Umanità d’impresa
Si produce con le materie prime ma anche con le idee. E anche la manifattura esiste e vive sulla base del capitale umano che la anima. Uomini e donne, dunque, sono – da sempre -, alla base dell’economia. Almeno quella vera, naturalmente. Ogni buon imprenditore, d’altra parte, lo sa: curare il capitale umano della propria impresa equivale a far crescere da subito la qualità della produzione, il senso della stessa, significa spingere più in là il confine dello sviluppo.
Ragionare sul significato del capitale umano, quindi, è sempre utile e importante. E lo è ancora di più quando a farlo è il Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, com’è accaduto recentemente alla Facoltà di Economia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore che ha celebrato i 15 anni di attività presso la sede di Roma.
Visco parla chiaro e dice subito: “Il termine ‘capitale umano’, di cui da lungo tempo fanno uso gli economisti, in particolare gli economisti del lavoro, è ormai entrato nel linguaggio comune, anche se è spesso abusato ed esprime un’idea forse eccessivamente meccanicistica. Ci si sofferma soprattutto sull’istruzione e sulla formazione, ma il concetto è ampio. Vi concorrono molte dimensioni dell’individuo: non solo le capacità cognitive derivanti dal patrimonio di conoscenze, competenze e abilità tecniche, ma anche quelle non cognitive, come la motivazione o le attitudini verso il futuro e le condizioni di salute. Il capitale umano comprende tutto ciò che influenza la capacità degli individui di produrre e creare reddito, oltre alla forza delle loro braccia: la salute fisica e mentale ne è una determinante fondamentale”. È da queste affermazioni che Visco dipana un ragionamento mettendo insieme gli ultimi numeri sul mercato del lavoro, l’alta teoria dell’occupazione e i problemi italiani in fatto di valorizzazione dell’occupazione e dei lavoratori. “Il patrimonio di conoscenze, competenze e abilità di cui le persone sono dotate – dice Visco -, si associa a più elevati livelli di crescita del reddito e di sviluppo economico e sociale. Esso contribuisce ad aumentare la produttività sia direttamente (…),sia indirettamente (..)”. Il Governatore della Banca centrale italiana, quindi, discute dei legami fra capitale umano, progresso tecnologico, rivoluzione digitale e domanda di lavoro arrivando però a precisare “che il progresso tecnico innescato dalla rivoluzione digitale potrebbe avere finora manifestato solo una piccola parte delle sue potenzialità e potrebbe essere ancora lontano dall’avere pienamente dispiegato i suoi effetti sull’occupazione e sulla produttività”. E poi avverte però come le tecnologie sempre più spinte accrescano il rischio di “polarizzare le professioni” e di accrescere eccessivamente l’automazione, svilendo pericolosamente in alcuni casi il ruolo e il significato proprio del capitale umano che è alla base dell’impresa e, in altri, cancellando vecchie occupazioni per dar vita a nuove attività.
Equilibrio, dunque, e capacità di valutazione costituiscono due degli elementi di una nuova cultura d’impresa che, di fronte alle nuove tecnologie, sappia valorizzare comunque il capitale umano senza perdere i vantaggi delle stesse nuove tecnologie. Ma Visco non si ferma qui e allarga ancora l’orizzonte chiedendosi quale sia la situazione del nostro Paese di fronte a temi così importanti e quali possano essere le nuove competenze che è necessario sviluppare.
Conclude poi così il Governatore della Banca d’Italia: “(…) i benefici dell’investimento in capitale umano non si esauriscono con quelli di natura materiale (…). Investire in conoscenza è importante anche ‘oltre l’economia’, contribuisce all’innalzamento del senso civico e del capitale sociale, valori in sé, indipendentemente dai loro effetti positivi sulla crescita economica, e fattori importanti di coesione sociale e di benessere dei cittadini”.
Capitale umano e crescita
Ignazio Visco
Intervento del Governatore della Banca d’Italia, Università Cattolica del Sacro Cuore – Facoltà di Economia, 30 gennaio 2015
Si produce con le materie prime ma anche con le idee. E anche la manifattura esiste e vive sulla base del capitale umano che la anima. Uomini e donne, dunque, sono – da sempre -, alla base dell’economia. Almeno quella vera, naturalmente. Ogni buon imprenditore, d’altra parte, lo sa: curare il capitale umano della propria impresa equivale a far crescere da subito la qualità della produzione, il senso della stessa, significa spingere più in là il confine dello sviluppo.
Ragionare sul significato del capitale umano, quindi, è sempre utile e importante. E lo è ancora di più quando a farlo è il Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, com’è accaduto recentemente alla Facoltà di Economia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore che ha celebrato i 15 anni di attività presso la sede di Roma.
Visco parla chiaro e dice subito: “Il termine ‘capitale umano’, di cui da lungo tempo fanno uso gli economisti, in particolare gli economisti del lavoro, è ormai entrato nel linguaggio comune, anche se è spesso abusato ed esprime un’idea forse eccessivamente meccanicistica. Ci si sofferma soprattutto sull’istruzione e sulla formazione, ma il concetto è ampio. Vi concorrono molte dimensioni dell’individuo: non solo le capacità cognitive derivanti dal patrimonio di conoscenze, competenze e abilità tecniche, ma anche quelle non cognitive, come la motivazione o le attitudini verso il futuro e le condizioni di salute. Il capitale umano comprende tutto ciò che influenza la capacità degli individui di produrre e creare reddito, oltre alla forza delle loro braccia: la salute fisica e mentale ne è una determinante fondamentale”. È da queste affermazioni che Visco dipana un ragionamento mettendo insieme gli ultimi numeri sul mercato del lavoro, l’alta teoria dell’occupazione e i problemi italiani in fatto di valorizzazione dell’occupazione e dei lavoratori. “Il patrimonio di conoscenze, competenze e abilità di cui le persone sono dotate – dice Visco -, si associa a più elevati livelli di crescita del reddito e di sviluppo economico e sociale. Esso contribuisce ad aumentare la produttività sia direttamente (…),sia indirettamente (..)”. Il Governatore della Banca centrale italiana, quindi, discute dei legami fra capitale umano, progresso tecnologico, rivoluzione digitale e domanda di lavoro arrivando però a precisare “che il progresso tecnico innescato dalla rivoluzione digitale potrebbe avere finora manifestato solo una piccola parte delle sue potenzialità e potrebbe essere ancora lontano dall’avere pienamente dispiegato i suoi effetti sull’occupazione e sulla produttività”. E poi avverte però come le tecnologie sempre più spinte accrescano il rischio di “polarizzare le professioni” e di accrescere eccessivamente l’automazione, svilendo pericolosamente in alcuni casi il ruolo e il significato proprio del capitale umano che è alla base dell’impresa e, in altri, cancellando vecchie occupazioni per dar vita a nuove attività.
Equilibrio, dunque, e capacità di valutazione costituiscono due degli elementi di una nuova cultura d’impresa che, di fronte alle nuove tecnologie, sappia valorizzare comunque il capitale umano senza perdere i vantaggi delle stesse nuove tecnologie. Ma Visco non si ferma qui e allarga ancora l’orizzonte chiedendosi quale sia la situazione del nostro Paese di fronte a temi così importanti e quali possano essere le nuove competenze che è necessario sviluppare.
Conclude poi così il Governatore della Banca d’Italia: “(…) i benefici dell’investimento in capitale umano non si esauriscono con quelli di natura materiale (…). Investire in conoscenza è importante anche ‘oltre l’economia’, contribuisce all’innalzamento del senso civico e del capitale sociale, valori in sé, indipendentemente dai loro effetti positivi sulla crescita economica, e fattori importanti di coesione sociale e di benessere dei cittadini”.
Capitale umano e crescita
Ignazio Visco
Intervento del Governatore della Banca d’Italia, Università Cattolica del Sacro Cuore – Facoltà di Economia, 30 gennaio 2015