La Rivista Pirelli, tra cinema e TV
Nei suoi venticinque anni di vita, la Rivista Pirelli si è occupata “di informazione e di tecnica”, ossia di tutto quanto, tra gli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento, fosse moderno, attuale, al passo con i cambiamenti del mondo e della società. Il cinema, specchio dei tempi, non poteva non occupare un posto importante tra i temi trattati dalla Rivista, e naturalmente la parola era affidata ai più famosi critici del momento. Gran letterato convertito al cinema Emilio Cecchi, che in uno dei suoi tanti viaggi d’anteguerra in America è incuriosito dai “teatri drive-in” e ne parla ai lettori italiani della Rivista nel 1954. Un giovane ma già acutissimo Tullio Kezich, nel 1961, indaga sull’impatto che la TV ha sulle forme di spettacolo tradizionali come cinema e teatro. E ancora, il critico Morando Morandini, nel 1967, definisce come l’ultimo vero attore comico nel mondo del cinema dei tardi anni Sessanta l’americano Jerry Lewis.
Fiorentino, classe 1884, allievo di Giuseppe Prezzolini e Giovanni Papini, Emilio Cecchi si accosta al cinema da intellettuale e letterato, sull’onda della trasposizione sul grande schermo di classici come “Piccolo Mondo Antico” e “I Promessi Sposi” negli anni Quaranta. È la curiosità per il fenomeno-cinema, insieme a i suoi viaggi negli Stati Uniti, a ispirargli l’articolo “Il cinematografo motorizzato”, pubblicato sulla Rivista Pirelli n. 1 del 1954. “Questa forma di spettacolo cinematografico cui si accede seduti nella propria automobile”, sarà di lì a breve nota anche in Italia come “drive-in”. Secondo Cecchi nell’America anni Cinquanta “nessuno sarebbe invogliato ad accrescere il numero delle sale, per aspettarvi chi non viene: mentre, a questo modo, è per così dire il cinema che va incontro ad un pubblico motorizzato, e gli offre lo spettacolo senza nemmeno il disturbo di scomodarsi a scendere dalla macchina”. Una curiosità: a East Dennis, Massachusetts, il “drive in” è diventato anche un “fly in”. “Il biglietto d’accesso al ‘teatro’ costa un dollaro a persona: indistintamente per quelli che arrivano in automobile, e per quelli che arrivano in aeroplano”.
È un trentatreenne già riconosciuto come maestro di critica cinematografica Tullio Kezich, quando nel 1961 scrive per la Rivista Pirelli il saggio breve “L’occhio della telecamera”. La telecamera è ovviamente quella della TV, a quasi dieci anni dal suo ingresso nelle case degli italiani. “La TV ha sottratto e continua a sottrarre spettatori alle forma di spettacolo tradizionali?”. E, di conseguenza: “È in corso un processo attraverso il quale la TV è destinata a sostituire in massima parte, nel favore e nel consumo del pubblico, il teatro e il cinema?”. Le risposte del critico triestino non sono nè scontate nè univoche: in parte sì, perchè i meccanismi della TV hanno “regole” indipendenti dai media più tradizionali. In parte no, perchè teatro, lirica e balletto non potranno mai essere ridotti nel piccolo schermo senza snaturarsi nel loro essere spettacolo empatico e emotivo. Ma di una cosa Kezich è certo, e cioè che la TV ha dalla sua l’arma della contemporaneità: la TV ti porta “qui e adesso”, la TV è l’attualità che un palcoscenico, o un set cinematografico, non potranno mai darti. Anche solo nel documentare un’azione da gol su un campo di calcio, l’occhio della telecamera avrà sempre dalla sua l’arma “dell’adesso”.
Morando Morandini collabora per lunghi anni con la Rivista Pirelli firmando la rubrica “Cinema allo specchio”. Attento e critico studioso di usi e costumi del grande schermo, Morandini è sempre atteso dal lettore, e sulla Rivista non mancano le sue celebri “stroncature senza appello”. A sorpresa Morandini, sulla Rivista Pirelli n. 2 del 1967, si occupa di un comico americano, Jerry Lewis, “il James Dean del comico, l’unico buffo cinematografico in servizio attivo che abbia ingegno, idee e una visione del mondo”. È appena uscito nelle sale “Tre sul divano”, diretto e interpretato dall’attore allora quarantunenne. Criticando il doppiaggio che a suo dire danneggia la comicità “parlata” di Lewis, noto in Italia come “Picchiatello”, Morandini tuttavia si lancia in un entusiastico apprezzamento delle mille personalità che l’attore riesce a vestire sullo schermo, secondo la più pura tradizione della sophisticated comedy. Stigmatizzando l’aggettivo “scimmiesco” che la critica dell’epoca attribuiva comunemente a Lewis, Morandini – a proposito dei soprannomi “Id – The Idiot” e “Ug”- Il Brutto” – si chiede “chi ha saputo, con un’intelligenza quasi diabolica, costruire su questi soprannomi così offensivi una mitologia personale, uno stile comico, e un piccolo impero industriale?”.
Nei suoi venticinque anni di vita, la Rivista Pirelli si è occupata “di informazione e di tecnica”, ossia di tutto quanto, tra gli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento, fosse moderno, attuale, al passo con i cambiamenti del mondo e della società. Il cinema, specchio dei tempi, non poteva non occupare un posto importante tra i temi trattati dalla Rivista, e naturalmente la parola era affidata ai più famosi critici del momento. Gran letterato convertito al cinema Emilio Cecchi, che in uno dei suoi tanti viaggi d’anteguerra in America è incuriosito dai “teatri drive-in” e ne parla ai lettori italiani della Rivista nel 1954. Un giovane ma già acutissimo Tullio Kezich, nel 1961, indaga sull’impatto che la TV ha sulle forme di spettacolo tradizionali come cinema e teatro. E ancora, il critico Morando Morandini, nel 1967, definisce come l’ultimo vero attore comico nel mondo del cinema dei tardi anni Sessanta l’americano Jerry Lewis.
Fiorentino, classe 1884, allievo di Giuseppe Prezzolini e Giovanni Papini, Emilio Cecchi si accosta al cinema da intellettuale e letterato, sull’onda della trasposizione sul grande schermo di classici come “Piccolo Mondo Antico” e “I Promessi Sposi” negli anni Quaranta. È la curiosità per il fenomeno-cinema, insieme a i suoi viaggi negli Stati Uniti, a ispirargli l’articolo “Il cinematografo motorizzato”, pubblicato sulla Rivista Pirelli n. 1 del 1954. “Questa forma di spettacolo cinematografico cui si accede seduti nella propria automobile”, sarà di lì a breve nota anche in Italia come “drive-in”. Secondo Cecchi nell’America anni Cinquanta “nessuno sarebbe invogliato ad accrescere il numero delle sale, per aspettarvi chi non viene: mentre, a questo modo, è per così dire il cinema che va incontro ad un pubblico motorizzato, e gli offre lo spettacolo senza nemmeno il disturbo di scomodarsi a scendere dalla macchina”. Una curiosità: a East Dennis, Massachusetts, il “drive in” è diventato anche un “fly in”. “Il biglietto d’accesso al ‘teatro’ costa un dollaro a persona: indistintamente per quelli che arrivano in automobile, e per quelli che arrivano in aeroplano”.
È un trentatreenne già riconosciuto come maestro di critica cinematografica Tullio Kezich, quando nel 1961 scrive per la Rivista Pirelli il saggio breve “L’occhio della telecamera”. La telecamera è ovviamente quella della TV, a quasi dieci anni dal suo ingresso nelle case degli italiani. “La TV ha sottratto e continua a sottrarre spettatori alle forma di spettacolo tradizionali?”. E, di conseguenza: “È in corso un processo attraverso il quale la TV è destinata a sostituire in massima parte, nel favore e nel consumo del pubblico, il teatro e il cinema?”. Le risposte del critico triestino non sono nè scontate nè univoche: in parte sì, perchè i meccanismi della TV hanno “regole” indipendenti dai media più tradizionali. In parte no, perchè teatro, lirica e balletto non potranno mai essere ridotti nel piccolo schermo senza snaturarsi nel loro essere spettacolo empatico e emotivo. Ma di una cosa Kezich è certo, e cioè che la TV ha dalla sua l’arma della contemporaneità: la TV ti porta “qui e adesso”, la TV è l’attualità che un palcoscenico, o un set cinematografico, non potranno mai darti. Anche solo nel documentare un’azione da gol su un campo di calcio, l’occhio della telecamera avrà sempre dalla sua l’arma “dell’adesso”.
Morando Morandini collabora per lunghi anni con la Rivista Pirelli firmando la rubrica “Cinema allo specchio”. Attento e critico studioso di usi e costumi del grande schermo, Morandini è sempre atteso dal lettore, e sulla Rivista non mancano le sue celebri “stroncature senza appello”. A sorpresa Morandini, sulla Rivista Pirelli n. 2 del 1967, si occupa di un comico americano, Jerry Lewis, “il James Dean del comico, l’unico buffo cinematografico in servizio attivo che abbia ingegno, idee e una visione del mondo”. È appena uscito nelle sale “Tre sul divano”, diretto e interpretato dall’attore allora quarantunenne. Criticando il doppiaggio che a suo dire danneggia la comicità “parlata” di Lewis, noto in Italia come “Picchiatello”, Morandini tuttavia si lancia in un entusiastico apprezzamento delle mille personalità che l’attore riesce a vestire sullo schermo, secondo la più pura tradizione della sophisticated comedy. Stigmatizzando l’aggettivo “scimmiesco” che la critica dell’epoca attribuiva comunemente a Lewis, Morandini – a proposito dei soprannomi “Id – The Idiot” e “Ug”- Il Brutto” – si chiede “chi ha saputo, con un’intelligenza quasi diabolica, costruire su questi soprannomi così offensivi una mitologia personale, uno stile comico, e un piccolo impero industriale?”.