon esempio fiscale di altre realtà europee. Piero Borghini, sindaco di Milano nei primi anni Novanta, fa riferimento all’esperienza di Manchester, che usa sul territorio le risorse fiscali prodotte e costruisce una governance dei servizi “dal basso” e non “dall’alto” dei vertici amministrativi. Idee nuove, nel dinamismo d’una società in movimento (Corriere della Sera, 31 ottobre).
Milano è molteplice, in ogni caso, “vicina all’Europa”, per usare i versi di Lucio Dalla. E tutt’altro che “livida e sprofondata per sua stessa mano”, come scriveva Ivano Fossati sui “treni a vapore”(ma era il 1992, l’anno d’inizio di Tangentopoli). Milano policentrica. Milano irriducibile agli stereotipi d’una città frenetica e ricca, “mille luci” di moda, design e vite di lusso. Ma anche poco leggibile solo con gli stilemi che derivano dalle cronache d’una corruzione diffusa nella pubblica amministrazione (le inchieste giudiziarie sulle presunte irregolarità urbanistiche del Comune, però, non hanno trovato riscontri solidi) e d’una violenza crescente nelle aree della “movida”, con una microcriminalità avvertita come emergenza.
Ci sono ombre, comunque, su un’anima che si dice stia smarrendo la capacità di mischiare lavoro e cultura, produttività e solidarietà. E ha ragione Bonomi quando scrive d’una metropoli nel cuore di una “metamorfosi interrotta, a rischio per la coesione sociale” (IlSole24Ore, 29 ottobre), anche a causa di una crescente incapacità (o, perché no? di mancanza di volontà) di “coniugare la dimensione dei bisogni con quella dei diritti”. Ma basta entrare nel cuore dei flussi economici e sociali della città per leggere, pure nei quartieri più difficili, storie di solidarietà e impegno sociale fatte vivere da enti, istituzioni e gruppi di volontariato del “terzo settore” (la Caritas ambrosiana ne è testimonianza esemplare, ma tutt’altro che unica).
Ha senso, dunque, prima che la città precipiti nelle retoriche della propaganda elettorale per l’elezione, nel 2027, del nuovo sindaco e del consiglio comunale, discutere in profondità sulle trasformazioni in corso e sugli strumenti, politici e culturali, per affrontare i problemi accentuati proprio dalla condizione stessa di Milano come l’area d’Italia più investita da stravolgenti fenomeni economici (il passaggio dall’industria al post-industriale alla fine del Novecento e adesso le mutazioni legate alla “economia della conoscenza” e alla pervasività dell’Intelligenza Artificiale).
Si discute molto di “crisi del modello Milano”. Ma Milano non è affatto un modello. Un territorio in movimento, semmai. Un motore economico. Una “fabbrica del futuro” (espressione cara ad Assolombarda). Un magnete di attrattività di intelligenze e capitali. Ma anche un polo culturale e sociale capace di indagare a fondo su di sé con un’attitudine critica e autocritica rara in un’Italia “strapaese” animata da orgogliosi campanilismi.
Milano da leggere e raccontare meglio, dunque. Da criticare severamente. E però pure da progettare. Amare. E fare vivere.
Un buon esempio di questa attitudine è la discussione organizzata dal Centro Studi Grande Milano, presieduto da Daniela Mainini e diretto da Roberto Poli, mercoledì 26, al Museo della Scienza e della Tecnica, con un titolo che contiene già un programma. “Milano è il suo destino: idee e progetti per la città che sarà” (ne parleranno, oltre a chi scrive, Cristina Messa, Agnese Pini, Venanzio Postiglione e Gianmario Verona). Un destino che dunque nasce dalla storia e dal carattere della civitas, che sa di “intraprendenza dialogante” ma anche di cultura e solidarietà, di innovazione e consapevolezza delle qualità del riformismo, di illuminismo, cultura politecnica e sentimenti civili, di istruzione e scienza.
Una Milano, appunto, che deve imparare a tenere in maggior conto il giudizio delle altre città d’Italia e d’Europa. E non può rinunciare alle caratteristiche economiche e sociali che ne animano le attività e, nel corso del tempo, hanno consentito a milioni di persone di “diventare milanesi”. Cittadini intraprendenti e solidali, appunto.
(foto Getty Images)
Di che città parliamo, quando diciamo Milano? D’una città da 1 milione e mezzo di abitanti, in cui però ogni giorno entrano almeno un altro milione di persone per lavorare e studiare. O d’una metropoli costituita da 133 comuni con oltre tre milioni di abitanti. Oppure della più grande città universitaria italiana, con 230mila studenti in dieci prestigiosi atenei, ben reputati anche all’estero. Volendo, potremmo anche raccontare un territorio che produce l’11% del Pil nazionale ed è sede del 34% delle multinazionali estere presenti in Italia, secondo i dati di Assolombarda (la maggiore organizzazione territoriale di Confindustria, che riunisce quasi 8mila imprese di Milano, Monza e Brianza, Lodi e Pavia, “il cuore produttivo e innovativo del Paese”). O, ancora, indicare il baricentro metropolitano d’una vasta area, tra le più industriali e dinamiche d’Europa, un rettangolo da Torino e Genova al Veneto e Trieste, dalle Alpi alla via Emilia. Milano dunque “città infinita”, per ripetere una celebre, pertinente definizione di Aldo Bonomi.
Milano da governare. Come? Proprio la dimensione della trasformazioni in corso e la radicalità dei processi di cambiamento (tra crescita economica e questioni sociali) svela come Milano sia una metropoli di mercato ma non possa essere ridotta soltanto alle logiche del mercato e della produttività. E come l’attrattività per persone, capitali, idee, imprese abbia bisogno di fondamenta più solide dei pur essenziali parametri della competitività. Servono virtù civiche e valori sociali. Elaborazioni culturali di respiro internazionale. E soprattutto buona politica, con un’efficace pubblica amministrazione.
Proprio un dato citato all’inizio ci rivela come le questioni non possano essere governate soltanto su scala municipale: un milione e mezzo di abitanti, un altro milione che arriva al mattino e va via la sera. Milano raddoppia o quasi, quotidianamente, le sue presenze. Con tutti i problemi (trasporti, pulizia, servizi, sicurezza, ristorazione, rifiuti, etc) che tutto ciò comporta.
La scala, dunque, non può non essere almeno la città metropolitana, applicando meglio le norme che la riguardano (la legge istitutiva è del 1990, l’iscrizione nella Costituzione è del 2001, l’attuazione del 2014 l’operatività formale, al posto delle vecchie Province, è del 2015: un quarto di secolo, un tempo assai lungo). E dotandola di risorse finanziarie e professionali.
Il guaio, però, è che la città metropolitana non ha mai funzionato bene. “Fantasma Grande Milano”, scrive il Corriere della Sera (28 ottobre) e “Gigante imbrigliato ma strategico” (29 ottobre). Il sindaco della città metropolitana è lo stesso del capoluogo, Beppe Sala. Ma la percezione del ruolo e dei poteri relativi è sempre stata marginale. Con conseguenze negative su tutti i territori interessati.
Serve allora, per Milano, una “legge speciale”, come quella in vigore per Roma? Forse. A patto che ci siano stanziamenti adeguati, per servizi pubblici e stimoli fiscali per gli investimenti privati da accompagnare alle risorse pubbliche. E che la dimensione di riferimento delle norme sia metropolitana.
Bisogna però fare un altro passo avanti. Il tema vero, sui servizi, è pensarli non solo su base amministrativa, ma seguendo gli andamenti dei flussi di persone, prodotti, lavori. E dunque costruendo ipotesi di unioni, consorzi dei comuni, società miste pubblico-private a seconda delle esigenze dei servizi da erogare. Un’inedita geografia politica, economica e amministrativa. Ma da sperimentare, tenendo conto anche del buon esempio fiscale di altre realtà europee. Piero Borghini, sindaco di Milano nei primi anni Novanta, fa riferimento all’esperienza di Manchester, che usa sul territorio le risorse fiscali prodotte e costruisce una governance dei servizi “dal basso” e non “dall’alto” dei vertici amministrativi. Idee nuove, nel dinamismo d’una società in movimento (Corriere della Sera, 31 ottobre).
Milano è molteplice, in ogni caso, “vicina all’Europa”, per usare i versi di Lucio Dalla. E tutt’altro che “livida e sprofondata per sua stessa mano”, come scriveva Ivano Fossati sui “treni a vapore”(ma era il 1992, l’anno d’inizio di Tangentopoli). Milano policentrica. Milano irriducibile agli stereotipi d’una città frenetica e ricca, “mille luci” di moda, design e vite di lusso. Ma anche poco leggibile solo con gli stilemi che derivano dalle cronache d’una corruzione diffusa nella pubblica amministrazione (le inchieste giudiziarie sulle presunte irregolarità urbanistiche del Comune, però, non hanno trovato riscontri solidi) e d’una violenza crescente nelle aree della “movida”, con una microcriminalità avvertita come emergenza.
Ci sono ombre, comunque, su un’anima che si dice stia smarrendo la capacità di mischiare lavoro e cultura, produttività e solidarietà. E ha ragione Bonomi quando scrive d’una metropoli nel cuore di una “metamorfosi interrotta, a rischio per la coesione sociale” (IlSole24Ore, 29 ottobre), anche a causa di una crescente incapacità (o, perché no? di mancanza di volontà) di “coniugare la dimensione dei bisogni con quella dei diritti”. Ma basta entrare nel cuore dei flussi economici e sociali della città per leggere, pure nei quartieri più difficili, storie di solidarietà e impegno sociale fatte vivere da enti, istituzioni e gruppi di volontariato del “terzo settore” (la Caritas ambrosiana ne è testimonianza esemplare, ma tutt’altro che unica).
Ha senso, dunque, prima che la città precipiti nelle retoriche della propaganda elettorale per l’elezione, nel 2027, del nuovo sindaco e del consiglio comunale, discutere in profondità sulle trasformazioni in corso e sugli strumenti, politici e culturali, per affrontare i problemi accentuati proprio dalla condizione stessa di Milano come l’area d’Italia più investita da stravolgenti fenomeni economici (il passaggio dall’industria al post-industriale alla fine del Novecento e adesso le mutazioni legate alla “economia della conoscenza” e alla pervasività dell’Intelligenza Artificiale).
Si discute molto di “crisi del modello Milano”. Ma Milano non è affatto un modello. Un territorio in movimento, semmai. Un motore economico. Una “fabbrica del futuro” (espressione cara ad Assolombarda). Un magnete di attrattività di intelligenze e capitali. Ma anche un polo culturale e sociale capace di indagare a fondo su di sé con un’attitudine critica e autocritica rara in un’Italia “strapaese” animata da orgogliosi campanilismi.
Milano da leggere e raccontare meglio, dunque. Da criticare severamente. E però pure da progettare. Amare. E fare vivere.
Un buon esempio di questa attitudine è la discussione organizzata dal Centro Studi Grande Milano, presieduto da Daniela Mainini e diretto da Roberto Poli, mercoledì 26, al Museo della Scienza e della Tecnica, con un titolo che contiene già un programma. “Milano è il suo destino: idee e progetti per la città che sarà” (ne parleranno, oltre a chi scrive, Cristina Messa, Agnese Pini, Venanzio Postiglione e Gianmario Verona). Un destino che dunque nasce dalla storia e dal carattere della civitas, che sa di “intraprendenza dialogante” ma anche di cultura e solidarietà, di innovazione e consapevolezza delle qualità del riformismo, di illuminismo, cultura politecnica e sentimenti civili, di istruzione e scienza.
Una Milano, appunto, che deve imparare a tenere in maggior conto il giudizio delle altre città d’Italia e d’Europa. E non può rinunciare alle caratteristiche economiche e sociali che ne animano le attività e, nel corso del tempo, hanno consentito a milioni di persone di “diventare milanesi”. Cittadini intraprendenti e solidali, appunto.
(foto Getty Images)