Montagne di carta. La “Pirelli” sull’alpinismo
Il nome della testata, per esteso, era “Pirelli. Rivista d’Informazione e di Tecnica“. Per tutti, più semplicemente, la “Rivista Pirelli”. Realizzata a Milano dalla Direzione Propaganda del Gruppo — la chiameremmo adesso Direzione Comunicazione — andò in edicola dal 1948 al 1972: un prodotto editoriale pressoché unico nel suo genere, la voce con la quale un gruppo industriale voleva discorrere direttamente con il proprio pubblico di riferimento — oggi diremmo stakeholder — su fatti e questioni di vario genere. Dai problemi del traffico alla congiuntura economica, dalle scoperte scientifiche al turismo, dallo sport all’architettura: un mondo a 360 gradi, come “a tutto tondo” è il campo visivo di una multinazionale che fa della cultura e dell’impegno sociale i propri asset intangibili quanto inalienabili. A scrivere per la Rivista Pirelli, le più grandi firme del tempo: Eugenio Montale e Giuseppe Ungaretti, Umberto Eco e Carlo Emilio Gadda, Domenico Rea e Vittorio Sereni, Mario Soldati e Italo Calvino.
Ma se si trattava di alpinismo il primo nome era quello di Dino Buzzati. Bellunese, Buzzati parlava di montagne già con Bàrnabo nel suo primo romanzo del 1933. E chissà quanto gli sarà costato titolare “Stupidità della montagna” l’articolo pubblicato sulla Rivista Pirelli n°5, ottobre 1951. È la storia di Pietro B. – già attempato, vedovo, saggio e danaroso – che cerca di convincere il nipote Enrico che la scalata al Monte Disgrazia è una grande perdita di tempo e di energie: ma perchè far tanta fatica a salire per poi dover discendere? Ma quanto è cretino l’alpinismo? Ovviamente, l’animo montanaro di Buzzati farà alla fine prevalere la passione di Enrico: “Ciao, zio Pietro, io ti saluto, io prendo il treno, io parto per le idiote stupide cretine meravigliose mie montagne!”.
E poi venne la celebre e controversa spedizione italiana alla conquista della vetta himalayana del K2: era il 1954. A lui — Rivista Pirelli n°1, 1954 — il compito di riportare la dettagliatissima cronaca di come Ardito Desio preparò l’impresa, dei suoi compagni di viaggio Compagnoni e Lacedelli, del giovane Walter Bonatti, dei dubbi e degli entusiasmi della vigilia, della minuziosa selezione dell’equipaggiamento: tende isotermiche, scarponi da 7000 metri, giacche a vento “dai colori vivacissimi, per essere avvistati sul bianco della neve”. Tanta gomma Pirelli, nella conquista del K2: in particolare, furono sperimentate nei laboratori di Bicocca le speciali maschere respiratorie a circuito aperto — in grado cioè di utilizzare anche a ottomila metri l’ossigeno dell’atmosfera — molto più leggere rispetto alle tradizionali maschere a circuito chiuso con le loro pesantissime bombole. Già sei mesi prima della partenza, il progetto K2 si guadagnò con Ardito Desio la copertina del numero di gennaio del ’54. Probabilmente, per il carattere decisamente forte dell’esploratore friulano, quella copertina serviva a “bilanciare” quell’altra cover che la Rivista aveva dedicato — numero di dicembre 1950 — a Piero Ghiglione. Considerato il padre dell’alpinismo italiano, Ghiglione aveva compiuto la prima ascensione “tricolore” alla vetta africana del Ruvenzori nel 1949, andando poi all’assalto dei “seimila” andini nel 1950. Anche in quelle imprese, suole e materassini pneumatici Pirelli avevano fatto la differenza.
Non furono solo Buzzati o Desio o Ghiglione a parlarci di montagne sulle pagine della Rivista Pirelli. “Tre divinità sull’Appennino” titolava il racconto apparso sul n°2 del 1950, a firma Riccardo Bacchelli. Ovvio, siamo distanti anni luce dagli ottomila del K2 o anche solo dalle asperità dolomitiche: ma ancora di montagne si tratta, anche se più dolci e pur avvolte nel mito. Nel sogno di Bacchelli sono Minerva, Apollo e Dioniso a dare vita al “nodo di fiumi e montagne che si aggruppa nelle regioni del Catria e della Falterona”, da dove “si disciolgono i fiumi e le parlate della Toscana e del Lazio, dell’Umbria e delle Marche”. Ed ecco l’Arno di Minerva, e le assolate valli umbre di Apollo, e le vigne “splendidi regali” di Dioniso. Monti divini, in bilico tra arte e leggenda.
Il nome della testata, per esteso, era “Pirelli. Rivista d’Informazione e di Tecnica“. Per tutti, più semplicemente, la “Rivista Pirelli”. Realizzata a Milano dalla Direzione Propaganda del Gruppo — la chiameremmo adesso Direzione Comunicazione — andò in edicola dal 1948 al 1972: un prodotto editoriale pressoché unico nel suo genere, la voce con la quale un gruppo industriale voleva discorrere direttamente con il proprio pubblico di riferimento — oggi diremmo stakeholder — su fatti e questioni di vario genere. Dai problemi del traffico alla congiuntura economica, dalle scoperte scientifiche al turismo, dallo sport all’architettura: un mondo a 360 gradi, come “a tutto tondo” è il campo visivo di una multinazionale che fa della cultura e dell’impegno sociale i propri asset intangibili quanto inalienabili. A scrivere per la Rivista Pirelli, le più grandi firme del tempo: Eugenio Montale e Giuseppe Ungaretti, Umberto Eco e Carlo Emilio Gadda, Domenico Rea e Vittorio Sereni, Mario Soldati e Italo Calvino.
Ma se si trattava di alpinismo il primo nome era quello di Dino Buzzati. Bellunese, Buzzati parlava di montagne già con Bàrnabo nel suo primo romanzo del 1933. E chissà quanto gli sarà costato titolare “Stupidità della montagna” l’articolo pubblicato sulla Rivista Pirelli n°5, ottobre 1951. È la storia di Pietro B. – già attempato, vedovo, saggio e danaroso – che cerca di convincere il nipote Enrico che la scalata al Monte Disgrazia è una grande perdita di tempo e di energie: ma perchè far tanta fatica a salire per poi dover discendere? Ma quanto è cretino l’alpinismo? Ovviamente, l’animo montanaro di Buzzati farà alla fine prevalere la passione di Enrico: “Ciao, zio Pietro, io ti saluto, io prendo il treno, io parto per le idiote stupide cretine meravigliose mie montagne!”.
E poi venne la celebre e controversa spedizione italiana alla conquista della vetta himalayana del K2: era il 1954. A lui — Rivista Pirelli n°1, 1954 — il compito di riportare la dettagliatissima cronaca di come Ardito Desio preparò l’impresa, dei suoi compagni di viaggio Compagnoni e Lacedelli, del giovane Walter Bonatti, dei dubbi e degli entusiasmi della vigilia, della minuziosa selezione dell’equipaggiamento: tende isotermiche, scarponi da 7000 metri, giacche a vento “dai colori vivacissimi, per essere avvistati sul bianco della neve”. Tanta gomma Pirelli, nella conquista del K2: in particolare, furono sperimentate nei laboratori di Bicocca le speciali maschere respiratorie a circuito aperto — in grado cioè di utilizzare anche a ottomila metri l’ossigeno dell’atmosfera — molto più leggere rispetto alle tradizionali maschere a circuito chiuso con le loro pesantissime bombole. Già sei mesi prima della partenza, il progetto K2 si guadagnò con Ardito Desio la copertina del numero di gennaio del ’54. Probabilmente, per il carattere decisamente forte dell’esploratore friulano, quella copertina serviva a “bilanciare” quell’altra cover che la Rivista aveva dedicato — numero di dicembre 1950 — a Piero Ghiglione. Considerato il padre dell’alpinismo italiano, Ghiglione aveva compiuto la prima ascensione “tricolore” alla vetta africana del Ruvenzori nel 1949, andando poi all’assalto dei “seimila” andini nel 1950. Anche in quelle imprese, suole e materassini pneumatici Pirelli avevano fatto la differenza.
Non furono solo Buzzati o Desio o Ghiglione a parlarci di montagne sulle pagine della Rivista Pirelli. “Tre divinità sull’Appennino” titolava il racconto apparso sul n°2 del 1950, a firma Riccardo Bacchelli. Ovvio, siamo distanti anni luce dagli ottomila del K2 o anche solo dalle asperità dolomitiche: ma ancora di montagne si tratta, anche se più dolci e pur avvolte nel mito. Nel sogno di Bacchelli sono Minerva, Apollo e Dioniso a dare vita al “nodo di fiumi e montagne che si aggruppa nelle regioni del Catria e della Falterona”, da dove “si disciolgono i fiumi e le parlate della Toscana e del Lazio, dell’Umbria e delle Marche”. Ed ecco l’Arno di Minerva, e le assolate valli umbre di Apollo, e le vigne “splendidi regali” di Dioniso. Monti divini, in bilico tra arte e leggenda.