Spiritualità d’impresa
L’impresa esiste per produrre profitti. Questo, almeno, dice l’economia tradizionale. L’impresa però può esistere anche per dare vita ad altro che non sia produzione, profitto, salari e buoni bilanci. Ci possono essere, e spesso ci sono, attenzione agli altri, cura dell’ambiente, produzione di cultura, creazione di un’organizzazione sociale che non sia finalizzata solamente alla produzione materiale ma anche ad altro. Coniugare tutto questo non è facile. Ma ci si può provare. Iniziando a ragionare su cosa accade quando valori materiali e produttivi si uniscono ad altri immateriali e spirituali.
E’ quello che ha fatto Matthew Brophy della High Point University di Greensboro in North Carolina con un articolo pubblicato adesso sul Journal of business ethics.
“Spirituality Incorporated: Including Convergent Spiritual Values in Business” parte da una constatazione: le aziende spesso escludono i valori spirituali dall’ambito della loro attività e vedono tali valori “come – spiega l’autore -, imposizioni che appartengono agli affari tanto quanto un sacerdote appartiene ad una festa di laurea”. E, in effetti, l’unione dei principi di bilancio con quelli dell’etica può dare spazio ad incomprensioni e stravolgimenti dell’attività aziendale che possono arrivare anche a conclusioni letali per l’impresa stessa.
Ma Brophy continua argomentando come la spiritualità non debba “essere vista come un’imposizione dall’esterno”, ma come qualcosa che nasce all’interno dell’impresa. E’, a ben vedere, un passaggio molto vicino a quello che spiega lo spirito imprenditoriale: qualcosa che fa scattare la nascita dell’impresa e che ha molto di immateriale.
Non è però tutto così automatico e scontato. Brophy, infatti, dice: “I valori spirituali devono essere inclusi in una società nella misura in cui questi valori sono condivisi dai titolari della stessa”. Non ci deve essere nessuna imposizione. Tenendo però conto che “l’esclusione di tali valori da un’impresa, rischia di alienare le persone dalla loro integrità morale”. L’equilibrio è poi difficile da raggiungere e precario da mantenere. Occorre, secondo Brophy, coltivare una “immaginazione spirituale” attraverso la quale le imprese possono far convergere la propria azione con la cultura e il sentire della società in cui agiscono. E mantenere sani i propri bilanci.
Spirituality Incorporated: Including Convergent Spiritual Values in Business
Matthew Brophy
Journal of business ethics, settembre 2014
L’impresa esiste per produrre profitti. Questo, almeno, dice l’economia tradizionale. L’impresa però può esistere anche per dare vita ad altro che non sia produzione, profitto, salari e buoni bilanci. Ci possono essere, e spesso ci sono, attenzione agli altri, cura dell’ambiente, produzione di cultura, creazione di un’organizzazione sociale che non sia finalizzata solamente alla produzione materiale ma anche ad altro. Coniugare tutto questo non è facile. Ma ci si può provare. Iniziando a ragionare su cosa accade quando valori materiali e produttivi si uniscono ad altri immateriali e spirituali.
E’ quello che ha fatto Matthew Brophy della High Point University di Greensboro in North Carolina con un articolo pubblicato adesso sul Journal of business ethics.
“Spirituality Incorporated: Including Convergent Spiritual Values in Business” parte da una constatazione: le aziende spesso escludono i valori spirituali dall’ambito della loro attività e vedono tali valori “come – spiega l’autore -, imposizioni che appartengono agli affari tanto quanto un sacerdote appartiene ad una festa di laurea”. E, in effetti, l’unione dei principi di bilancio con quelli dell’etica può dare spazio ad incomprensioni e stravolgimenti dell’attività aziendale che possono arrivare anche a conclusioni letali per l’impresa stessa.
Ma Brophy continua argomentando come la spiritualità non debba “essere vista come un’imposizione dall’esterno”, ma come qualcosa che nasce all’interno dell’impresa. E’, a ben vedere, un passaggio molto vicino a quello che spiega lo spirito imprenditoriale: qualcosa che fa scattare la nascita dell’impresa e che ha molto di immateriale.
Non è però tutto così automatico e scontato. Brophy, infatti, dice: “I valori spirituali devono essere inclusi in una società nella misura in cui questi valori sono condivisi dai titolari della stessa”. Non ci deve essere nessuna imposizione. Tenendo però conto che “l’esclusione di tali valori da un’impresa, rischia di alienare le persone dalla loro integrità morale”. L’equilibrio è poi difficile da raggiungere e precario da mantenere. Occorre, secondo Brophy, coltivare una “immaginazione spirituale” attraverso la quale le imprese possono far convergere la propria azione con la cultura e il sentire della società in cui agiscono. E mantenere sani i propri bilanci.
Spirituality Incorporated: Including Convergent Spiritual Values in Business
Matthew Brophy
Journal of business ethics, settembre 2014