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150 ANNI DI STORIA: INDUSTRIA, CULTURA, INNOVAZIONE, PERSONE, PER COSTRUIRE UN FUTURO SOSTENIBILE

La nostra industria è per sua natura progressiva”. È il 1880 quando Giovanni Battista Pirelli dà, dell’impresa da poco fondata, questa definizione che in poche, essenziali battute, ricapitola il senso e l’orizzonte del progetto che da poco ha preso vita. “Progressiva” e cioè impegnata a interpretare, realizzare e rilanciare il progresso. Industriale, tecnologico, produttivo, ma anche economico e sociale.

L’ultimo trentennio dell’Ottocento, anche in Italia, ha i colori dell’ottimismo. Si respira fiducia. Si immaginano finalmente “magnifiche sorti, e progressive”, capovolgendo in positivo il pessimismo critico de “La ginestra” di Giacomo Leopardi.

Il secolo che va verso la fine sembra tutt’altro che “superbo e sciocco”. Le nubi dei conflitti si allontanano, dopo la guerra franco-prussiana del ‘70-‘71. L’Italia, con la presa di Porta Pia, nel settembre 1870, ha finalmente Roma come capitale. L’industria avanza impetuosamente in tutta Europa e pure l’Italia, soprattutto in Lombardia, in Piemonte e in Liguria, ma anche nella Palermo dei Florio, cerca di recuperare lo svantaggio dei ritardi di partenza. Girano soldi, nascono banche. C’è effervescenza per le avventure coloniali in terra d’Africa. Si aprono manifatture, si costruiscono ferrovie e si fondano giornali, il “Corriere della Sera” a Milano nel 1876, “La Stampa” a Torino nel 1867 (con il nome iniziale di “Gazzetta Piemontese”), “Il Messaggero” a Roma nel 1878. Fare. E fare sapere. L’impresa. E il suo racconto.

Irrompe la modernità. Si sperimentano novità in letteratura e in pittura, nella musica e nelle scienze, nella moda e nei costumi, più allegri, disinvolti, liberi. La realtà delle trasformazioni economiche e sociali si rafforza con i sentimenti audaci d’una borghesia che pretende cambiamenti. Ci si prepara all’avvento del Novecento e alla frenesia della Belle Époque. Quell’aggettivo usato dal giovane industriale Pirelli, “progressivo”, coglie bene il segno dei tempi.

E definisce subito una tendenza che accompagnerà il lungo corso di vita dell’impresa che porta il suo nome: la sintonia con la contemporaneità, l’attitudine all’innovazione.
Lungo corso: 150 anni. Da festeggiare, con una serie di iniziative che cominciano venerdì 28, la data dell’atto di fondazione della Pirelli, con una rappresentazione al Piccolo Teatro di Milano costruita sull’intreccio tra ricostruzioni storiche, testimonianze d’attualità e ipotesi di futuro (sul palco e in collegamento in diretta, Ferruccio de Bortoli, Stefano Domenicali, Giampiero Massolo, Paolo Mieli, Renzo Piano, Alberto Pirelli, Ferruccio Resta, Anna Maria Testa e Marco Tronchetti Provera, con la conduzione di Ilaria D’Amico). Si continua con un calendario di altre iniziative, istituzionali, culturali ed economiche, anche nei paesi del mondo in cui Pirelli ha una forte presenza industriale e commerciale (tra le iniziative, per scelta della Zecca e del Poligrafico dello Stato, ci sono anche tre monete commemorative e un francobollo speciale, nella serie dedicata “alle eccellenze del sistema economico”).
Il senso di fondo delle rappresentazioni è raccontare come si sia costruita una storia particolare che lega industria, tecnologie, cultura, comunicazione, sport. E come, nel segno dell’innovazione, ci sia ancora molta strada da poter percorrere.

Tutto comincia, appunto, il 28 gennaio del 1872, nello studio del notaio Stefano Allocchio, a Milano. Nasce la società in accomandita semplice GB Pirelli & C. L’imprenditore, Giovanni Battista Pirelli, è fresco di laurea al Politecnico di Milano e reduce da un lungo viaggio d’istruzione nei paesi allora più industrializzati d’Europa, dove concentra l’attenzione su una lavorazione che ancora in Italia non c’è: quella della gomma, del caoutchouc.

Eccolo, il germe dell’impresa: un’idea innovativa che diventa cinghie, valvole, tubi, cavi rivestiti e poi ancora impermeabili, cuffie, giocattoli… E, dall’inizio del Novecento, pneumatici. Tutto di gomma. Si parte in un piccolo stabilimento industriale, in via Ponte Seveso, pochi operai, macchine d’avanguardia. Poi, si cresce. In Italia. E, rapidamente, nel mondo.
Il segno dell’innovazione è duplice: nei prodotti e nella scelta di muoversi sui mercati internazionali più selettivi, severi: i cavi per trasportare energia e segnali di comunicazione, i pneumatici per le competizioni sportive più impegnative (si comincia con la vittoria della Pechino-Parigi nel 1907) e per l’utilizzo quotidiano più sofisticato.
L’intero corso del Novecento si snoda secondo queste direttrici, insistendo anche sulla qualità e sull’efficienza degli impianti produttivi, un po’ dovunque nel mondo, dall’Italia alla Germania, dalla Gran Bretagna alla Romania, dal Brasile all’Argentina, dagli Stati Uniti al Messico, dalla Russia alla Cina, dalla Turchia all’Indonesia (per citare solo i paesi in cui c’è ancora oggi una presenza industriale).

L’attualità racconta fabbriche innovative, digitali. Con un’attenzione rilevante alla sostenibilità ambientale e sociale, all’energia rinnovabile, alla sicurezza. E con un’idea di fondo, quella della “fabbrica bella” e cioè ben progettata, luminosa, trasparente, sicura, in cui la qualità dei luoghi di lavoro e la qualità dei prodotti siano in piena sintonia. Lo stabilimento di Settimo Torinese, con “la Spina” progettata da Renzo Piano e che lega le due strutture produttive, ospitando uffici, servizi e laboratori di ricerca, in una sorta di parco con quattrocento alberi di ciliegio, ne è un buon esempio, un paradigma adottato anche in altri stabilimenti nel mondo. La qualità delle architetture industriali, d’altronde, è un altro segno distintivo della lunga esperienza Pirelli: il Grattacielo Pirelli progettato da Gio Ponti, simbolo del boom economico degli anni Sessanta e la ristrutturazione della Bicocca firmata da Vittorio Gregotti, con l’Headquarter Pirelli tutt’attorno alla Torre di raffreddamento della vecchia fabbrica. Progetti e costruzioni che fanno da landmark metropolitani della contemporaneità.
Un’impresa, infatti, “vive, nel corso del tempo, se ha dei valori che ispirano le persone che la guidano e coinvolgono tutti coloro che vi operano. La passione per il lavoro ben fatto, per esempio. Il gusto spiccato per l’innovazione. La consapevolezza di essere un attore fondamentale non solo della crescita economica, ma più in generale dello sviluppo sociale, civile, culturale. Sono valori forti, elementi di un’identità che si evolve, ma che mantiene salde radici nella propria memoria e uno sguardo sempre aperto al cambiamento, alle sfide della contemporaneità”, sostiene Marco Tronchetti Provera, Ceo di Pirelli.

La relazione, storica e contemporanea, con il mondo delle corse è testimonianza evidente della forza di queste sfide.
Le competizioni, infatti, dai rally alla Formula 1, sono una straordinaria opportunità di test e di evoluzione dei prodotti. Le piste di gara e quelle di prova sono un laboratorio speciale a cielo aperto, un banco di sperimentazione dei prodotti in condizioni estreme di uso. E i risultati si riflettono sulle produzioni per il mercato. Con una circolarità di rapporti, tra pista e strada, che rafforzano la capacità competitiva della Pirelli e ne definiscono, anche in prospettiva, l’orizzonte di sviluppo.
L’innovazione, insomma, è un percorso a tutto tondo, anche adesso che si entra nel vivo delle nuove dimensioni del produrre e del vivere. L’auto elettrica e la mobilità da smart city. Le fabbriche digitali. I robot nelle strutture della fabbrica data driven. I simulatori high-tech. Le nanotecnologie. I cybertyre. E l’Intelligenza Artificiale applicata alla ricerca, alla produzione, al consumo. Tutti i capitoli di una storia che si sta proprio adesso vivendo e scrivendo. E che chiede anche alla cultura economica e alla cultura d’impresa un profondo impegno di analisi e di proposte sui nuovi equilibri economici e sociali.

Mercato, welfare, democrazia stessi sono in tensione. Scienza e conoscenza sono sollecitate a una inedita dimensione della responsabilità.
C’è uno slogan, che caratterizza la comunicazione Pirelli: “Power is nothing without control”. Accompagnava una campagna pubblicitaria del 1994, con Carl Lewis, straordinario campione mondiale di velocità, fotografato da Annie Leibovitz con un paio di scarpe rosse con i tacchi a spillo. Innovazione e ironia. Lo slogan, nel tempo, è andato al di là di quella brillante scelta di comunicazione. Ha ampliato il suo senso. Parla di relazione tra potenza (e potere) e controllo e dunque di equilibrio, di responsabilità. Una scelta di cultura d’impresa. Ma anche un’indicazione di cultura e di senso civile generale. Un “classico”, insomma. Carico dunque d’un forte valore d’attualità.

La nostra industria è per sua natura progressiva”. È il 1880 quando Giovanni Battista Pirelli dà, dell’impresa da poco fondata, questa definizione che in poche, essenziali battute, ricapitola il senso e l’orizzonte del progetto che da poco ha preso vita. “Progressiva” e cioè impegnata a interpretare, realizzare e rilanciare il progresso. Industriale, tecnologico, produttivo, ma anche economico e sociale.

L’ultimo trentennio dell’Ottocento, anche in Italia, ha i colori dell’ottimismo. Si respira fiducia. Si immaginano finalmente “magnifiche sorti, e progressive”, capovolgendo in positivo il pessimismo critico de “La ginestra” di Giacomo Leopardi.

Il secolo che va verso la fine sembra tutt’altro che “superbo e sciocco”. Le nubi dei conflitti si allontanano, dopo la guerra franco-prussiana del ‘70-‘71. L’Italia, con la presa di Porta Pia, nel settembre 1870, ha finalmente Roma come capitale. L’industria avanza impetuosamente in tutta Europa e pure l’Italia, soprattutto in Lombardia, in Piemonte e in Liguria, ma anche nella Palermo dei Florio, cerca di recuperare lo svantaggio dei ritardi di partenza. Girano soldi, nascono banche. C’è effervescenza per le avventure coloniali in terra d’Africa. Si aprono manifatture, si costruiscono ferrovie e si fondano giornali, il “Corriere della Sera” a Milano nel 1876, “La Stampa” a Torino nel 1867 (con il nome iniziale di “Gazzetta Piemontese”), “Il Messaggero” a Roma nel 1878. Fare. E fare sapere. L’impresa. E il suo racconto.

Irrompe la modernità. Si sperimentano novità in letteratura e in pittura, nella musica e nelle scienze, nella moda e nei costumi, più allegri, disinvolti, liberi. La realtà delle trasformazioni economiche e sociali si rafforza con i sentimenti audaci d’una borghesia che pretende cambiamenti. Ci si prepara all’avvento del Novecento e alla frenesia della Belle Époque. Quell’aggettivo usato dal giovane industriale Pirelli, “progressivo”, coglie bene il segno dei tempi.

E definisce subito una tendenza che accompagnerà il lungo corso di vita dell’impresa che porta il suo nome: la sintonia con la contemporaneità, l’attitudine all’innovazione.
Lungo corso: 150 anni. Da festeggiare, con una serie di iniziative che cominciano venerdì 28, la data dell’atto di fondazione della Pirelli, con una rappresentazione al Piccolo Teatro di Milano costruita sull’intreccio tra ricostruzioni storiche, testimonianze d’attualità e ipotesi di futuro (sul palco e in collegamento in diretta, Ferruccio de Bortoli, Stefano Domenicali, Giampiero Massolo, Paolo Mieli, Renzo Piano, Alberto Pirelli, Ferruccio Resta, Anna Maria Testa e Marco Tronchetti Provera, con la conduzione di Ilaria D’Amico). Si continua con un calendario di altre iniziative, istituzionali, culturali ed economiche, anche nei paesi del mondo in cui Pirelli ha una forte presenza industriale e commerciale (tra le iniziative, per scelta della Zecca e del Poligrafico dello Stato, ci sono anche tre monete commemorative e un francobollo speciale, nella serie dedicata “alle eccellenze del sistema economico”).
Il senso di fondo delle rappresentazioni è raccontare come si sia costruita una storia particolare che lega industria, tecnologie, cultura, comunicazione, sport. E come, nel segno dell’innovazione, ci sia ancora molta strada da poter percorrere.

Tutto comincia, appunto, il 28 gennaio del 1872, nello studio del notaio Stefano Allocchio, a Milano. Nasce la società in accomandita semplice GB Pirelli & C. L’imprenditore, Giovanni Battista Pirelli, è fresco di laurea al Politecnico di Milano e reduce da un lungo viaggio d’istruzione nei paesi allora più industrializzati d’Europa, dove concentra l’attenzione su una lavorazione che ancora in Italia non c’è: quella della gomma, del caoutchouc.

Eccolo, il germe dell’impresa: un’idea innovativa che diventa cinghie, valvole, tubi, cavi rivestiti e poi ancora impermeabili, cuffie, giocattoli… E, dall’inizio del Novecento, pneumatici. Tutto di gomma. Si parte in un piccolo stabilimento industriale, in via Ponte Seveso, pochi operai, macchine d’avanguardia. Poi, si cresce. In Italia. E, rapidamente, nel mondo.
Il segno dell’innovazione è duplice: nei prodotti e nella scelta di muoversi sui mercati internazionali più selettivi, severi: i cavi per trasportare energia e segnali di comunicazione, i pneumatici per le competizioni sportive più impegnative (si comincia con la vittoria della Pechino-Parigi nel 1907) e per l’utilizzo quotidiano più sofisticato.
L’intero corso del Novecento si snoda secondo queste direttrici, insistendo anche sulla qualità e sull’efficienza degli impianti produttivi, un po’ dovunque nel mondo, dall’Italia alla Germania, dalla Gran Bretagna alla Romania, dal Brasile all’Argentina, dagli Stati Uniti al Messico, dalla Russia alla Cina, dalla Turchia all’Indonesia (per citare solo i paesi in cui c’è ancora oggi una presenza industriale).

L’attualità racconta fabbriche innovative, digitali. Con un’attenzione rilevante alla sostenibilità ambientale e sociale, all’energia rinnovabile, alla sicurezza. E con un’idea di fondo, quella della “fabbrica bella” e cioè ben progettata, luminosa, trasparente, sicura, in cui la qualità dei luoghi di lavoro e la qualità dei prodotti siano in piena sintonia. Lo stabilimento di Settimo Torinese, con “la Spina” progettata da Renzo Piano e che lega le due strutture produttive, ospitando uffici, servizi e laboratori di ricerca, in una sorta di parco con quattrocento alberi di ciliegio, ne è un buon esempio, un paradigma adottato anche in altri stabilimenti nel mondo. La qualità delle architetture industriali, d’altronde, è un altro segno distintivo della lunga esperienza Pirelli: il Grattacielo Pirelli progettato da Gio Ponti, simbolo del boom economico degli anni Sessanta e la ristrutturazione della Bicocca firmata da Vittorio Gregotti, con l’Headquarter Pirelli tutt’attorno alla Torre di raffreddamento della vecchia fabbrica. Progetti e costruzioni che fanno da landmark metropolitani della contemporaneità.
Un’impresa, infatti, “vive, nel corso del tempo, se ha dei valori che ispirano le persone che la guidano e coinvolgono tutti coloro che vi operano. La passione per il lavoro ben fatto, per esempio. Il gusto spiccato per l’innovazione. La consapevolezza di essere un attore fondamentale non solo della crescita economica, ma più in generale dello sviluppo sociale, civile, culturale. Sono valori forti, elementi di un’identità che si evolve, ma che mantiene salde radici nella propria memoria e uno sguardo sempre aperto al cambiamento, alle sfide della contemporaneità”, sostiene Marco Tronchetti Provera, Ceo di Pirelli.

La relazione, storica e contemporanea, con il mondo delle corse è testimonianza evidente della forza di queste sfide.
Le competizioni, infatti, dai rally alla Formula 1, sono una straordinaria opportunità di test e di evoluzione dei prodotti. Le piste di gara e quelle di prova sono un laboratorio speciale a cielo aperto, un banco di sperimentazione dei prodotti in condizioni estreme di uso. E i risultati si riflettono sulle produzioni per il mercato. Con una circolarità di rapporti, tra pista e strada, che rafforzano la capacità competitiva della Pirelli e ne definiscono, anche in prospettiva, l’orizzonte di sviluppo.
L’innovazione, insomma, è un percorso a tutto tondo, anche adesso che si entra nel vivo delle nuove dimensioni del produrre e del vivere. L’auto elettrica e la mobilità da smart city. Le fabbriche digitali. I robot nelle strutture della fabbrica data driven. I simulatori high-tech. Le nanotecnologie. I cybertyre. E l’Intelligenza Artificiale applicata alla ricerca, alla produzione, al consumo. Tutti i capitoli di una storia che si sta proprio adesso vivendo e scrivendo. E che chiede anche alla cultura economica e alla cultura d’impresa un profondo impegno di analisi e di proposte sui nuovi equilibri economici e sociali.

Mercato, welfare, democrazia stessi sono in tensione. Scienza e conoscenza sono sollecitate a una inedita dimensione della responsabilità.
C’è uno slogan, che caratterizza la comunicazione Pirelli: “Power is nothing without control”. Accompagnava una campagna pubblicitaria del 1994, con Carl Lewis, straordinario campione mondiale di velocità, fotografato da Annie Leibovitz con un paio di scarpe rosse con i tacchi a spillo. Innovazione e ironia. Lo slogan, nel tempo, è andato al di là di quella brillante scelta di comunicazione. Ha ampliato il suo senso. Parla di relazione tra potenza (e potere) e controllo e dunque di equilibrio, di responsabilità. Una scelta di cultura d’impresa. Ma anche un’indicazione di cultura e di senso civile generale. Un “classico”, insomma. Carico dunque d’un forte valore d’attualità.

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