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Le trame mafiose che minacciano le imprese e le scelte per la legalità e lo sviluppo economico

C’è chi, in tempo di crisi, fa molti dei suoi affari migliori. La criminalità organizzata, per esempio. Lucrando in alcuni casi sui fondi pubblici per fare fronte ai guasti del Covid e investendo nelle aziende entrate in difficoltà finanziarie in questi mesi di pandemia e allargando, così, la presa sul tessuto economico: riciclaggio di denaro sporco, appalti, servizi, smaltimento rifiuti, etc.
Va dunque ascoltata con grande attenzione la ministra degli Interni Luciana Lamorgese quando insiste sui legami tra mafia e attività imprenditoriali (“La Stampa”, 9 settembre) e si preoccupa che l’espansione delle iniziative criminali travolta l’economia sana, le imprese che operano correttamente sui mercati.

Un allarme rilanciato proprio oggi, a livello europeo, da Catherine De Bolle, responsabile di Europol (i capi delle polizie dei paesi Ue) nel corso di un incontro a Roma: “Si sta registrando in Europa un aumento delle infiltrazioni nell’economia”. Insiste la De Bolle: “L’incremento delle infiltrazioni – ha aggiunto De Bolle – è il motivo per il quale Europol ha chiesto di monitorare con attenzione i finanziamenti” connessi al Recovery Fund poiché i “fondi costituiti dagli Stati membri sono già presi di mira dalle organizzazioni criminali e prevediamo lo saranno ancora di più”. “I prodotti altamente richiesti – come disinfettanti, mascherine, termometri, ventilatori meccanici e fantomatiche cure per il coronavirus – continuano a essere oggetto di truffe di vasta portata anche online. Un modus operandi più sofisticato vede i criminali sequestrare l’identità di imprese e offrire alle vittime la vendita di prodotti legati alla pandemia, per poi sparire nel nulla. Ci sono state autorità sanitarie di stati membri e aziende private tra le vittime”, ha aggiunto De Bolle.

L’Italia è particolarmente esposta. E con maggiori rischi degli altri paesi Ue.
“E’ riduttivo oramai parlare di infiltrazioni mafiose”, siamo di fronte a una presenza strutturale delle cosche di ‘ndrangheta, camorra e Cosa nostra nell’economia delle regioni del Nord, sostengono infatti i magistrati che a Milano indagano sugli affari mafiosi, ricordando che il giro d’affari della sola ‘ndrangheta è di 55 miliardi all’anno, di cui 44 realizzati al Nord. E già nel giugno scorso Francesco Messina, il capo della Divisione Anticrimine della Polizia, aveva denunciato: “Gli interessi delle cosche puntano al Veneto. La mafia presta soldi alle aziende in crisi” (“La Stampa”, 15 giugno). Un fenomeno in crescita, dopo il solido radicamento dei clan calabresi in Lombardia e le iniziative di espansione in Piemonte, Liguria, Emilia, Val d’Aosta, Trentino e Alto Adige, come documentano bene anche inchieste giornalistiche accurate (“L’Espresso”, 12 gennaio: “La rete delle cosche calabresi arriva nei luoghi del potere e continua a estendersi in tutto il paese, dallo Stretto di Messina alle Alpi”) e ottimi libri-reportage (“Crimini a Nord-Est” di Luana de Francisco e Ugo Dinello, Laterza).

C’è un’altra voce da ascoltare, quella di Luca De Marchis, colonnello dei carabinieri, comandante a Milano: “I clan hanno denaro da prestare agli imprenditori: il terreno è fertile, va messo un argine. Serve una grande battaglia culturale” (“la Repubblica”, 9 settembre).
Ecco il punto: il rischio dell’incrocio perverso tra attività economiche in difficoltà, nel cuore d’una stravolgente recessione e l’ampia disponibilità finanziaria dei gruppi criminali. ‘Ndrangheta, camorra e mafia siciliana sono attive, soprattutto in Lombardia, dagli anni Ottanta. In tempi più recenti, sono arrivati anche i boss pugliesi. I clan si sono radicati nel territori di provincia, poi si sono allargati in città, mettendo le mani su imprese soprattutto nell’edilizia, nel commercio, nei servizi, anche in certi settori della sanità. Hanno stretto rapporti con ambienti della pubblica amministrazione. E, grazie a una rete di collaboratori (la cosiddetta “area grigia” dei professionisti, commercialisti, avvocati, personaggi della finanza, politici), si sono allargati a tutte le attività in cui il peso finanziario e la spregiudicatezza nel fare affari sono robuste leve di successo.

Le indagini degli inquirenti e parecchie operazioni giudiziarie, concluse con pesanti condanne, dicono di una rete estesa, ricca, minacciosa, forte di un solido “capitale sociale” di connivenze e complicità.
Una rete da contrastare con decisione. Le attività investigative e repressive sono fondamentali, senza mai “abbassare la guardia”. Ma sono indispensabili anche le iniziative della società civile, delle organizzazioni degli imprenditori, dei sindacati dei lavoratori, proprio per quella “battaglia culturale” di cui parlava il colonnello De Marchis.
Da anni l’Assolombarda è in prima linea, nella battaglia per la legalità, contro le mafie: documenti, inchieste, convegni, dibattiti con magistrati e inquirenti, incontri con gli studenti a Milano e nelle scuola di Monza e della Brianza. L’obiettivo: costruire e rafforzare l’opinione pubblica sulla tutela dell’economia sana e delle imprese che determinano il buon andamento dell’economia.
C’è soprattutto un impegno: lavorare con le imprese iscritte all’Associazione nel chiarire il vero volto della mafia e prevenire infiltrazioni.

La mafia – si spiega – non è un’agenzia di servizi, cui affidarsi per risolvere un problema di credito, ottenere un favore dalla pubblica amministrazione, vincere una gara d’appalto, smaltire rifiuti, battere la concorrenza. Il rapporto con un clan mafioso (anche quando si comincia ad avere a che fare con mediatori all’apparenza “insospettabili”, con professionisti del mondo degli affari) è un inquinamento che fa danni per sempre. Entrare in contatto con un boss significa non salvare ma perdere definitivamente l’azienda. L’imprenditore, spesso, è solo e disorientato. Le iniziative di ascolto (uno “sportello” per le piccole e medie imprese, attivo in Assolombarda) sono un passo importante di rassicurazione, di chiarimento, di aiuto.

Le iniziative d’ascolto, tra gli imprenditori, hanno avuto seguito. L’eco è stata ampia. Le reazioni, allarmate, con la presa d’atto che la mafia è un vero e proprio tumore per l’economia.
Le iniziative vanno, però, continuate, proprio in questi difficili tempi di crisi, in cui molte imprese, in difficoltà, possono essere tentate dalle scorciatoie mafiose, soprattutto sui temi del credito. I “consorzi fidi” , su cui le associazioni d’impresa hanno voce in capitolo, possono essere strumenti di consulenza e sostegno.
La battaglia antimafia, vista dal fronte delle associazioni d’impresa, è una battaglia generale di legalità e corretta, trasparente competitività.

Iniziative culturali contro la penetrazione dei boss criminali, dunque. Ma anche una richiesta di buone politiche, locali e nazionali, per semplificare le procedure della pubblica amministrazione, rendere trasparenti ed efficaci le pratiche per appalti e servizi, evitare le lungaggini e le difficoltà (i lenti pagamenti della pubblica amministrazione, che strozzano le imprese e ne mettono in crisi i regolari flussi finanziari). Legalità e libertà economiche. Legalità e spazio per la crescita dell’economia di mercato, secondo una cultura segnata da libertà, competitività, responsabilità e sostenibilità, i pilastri estensioni di una buona cultura d’impresa.

L’orizzonte generale di questo impegno è un’indicazione di Piero Calamandrei, uno dei “padri” della nostra Costituzione: “Con la legalità non vi è ancora libertà. Ma senza legalità libertà non può esserci. Perché solo la legalità assicura, nel mondo meno imperfetto possibile, quella certezza del diritto senza la quale, praticamente, non può sussistere libertà politica”.

C’è chi, in tempo di crisi, fa molti dei suoi affari migliori. La criminalità organizzata, per esempio. Lucrando in alcuni casi sui fondi pubblici per fare fronte ai guasti del Covid e investendo nelle aziende entrate in difficoltà finanziarie in questi mesi di pandemia e allargando, così, la presa sul tessuto economico: riciclaggio di denaro sporco, appalti, servizi, smaltimento rifiuti, etc.
Va dunque ascoltata con grande attenzione la ministra degli Interni Luciana Lamorgese quando insiste sui legami tra mafia e attività imprenditoriali (“La Stampa”, 9 settembre) e si preoccupa che l’espansione delle iniziative criminali travolta l’economia sana, le imprese che operano correttamente sui mercati.

Un allarme rilanciato proprio oggi, a livello europeo, da Catherine De Bolle, responsabile di Europol (i capi delle polizie dei paesi Ue) nel corso di un incontro a Roma: “Si sta registrando in Europa un aumento delle infiltrazioni nell’economia”. Insiste la De Bolle: “L’incremento delle infiltrazioni – ha aggiunto De Bolle – è il motivo per il quale Europol ha chiesto di monitorare con attenzione i finanziamenti” connessi al Recovery Fund poiché i “fondi costituiti dagli Stati membri sono già presi di mira dalle organizzazioni criminali e prevediamo lo saranno ancora di più”. “I prodotti altamente richiesti – come disinfettanti, mascherine, termometri, ventilatori meccanici e fantomatiche cure per il coronavirus – continuano a essere oggetto di truffe di vasta portata anche online. Un modus operandi più sofisticato vede i criminali sequestrare l’identità di imprese e offrire alle vittime la vendita di prodotti legati alla pandemia, per poi sparire nel nulla. Ci sono state autorità sanitarie di stati membri e aziende private tra le vittime”, ha aggiunto De Bolle.

L’Italia è particolarmente esposta. E con maggiori rischi degli altri paesi Ue.
“E’ riduttivo oramai parlare di infiltrazioni mafiose”, siamo di fronte a una presenza strutturale delle cosche di ‘ndrangheta, camorra e Cosa nostra nell’economia delle regioni del Nord, sostengono infatti i magistrati che a Milano indagano sugli affari mafiosi, ricordando che il giro d’affari della sola ‘ndrangheta è di 55 miliardi all’anno, di cui 44 realizzati al Nord. E già nel giugno scorso Francesco Messina, il capo della Divisione Anticrimine della Polizia, aveva denunciato: “Gli interessi delle cosche puntano al Veneto. La mafia presta soldi alle aziende in crisi” (“La Stampa”, 15 giugno). Un fenomeno in crescita, dopo il solido radicamento dei clan calabresi in Lombardia e le iniziative di espansione in Piemonte, Liguria, Emilia, Val d’Aosta, Trentino e Alto Adige, come documentano bene anche inchieste giornalistiche accurate (“L’Espresso”, 12 gennaio: “La rete delle cosche calabresi arriva nei luoghi del potere e continua a estendersi in tutto il paese, dallo Stretto di Messina alle Alpi”) e ottimi libri-reportage (“Crimini a Nord-Est” di Luana de Francisco e Ugo Dinello, Laterza).

C’è un’altra voce da ascoltare, quella di Luca De Marchis, colonnello dei carabinieri, comandante a Milano: “I clan hanno denaro da prestare agli imprenditori: il terreno è fertile, va messo un argine. Serve una grande battaglia culturale” (“la Repubblica”, 9 settembre).
Ecco il punto: il rischio dell’incrocio perverso tra attività economiche in difficoltà, nel cuore d’una stravolgente recessione e l’ampia disponibilità finanziaria dei gruppi criminali. ‘Ndrangheta, camorra e mafia siciliana sono attive, soprattutto in Lombardia, dagli anni Ottanta. In tempi più recenti, sono arrivati anche i boss pugliesi. I clan si sono radicati nel territori di provincia, poi si sono allargati in città, mettendo le mani su imprese soprattutto nell’edilizia, nel commercio, nei servizi, anche in certi settori della sanità. Hanno stretto rapporti con ambienti della pubblica amministrazione. E, grazie a una rete di collaboratori (la cosiddetta “area grigia” dei professionisti, commercialisti, avvocati, personaggi della finanza, politici), si sono allargati a tutte le attività in cui il peso finanziario e la spregiudicatezza nel fare affari sono robuste leve di successo.

Le indagini degli inquirenti e parecchie operazioni giudiziarie, concluse con pesanti condanne, dicono di una rete estesa, ricca, minacciosa, forte di un solido “capitale sociale” di connivenze e complicità.
Una rete da contrastare con decisione. Le attività investigative e repressive sono fondamentali, senza mai “abbassare la guardia”. Ma sono indispensabili anche le iniziative della società civile, delle organizzazioni degli imprenditori, dei sindacati dei lavoratori, proprio per quella “battaglia culturale” di cui parlava il colonnello De Marchis.
Da anni l’Assolombarda è in prima linea, nella battaglia per la legalità, contro le mafie: documenti, inchieste, convegni, dibattiti con magistrati e inquirenti, incontri con gli studenti a Milano e nelle scuola di Monza e della Brianza. L’obiettivo: costruire e rafforzare l’opinione pubblica sulla tutela dell’economia sana e delle imprese che determinano il buon andamento dell’economia.
C’è soprattutto un impegno: lavorare con le imprese iscritte all’Associazione nel chiarire il vero volto della mafia e prevenire infiltrazioni.

La mafia – si spiega – non è un’agenzia di servizi, cui affidarsi per risolvere un problema di credito, ottenere un favore dalla pubblica amministrazione, vincere una gara d’appalto, smaltire rifiuti, battere la concorrenza. Il rapporto con un clan mafioso (anche quando si comincia ad avere a che fare con mediatori all’apparenza “insospettabili”, con professionisti del mondo degli affari) è un inquinamento che fa danni per sempre. Entrare in contatto con un boss significa non salvare ma perdere definitivamente l’azienda. L’imprenditore, spesso, è solo e disorientato. Le iniziative di ascolto (uno “sportello” per le piccole e medie imprese, attivo in Assolombarda) sono un passo importante di rassicurazione, di chiarimento, di aiuto.

Le iniziative d’ascolto, tra gli imprenditori, hanno avuto seguito. L’eco è stata ampia. Le reazioni, allarmate, con la presa d’atto che la mafia è un vero e proprio tumore per l’economia.
Le iniziative vanno, però, continuate, proprio in questi difficili tempi di crisi, in cui molte imprese, in difficoltà, possono essere tentate dalle scorciatoie mafiose, soprattutto sui temi del credito. I “consorzi fidi” , su cui le associazioni d’impresa hanno voce in capitolo, possono essere strumenti di consulenza e sostegno.
La battaglia antimafia, vista dal fronte delle associazioni d’impresa, è una battaglia generale di legalità e corretta, trasparente competitività.

Iniziative culturali contro la penetrazione dei boss criminali, dunque. Ma anche una richiesta di buone politiche, locali e nazionali, per semplificare le procedure della pubblica amministrazione, rendere trasparenti ed efficaci le pratiche per appalti e servizi, evitare le lungaggini e le difficoltà (i lenti pagamenti della pubblica amministrazione, che strozzano le imprese e ne mettono in crisi i regolari flussi finanziari). Legalità e libertà economiche. Legalità e spazio per la crescita dell’economia di mercato, secondo una cultura segnata da libertà, competitività, responsabilità e sostenibilità, i pilastri estensioni di una buona cultura d’impresa.

L’orizzonte generale di questo impegno è un’indicazione di Piero Calamandrei, uno dei “padri” della nostra Costituzione: “Con la legalità non vi è ancora libertà. Ma senza legalità libertà non può esserci. Perché solo la legalità assicura, nel mondo meno imperfetto possibile, quella certezza del diritto senza la quale, praticamente, non può sussistere libertà politica”.

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