Fuori è quasi buio
In un capanno abbandonato, senza nessuno su cui contare, Simone e Mattia sono soli.
Da quando l’auto della madre si è scontrata con un camion, i due fratelli scappano dai servizi sociali senza una meta. Vivono di espedienti: non parlano con nessuno, fanno la spesa centellinando i pochi soldi rimasti, si lavano nel fiume vicino al capanno. Le uniche costanti sono Mattia, le sue crisi respiratorie e quelle epilettiche. Simone cerca di gestirle basandosi sui ricordi di ciò che la madre gli aveva insegnato: contare (tre minuti, non di più), stappare la siringa, iniettare. Se non funziona, iniettarne una seconda. E aspettare. Aspettare che Mattia riprenda conoscenza e che – a gesti – gli parli. Simone ha imparato: la mano sul gomito è “pane”, il cerchio sul petto è “abbraccio”, il pugno è “neve”. Ma anche “mamma”. Sarà l’incontro con Mercy, una bambina con una sorellina disabile, a far capire ai due fratelli che non c’è niente di male nel chiedere aiuto e che – in fondo – un’altra “casa” è possibile.
Un romanzo dai tratti poetici, strazianti e profondi. “Fuori è quasi buio” parla di forza, di resilienza intrinseca in ognuno di noi, ma anche di cura reciproca e di solidarietà, di comprensione e di emozioni compresse che cercano il modo, attraverso il fisico, di farsi sentire. Figura imponente, a campeggiare nell’intero romanzo, è quella della madre: nervosa, a tratti spaventosa, assente già prima dello scontro con il camion. Eppure sempre ricercata, agognata dal piccolo Simone; indispensabile per Mattia e la sua sopravvivenza. In una identificazione e sovrapposizione, Simone assume il ruolo materno, salvo poi restare pur sempre un preadolescente in cerca del proprio posto nel mondo.
Fuori è quasi buio
di Alice Keller
Risma, 2023