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Quale “buon lavoro”

Educare bene all’impegno e alla condivisione dei compiti nelle organizzazioni della produzione come leva di benessere e competitività

 

Dimettersi. Smettere di lavorare (almeno in determinati ambiti). Fenomeno in crescita e sempre più diffuso quello delle Great Resignation (“grandi dimissioni”), che pone questioni nuove da affrontare. Anche in termini di cultura d’impresa e del lavoro. E’ attorno a questo tema che ragiona Fabrizio d’Aniello con il suo contributo “Giovani e cultura pedagogica del lavoro” apparso recentemente nel bollettino della Sipeges (Società italiana di pedagogia generale e sociale).

L’autore parte da una constatazione: il fenomeno delle “grandi dimissioni” ha evidenziato vari tratti di un malessere lavorativo diffuso, che va compreso e affrontato e che interessa da vicino anche la pedagogia del lavoro. Perché l’andar via dagli ambiti lavorativi comporta anche un riesame dell’educazione al lavoro che va rivista, discussa e resa più attuale. Partendo dai giovani.

Educare al lavoro e soprattutto al buon lavoro, dunque, come primo obiettivo. Passaggio cruciale che d’Aniello giustifica con la constatazione della mancanza di cura delle relazioni umane che si coglie essere indubbiamente il preminente fattore problematico di molte situazioni e che delinea la necessità di svelare e “denunciare”, oltre che all’occorrenza superare, la focalizzazione neoliberista sull’individualizzazione della prestazione e sulla competitività prestazionale. Troppa competitività, troppo stress, troppa disumanizzazione delle relazioni, starebbero, in altri termini, alla base delle Great Resignation.

Ma quindi che fare? L’articolo di d’Aniello ha l’obiettivo di promuovere una cultura pedagogica del lavoro, fondata su relazioni educativamente significative, a partire dai giovani, nonché a fornire indicazioni formative utili ad affrontare le criticità del presente. Ed è proprio dai giovani che occorre partire, secondo l’autore che illustra le relazioni (virtuose) tra le nuove leve lavorative future, la scuola e la pedagogia del lavoro per passare poi ad affrontare l’esame delle criticità delle attuali condizioni di lavoro e quindi delineare percorsi di pedagogia più efficace.

L’analisi di Fabrizio d’Aniello non solo aiuta a comprendere meglio un fenomeno sempre più diffuso, ma serve a migliorare per davvero il livello di conoscenze su quel “buon lavoro” che occorre ampliare e diffondere. Educare bene all’impegno e alla condivisione dei compiti nelle organizzazioni della produzione, diventa così, leva di benessere e competitività.

Giovani e cultura pedagogica del lavoro

Fabrizio d’Aniello (Università degli Studi di Macerata)

Cultura pedagogica e scenari educativi, 1(1), 94-99, giugno 2023

Educare bene all’impegno e alla condivisione dei compiti nelle organizzazioni della produzione come leva di benessere e competitività

 

Dimettersi. Smettere di lavorare (almeno in determinati ambiti). Fenomeno in crescita e sempre più diffuso quello delle Great Resignation (“grandi dimissioni”), che pone questioni nuove da affrontare. Anche in termini di cultura d’impresa e del lavoro. E’ attorno a questo tema che ragiona Fabrizio d’Aniello con il suo contributo “Giovani e cultura pedagogica del lavoro” apparso recentemente nel bollettino della Sipeges (Società italiana di pedagogia generale e sociale).

L’autore parte da una constatazione: il fenomeno delle “grandi dimissioni” ha evidenziato vari tratti di un malessere lavorativo diffuso, che va compreso e affrontato e che interessa da vicino anche la pedagogia del lavoro. Perché l’andar via dagli ambiti lavorativi comporta anche un riesame dell’educazione al lavoro che va rivista, discussa e resa più attuale. Partendo dai giovani.

Educare al lavoro e soprattutto al buon lavoro, dunque, come primo obiettivo. Passaggio cruciale che d’Aniello giustifica con la constatazione della mancanza di cura delle relazioni umane che si coglie essere indubbiamente il preminente fattore problematico di molte situazioni e che delinea la necessità di svelare e “denunciare”, oltre che all’occorrenza superare, la focalizzazione neoliberista sull’individualizzazione della prestazione e sulla competitività prestazionale. Troppa competitività, troppo stress, troppa disumanizzazione delle relazioni, starebbero, in altri termini, alla base delle Great Resignation.

Ma quindi che fare? L’articolo di d’Aniello ha l’obiettivo di promuovere una cultura pedagogica del lavoro, fondata su relazioni educativamente significative, a partire dai giovani, nonché a fornire indicazioni formative utili ad affrontare le criticità del presente. Ed è proprio dai giovani che occorre partire, secondo l’autore che illustra le relazioni (virtuose) tra le nuove leve lavorative future, la scuola e la pedagogia del lavoro per passare poi ad affrontare l’esame delle criticità delle attuali condizioni di lavoro e quindi delineare percorsi di pedagogia più efficace.

L’analisi di Fabrizio d’Aniello non solo aiuta a comprendere meglio un fenomeno sempre più diffuso, ma serve a migliorare per davvero il livello di conoscenze su quel “buon lavoro” che occorre ampliare e diffondere. Educare bene all’impegno e alla condivisione dei compiti nelle organizzazioni della produzione, diventa così, leva di benessere e competitività.

Giovani e cultura pedagogica del lavoro

Fabrizio d’Aniello (Università degli Studi di Macerata)

Cultura pedagogica e scenari educativi, 1(1), 94-99, giugno 2023

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