Racconti di lavoro, fabbriche e uffici
Quando è la letteratura a far parlare la cultura del produrre
Esseri umani e lavoro, uffici e fabbriche. Comunità fatte di fatiche e sogni, conflitti e speranze comuni. Cultura del produrre che si fa concretezza operosa. E voglia di benessere. E materia densa tutta da raccontare. E spesso, molto spesso, così è stato nella storia della letteratura e pure nell’odierna letteratura. È importante, ogni tanto, andare (o tornare) ad alcuni degli innumerevoli esempi di racconti di lavoro e impresa di cui proprio la letteratura è zeppa: magari per rileggerli oppure per leggerli la prima volta.
Così, è possibile leggere “Gli impiegati” (del 1844 ma ancora per certi versi attuale e comunque tutto da leggere) scritto da Honoré de Balzac che descrive con impietosa arguzia il mondo degli uffici del tempo (che assomiglia per molti aspetti a quello di oggi). Xavier Rabourdin, il protagonista, lavora in uno “stanzone”, quello che oggi potrebbe essere indicato come open space, e combatte ogni giorno per far carriera così come combattono, tutto sommato in un ambiente ben diverso i protagonisti di Hard Times for These Times (“Tempi difficili”) di Charles Dickens che descrive senza mezzi termini fabbriche e rapporti di lavoro nei primi tempi della Rivoluzione industriale inglese. Dickens aveva vissuto (seppur per un breve tempo) la fabbrica ed era poi diventato giornalista parlamentare: unisce la capacità di raccontare con quella di vedere. Senza mezzi termini, appunto. Ad iniziare dai luoghi e dai personaggi. “A Coketown – scrive Dickens – gli stantuffi delle macchine a vapore si alzavano e si abbassavano con moto regolare e incessante (…).C’erano tante strade larghe, tutte uguali fra loro, e tante strade strette ancora più uguali fra loro; ci abitavano persone altrettanto uguali fra loro, che entravano e uscivano tutte alla stessa ora, facendo lo stesso scalpiccio sul selciato, per svolgere lo stesso lavoro; persone per le quali l’oggi era uguale all’ieri e al domani, e ogni anno era la replica di quello passato e di quello a venire”.
Già la fabbrica come luogo di conflitto (ma anche di riscossa) e di confronto, così come di alienazione. Che è ciò che accade al protagonista di una novella (“Il treno ha fischiato…”) del 1925 di Luigi Pirandello che racconta di Belluca, un computista esempio di impiegato che passa la sua vita tra un ufficio amministrativo, dov’è anche bistrattato dai colleghi, e una famiglia che deve accudire e dalla quale non trae nulla di positivo. Belluca alla fine impazzisce.
Lavoro e impresa come ambiti di esclusiva fatica e alienazione? È evidente che non è così, anche se spesso sono stati questi aspetti ad essere più colti dalla letteratura. Uno esempio contrario basta per tutti, quello di Primo Levi che nel suo “La chiave a stella” dice sì della fatica del lavoro e della fabbrica ma anche della sua bellezza. Levi – scrittore, chimico, uomo di lettere e di scienze, testimone dell’Olocausto ma anche, appunto, del lavoro d’impresa -, racconta di un particolare aspetto della felicità umana in uno dei passi più conosciuti della sua opera. “Se si escludono – scrive -, istanti prodigiosi e singoli che il destino ci può donare, l’amare il proprio lavoro (che purtroppo è un privilegio di pochi) costituisce la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla Terra. Ma questa è una verità che non molti conoscono”.
Gli impiegati
Balzac de Honoré
Garzanti, 1996
Tempi difficili
Dickens Charles
Feltrinelli, 2015
Il treno ha fischiato…
in, “Novelle per un anno. L’uomo solo”
Pirandello Luigi
Mondadori (edizioni varie)
La chiave a stella
Levi Primo
Einaudi (edizioni varie)
Quando è la letteratura a far parlare la cultura del produrre
Esseri umani e lavoro, uffici e fabbriche. Comunità fatte di fatiche e sogni, conflitti e speranze comuni. Cultura del produrre che si fa concretezza operosa. E voglia di benessere. E materia densa tutta da raccontare. E spesso, molto spesso, così è stato nella storia della letteratura e pure nell’odierna letteratura. È importante, ogni tanto, andare (o tornare) ad alcuni degli innumerevoli esempi di racconti di lavoro e impresa di cui proprio la letteratura è zeppa: magari per rileggerli oppure per leggerli la prima volta.
Così, è possibile leggere “Gli impiegati” (del 1844 ma ancora per certi versi attuale e comunque tutto da leggere) scritto da Honoré de Balzac che descrive con impietosa arguzia il mondo degli uffici del tempo (che assomiglia per molti aspetti a quello di oggi). Xavier Rabourdin, il protagonista, lavora in uno “stanzone”, quello che oggi potrebbe essere indicato come open space, e combatte ogni giorno per far carriera così come combattono, tutto sommato in un ambiente ben diverso i protagonisti di Hard Times for These Times (“Tempi difficili”) di Charles Dickens che descrive senza mezzi termini fabbriche e rapporti di lavoro nei primi tempi della Rivoluzione industriale inglese. Dickens aveva vissuto (seppur per un breve tempo) la fabbrica ed era poi diventato giornalista parlamentare: unisce la capacità di raccontare con quella di vedere. Senza mezzi termini, appunto. Ad iniziare dai luoghi e dai personaggi. “A Coketown – scrive Dickens – gli stantuffi delle macchine a vapore si alzavano e si abbassavano con moto regolare e incessante (…).C’erano tante strade larghe, tutte uguali fra loro, e tante strade strette ancora più uguali fra loro; ci abitavano persone altrettanto uguali fra loro, che entravano e uscivano tutte alla stessa ora, facendo lo stesso scalpiccio sul selciato, per svolgere lo stesso lavoro; persone per le quali l’oggi era uguale all’ieri e al domani, e ogni anno era la replica di quello passato e di quello a venire”.
Già la fabbrica come luogo di conflitto (ma anche di riscossa) e di confronto, così come di alienazione. Che è ciò che accade al protagonista di una novella (“Il treno ha fischiato…”) del 1925 di Luigi Pirandello che racconta di Belluca, un computista esempio di impiegato che passa la sua vita tra un ufficio amministrativo, dov’è anche bistrattato dai colleghi, e una famiglia che deve accudire e dalla quale non trae nulla di positivo. Belluca alla fine impazzisce.
Lavoro e impresa come ambiti di esclusiva fatica e alienazione? È evidente che non è così, anche se spesso sono stati questi aspetti ad essere più colti dalla letteratura. Uno esempio contrario basta per tutti, quello di Primo Levi che nel suo “La chiave a stella” dice sì della fatica del lavoro e della fabbrica ma anche della sua bellezza. Levi – scrittore, chimico, uomo di lettere e di scienze, testimone dell’Olocausto ma anche, appunto, del lavoro d’impresa -, racconta di un particolare aspetto della felicità umana in uno dei passi più conosciuti della sua opera. “Se si escludono – scrive -, istanti prodigiosi e singoli che il destino ci può donare, l’amare il proprio lavoro (che purtroppo è un privilegio di pochi) costituisce la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla Terra. Ma questa è una verità che non molti conoscono”.
Gli impiegati
Balzac de Honoré
Garzanti, 1996
Tempi difficili
Dickens Charles
Feltrinelli, 2015
Il treno ha fischiato…
in, “Novelle per un anno. L’uomo solo”
Pirandello Luigi
Mondadori (edizioni varie)
La chiave a stella
Levi Primo
Einaudi (edizioni varie)