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Condannati dai numeri?

Conoscere per decidere meglio. E’ la versione “d’impresa” della frase celebre e mai troppo ricordata di Luigi Einaudi: “Conoscere per deliberare”. Oggi forse ancora più di ieri. Anche se il conoscere sembra più facile (e in realtà non lo è), rispetto al passato.  L’indicazione, appunto, vale anche per le aziende e per chi le governa.

Leggere allora “Ultimi. Così le statistiche condannano l’Italia” di Antonio Galdo appena pubblicato, è buona cosa un po’ per tutti.

Giornalista e scrittore, Galdo racconta una storia, quella dell’Italia di oggi, solo apparentemente tutta dai toni negativi (anche se la conclusione è piuttosto brutale).

Il titolo può trarre un po’ in inganno: la condanna delle statistiche è fatto pesante, matematico, inconfutabile. Dai numeri, tuttavia, è possibile sfuggire, ovviamente con impegno e sfruttando quanto di buono e vivace e seriamente impegnato nella crescita del nostro Paese ancora c’è. Le poco più di cento pagine del libro, quindi, scorrono via fra dati negativi ed esempi positivi, fra ciò che di buono è andato perso nel corso della nostra storia più o meno recente e quanto invece ancora di eccellente esiste e sulla cui base si può costruire ciò che serve per ripartire. Si tratta di esempi che vanno dagli asili alle industrie, passando per il sociale, per il turismo, per la cultura nazionali. Si parla così di scuola a tutti i livelli, di rapporti fra generazioni, di lavoro e poi ancora di imprese troppo piccole, della ricerca, dell’eterno problema del Mezzogiorno, della sanità e della giustizia, dei meccanismi degli appalti, di quelli di “non-tutela” dell’ambiente e del miraggio dell’era digitale che non c’è.  Galdo enumera statistiche che danno contro l’Italia, e poi esempi che, invece, dicono che tutto sommato del buono c’è ancora accanto a molto da rifare.

Ma Galdo nella Introduzione scrive: “L’Italia non è un malato terminale, né il destino cinico e baro ci costringe alla rassegnazione. Al contrario, abbiamo tutte le energie e le possibilità per riprenderci con una ragionevole velocità, come abbiamo fatto durante il ciclo vitale del boom economico, quando in pochi anni un popolo di analfabeti e di contadini si è trasformato in una delle nazioni piú ricche del mondo. Proprio le statistiche ci avvertono che non tutto affonda nella palude del regresso”. E poi ancora: “In Italia soffia un vento promettente di voglia di cambiamento e di modernizzazione. Incrociarlo, è la nostra occasione. Per riuscirci, però, non possiamo sentirci rassicurati e gonfiare il petto attraverso una narrazione del Paese distante dalla realtà, piegata alle leggi della propaganda politica e scollegata dall’analisi dei fatti”.

L’ultimo libro di Galdo contiene certamente numerosi passaggi in grado di far arrabbiare molti, ma che servono anche per guardare la realtà con occhiali diversi che possono completare la conoscenza di quanto ruota attorno alle imprese e a tutti noi. Conoscere per deliberare, come si diceva.

Ultimi. Così le statistiche condannano l’Italia 

Antonio Galdo

Einaudi, 2016

Conoscere per decidere meglio. E’ la versione “d’impresa” della frase celebre e mai troppo ricordata di Luigi Einaudi: “Conoscere per deliberare”. Oggi forse ancora più di ieri. Anche se il conoscere sembra più facile (e in realtà non lo è), rispetto al passato.  L’indicazione, appunto, vale anche per le aziende e per chi le governa.

Leggere allora “Ultimi. Così le statistiche condannano l’Italia” di Antonio Galdo appena pubblicato, è buona cosa un po’ per tutti.

Giornalista e scrittore, Galdo racconta una storia, quella dell’Italia di oggi, solo apparentemente tutta dai toni negativi (anche se la conclusione è piuttosto brutale).

Il titolo può trarre un po’ in inganno: la condanna delle statistiche è fatto pesante, matematico, inconfutabile. Dai numeri, tuttavia, è possibile sfuggire, ovviamente con impegno e sfruttando quanto di buono e vivace e seriamente impegnato nella crescita del nostro Paese ancora c’è. Le poco più di cento pagine del libro, quindi, scorrono via fra dati negativi ed esempi positivi, fra ciò che di buono è andato perso nel corso della nostra storia più o meno recente e quanto invece ancora di eccellente esiste e sulla cui base si può costruire ciò che serve per ripartire. Si tratta di esempi che vanno dagli asili alle industrie, passando per il sociale, per il turismo, per la cultura nazionali. Si parla così di scuola a tutti i livelli, di rapporti fra generazioni, di lavoro e poi ancora di imprese troppo piccole, della ricerca, dell’eterno problema del Mezzogiorno, della sanità e della giustizia, dei meccanismi degli appalti, di quelli di “non-tutela” dell’ambiente e del miraggio dell’era digitale che non c’è.  Galdo enumera statistiche che danno contro l’Italia, e poi esempi che, invece, dicono che tutto sommato del buono c’è ancora accanto a molto da rifare.

Ma Galdo nella Introduzione scrive: “L’Italia non è un malato terminale, né il destino cinico e baro ci costringe alla rassegnazione. Al contrario, abbiamo tutte le energie e le possibilità per riprenderci con una ragionevole velocità, come abbiamo fatto durante il ciclo vitale del boom economico, quando in pochi anni un popolo di analfabeti e di contadini si è trasformato in una delle nazioni piú ricche del mondo. Proprio le statistiche ci avvertono che non tutto affonda nella palude del regresso”. E poi ancora: “In Italia soffia un vento promettente di voglia di cambiamento e di modernizzazione. Incrociarlo, è la nostra occasione. Per riuscirci, però, non possiamo sentirci rassicurati e gonfiare il petto attraverso una narrazione del Paese distante dalla realtà, piegata alle leggi della propaganda politica e scollegata dall’analisi dei fatti”.

L’ultimo libro di Galdo contiene certamente numerosi passaggi in grado di far arrabbiare molti, ma che servono anche per guardare la realtà con occhiali diversi che possono completare la conoscenza di quanto ruota attorno alle imprese e a tutti noi. Conoscere per deliberare, come si diceva.

Ultimi. Così le statistiche condannano l’Italia 

Antonio Galdo

Einaudi, 2016

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