Pirelli, la fabbrica e la cultura
Il celebre editoriale “Questa nostra rivista” con cui Alberto Pirelli annuncia nel 1948 l’arrivo in edicola di Pirelli. Rivista di tecnica e informazione contiene un passo fondamentale: “Nella rivista parleremo noi, uomini dell’azienda, valendoci della nostra specifica esperienza e parleranno anche uomini estranei al nostro ambiente i quali, anche perchè estranei, possono meglio di noi sfuggire al fatale inaridimento del tecnicismo a oltranza e lievitare la materia con la loro arte, sensibilità e fantasia”. In quelle righe c’è tutto il significato di un vero e proprio manifesto culturale. L’azienda ha da poco aperto, nel 1947 su iniziativa di Silvestro Severgnini, il proprio Centro Culturale nello stabilimento della “Brusada” a Milano: ne parla il giornalista Vincenzo Buonassisi sulla Rivista stessa nel 1953.
Nella sua analisi delle attività dei vari enti culturali aziendali operanti in Italia in quei primi anni di Dopoguerra il giornalista nota: “Il Centro è ordinato esclusivamente al fine di mettere a contatto i dipendenti dell’azienda con le sedi naturali delle attività culturali, e non per sostituirsi ad esse”. La sua funzione non è quella di “fare” cultura ma di favorire l’incontro tra la cultura e i lavoratori, per coinvolgere “coloro che in altre circostanze non oserebbero accostarsi a cose classificate tra le più raffinate e astruse”. Il Centro è “un ponte, uno strumento comune per seguire la vita culturale nei suoi aspetti più attuali, quotidiani per sincero desiderio di cogliere l’essenza più alta del nostro tempo”. Dal Dopoguerra agli anni Sessanta del Novecento la Pirelli vive una straordinaria stagione di “umanesimo industriale”: un periodo in cui le grandi imprese italiane diventano realtà produttive e culturali e gli uomini d’azienda collaborano con scrittori, intellettuali, artisti. È in questo contesto che il pittore Ernesto Treccani viene chiamato nel 1962 da Arrigo Castellani, allora direttore della Rivista, a cercare quell’essenza tra i vulcanizzatori dello stabilimento Pirelli di Milano Bicocca: è “Un’esperienza in fabbrica “Senza condizioni – precisa Treccani – senza chiedere di illustrare questo o quello. Solo per trarre liberamente motivo per il proprio lavoro”. L’articolo introduce i suoi smalti a fuoco, “splendidi di colore, materia compatta e luminosa”. Una personale visione della produzione e del lavoro.
“Anch’io ho visitato la fabbrica”. Così il pittore Giancarlo Cazzaniga risponde nel 1963, a didascalia dei suoi pastelli a olio dipinti dentro i reparti di Bicocca. La sua fabbrica è “macchine tutte colorate: tubi gialli, rossi, verdi; strane pentole, fischi, odori, fumo: qua e là nastri che si avvolgevano o si svolgevano, a seconda del movimento che la macchina imponeva loro”. Cazzaniga entra nello stabilimento con un accompagnatore che lo guida lungo il percorso, a volte stupendosi e rimproverandolo per certe sue fermate giudicate inutili. L’arte e la cultura entrano in fabbrica, tra le pagine della Rivista Pirelli.
Il celebre editoriale “Questa nostra rivista” con cui Alberto Pirelli annuncia nel 1948 l’arrivo in edicola di Pirelli. Rivista di tecnica e informazione contiene un passo fondamentale: “Nella rivista parleremo noi, uomini dell’azienda, valendoci della nostra specifica esperienza e parleranno anche uomini estranei al nostro ambiente i quali, anche perchè estranei, possono meglio di noi sfuggire al fatale inaridimento del tecnicismo a oltranza e lievitare la materia con la loro arte, sensibilità e fantasia”. In quelle righe c’è tutto il significato di un vero e proprio manifesto culturale. L’azienda ha da poco aperto, nel 1947 su iniziativa di Silvestro Severgnini, il proprio Centro Culturale nello stabilimento della “Brusada” a Milano: ne parla il giornalista Vincenzo Buonassisi sulla Rivista stessa nel 1953.
Nella sua analisi delle attività dei vari enti culturali aziendali operanti in Italia in quei primi anni di Dopoguerra il giornalista nota: “Il Centro è ordinato esclusivamente al fine di mettere a contatto i dipendenti dell’azienda con le sedi naturali delle attività culturali, e non per sostituirsi ad esse”. La sua funzione non è quella di “fare” cultura ma di favorire l’incontro tra la cultura e i lavoratori, per coinvolgere “coloro che in altre circostanze non oserebbero accostarsi a cose classificate tra le più raffinate e astruse”. Il Centro è “un ponte, uno strumento comune per seguire la vita culturale nei suoi aspetti più attuali, quotidiani per sincero desiderio di cogliere l’essenza più alta del nostro tempo”. Dal Dopoguerra agli anni Sessanta del Novecento la Pirelli vive una straordinaria stagione di “umanesimo industriale”: un periodo in cui le grandi imprese italiane diventano realtà produttive e culturali e gli uomini d’azienda collaborano con scrittori, intellettuali, artisti. È in questo contesto che il pittore Ernesto Treccani viene chiamato nel 1962 da Arrigo Castellani, allora direttore della Rivista, a cercare quell’essenza tra i vulcanizzatori dello stabilimento Pirelli di Milano Bicocca: è “Un’esperienza in fabbrica “Senza condizioni – precisa Treccani – senza chiedere di illustrare questo o quello. Solo per trarre liberamente motivo per il proprio lavoro”. L’articolo introduce i suoi smalti a fuoco, “splendidi di colore, materia compatta e luminosa”. Una personale visione della produzione e del lavoro.
“Anch’io ho visitato la fabbrica”. Così il pittore Giancarlo Cazzaniga risponde nel 1963, a didascalia dei suoi pastelli a olio dipinti dentro i reparti di Bicocca. La sua fabbrica è “macchine tutte colorate: tubi gialli, rossi, verdi; strane pentole, fischi, odori, fumo: qua e là nastri che si avvolgevano o si svolgevano, a seconda del movimento che la macchina imponeva loro”. Cazzaniga entra nello stabilimento con un accompagnatore che lo guida lungo il percorso, a volte stupendosi e rimproverandolo per certe sue fermate giudicate inutili. L’arte e la cultura entrano in fabbrica, tra le pagine della Rivista Pirelli.