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Il libro di Lippmann sulla costruzione dell’opinione pubblica serve anche per la crescita di una cultura d’impresa più consapevole e completa

La consapevolezza di dove si è, fa più accorta l’impresa. Così come la più precisa possibile coscienza del sistema di relazioni in cui l’agire imprenditoriale viene collocato. Conoscere, quindi, ed informarsi correttamente come basi essenziali per la crescita di ogni organizzazione della produzione. Avendo anche cognizione dei meccanismi con i quali la stessa macchina dell’informazione si costruisce e si muove. Di più: è quasi una relazione obbligata quella fra crescita dell’impresa e crescita della conoscenza dei meccanismi della comunicazione e dell’informazione.

A questo serve – e molto – leggere “L’opinione pubblica” di Walter Lippmann appena ripubblicato in una bella edizione. Lippmann ragiona sui meccanismi della comunicazione e dell’informazione partendo da una considerazione: “La creazione del consenso non è un’arte nuova. È un’arte vecchissima, che era stata data per morta quando apparve la democrazia, ma non è morta. La persuasione è diventata un’arte deliberata e un organo regolare del governo popolare. Nessuno di noi è in grado di vederne tutte le conseguenze, ma non è azzardato pensare che la conoscenza dei modi per creare il consenso altererà tutti i calcoli politici e modificherà tutte le premesse politiche”. Politica dunque, ma anche informazione e impresa, e mercati e (come il titolo del libro) opinione pubblica.

Il libro è stato scritto negli anni ’20 dello scorso secolo, ma ha una straordinaria attualità. In un mondo dominato dal web, dalla bulimia comunicativa e dalle cosiddette fake news, può accadere di pensare che le ambiguità e le manipolazioni che presiedono alla formazione di un’opinione collettiva nelle nostre società democratiche si siano determinate solo di recente, e solo in funzione delle ultime innovazioni tecnologiche. Invece no. Non è affatto così. E anzi, quanto accade oggi può con buona ragione essere fatto risalire a decenni indietro.

È un classico quindi il libro scritto da Lippmann (giornalista e diplomatico), che prende in considerazione tutto l’apparato di concetti e strumenti propri della comunicazione. Scorrono nel testo l’analisi degli stereotipi, il meccanismo degli interessi, quello di formazione di una volontà comune, l’analisi dei giornali e quella dell’informazione organizzata. Lippmann descrive in che modo l’opinione pubblica costruisce i propri miti, i propri eroi, i propri nemici, strappandoli alla storia e catapultandoli in una sorta di leggenda potentissima, e al tempo stesso effimera. E ancora l’autore indaga e descrive i meccanismi attraverso cui le immagini “interne” elaborate nelle nostre teste ci condizionano nei rapporti con il mondo esterno, gli ostacoli che limitano le nostre capacità di accesso ai fatti, le distorsioni provocate dalla necessità di comprimerle; infine, la paura stessa dei fatti che potrebbero minacciare la vita consueta. A partire da questi limiti, l’analisi ricostruisce come i messaggi provenienti dall’esterno siano influenzati dagli scenari mentali di ciascuno, da preconcetti e pregiudizi.

La lettura del libro di Lippmann non è sempre facilissima, ma è certamente da fare per ampliare gli orizzonti di una cultura d’impresa avveduta, consapevole, cosciente, critica e sensata. Ciò che serve anche oggi, come quasi cento anni fa.

L’opinione pubblica

Walter Lippmann

Donzelli, 2018

Il libro di Lippmann sulla costruzione dell’opinione pubblica serve anche per la crescita di una cultura d’impresa più consapevole e completa

La consapevolezza di dove si è, fa più accorta l’impresa. Così come la più precisa possibile coscienza del sistema di relazioni in cui l’agire imprenditoriale viene collocato. Conoscere, quindi, ed informarsi correttamente come basi essenziali per la crescita di ogni organizzazione della produzione. Avendo anche cognizione dei meccanismi con i quali la stessa macchina dell’informazione si costruisce e si muove. Di più: è quasi una relazione obbligata quella fra crescita dell’impresa e crescita della conoscenza dei meccanismi della comunicazione e dell’informazione.

A questo serve – e molto – leggere “L’opinione pubblica” di Walter Lippmann appena ripubblicato in una bella edizione. Lippmann ragiona sui meccanismi della comunicazione e dell’informazione partendo da una considerazione: “La creazione del consenso non è un’arte nuova. È un’arte vecchissima, che era stata data per morta quando apparve la democrazia, ma non è morta. La persuasione è diventata un’arte deliberata e un organo regolare del governo popolare. Nessuno di noi è in grado di vederne tutte le conseguenze, ma non è azzardato pensare che la conoscenza dei modi per creare il consenso altererà tutti i calcoli politici e modificherà tutte le premesse politiche”. Politica dunque, ma anche informazione e impresa, e mercati e (come il titolo del libro) opinione pubblica.

Il libro è stato scritto negli anni ’20 dello scorso secolo, ma ha una straordinaria attualità. In un mondo dominato dal web, dalla bulimia comunicativa e dalle cosiddette fake news, può accadere di pensare che le ambiguità e le manipolazioni che presiedono alla formazione di un’opinione collettiva nelle nostre società democratiche si siano determinate solo di recente, e solo in funzione delle ultime innovazioni tecnologiche. Invece no. Non è affatto così. E anzi, quanto accade oggi può con buona ragione essere fatto risalire a decenni indietro.

È un classico quindi il libro scritto da Lippmann (giornalista e diplomatico), che prende in considerazione tutto l’apparato di concetti e strumenti propri della comunicazione. Scorrono nel testo l’analisi degli stereotipi, il meccanismo degli interessi, quello di formazione di una volontà comune, l’analisi dei giornali e quella dell’informazione organizzata. Lippmann descrive in che modo l’opinione pubblica costruisce i propri miti, i propri eroi, i propri nemici, strappandoli alla storia e catapultandoli in una sorta di leggenda potentissima, e al tempo stesso effimera. E ancora l’autore indaga e descrive i meccanismi attraverso cui le immagini “interne” elaborate nelle nostre teste ci condizionano nei rapporti con il mondo esterno, gli ostacoli che limitano le nostre capacità di accesso ai fatti, le distorsioni provocate dalla necessità di comprimerle; infine, la paura stessa dei fatti che potrebbero minacciare la vita consueta. A partire da questi limiti, l’analisi ricostruisce come i messaggi provenienti dall’esterno siano influenzati dagli scenari mentali di ciascuno, da preconcetti e pregiudizi.

La lettura del libro di Lippmann non è sempre facilissima, ma è certamente da fare per ampliare gli orizzonti di una cultura d’impresa avveduta, consapevole, cosciente, critica e sensata. Ciò che serve anche oggi, come quasi cento anni fa.

L’opinione pubblica

Walter Lippmann

Donzelli, 2018

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