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6 milioni di italiani nei musei d’impresa, il turismo industriale è utile all’economia 

Quasi 6 milioni di italiani (5,8 milioni, per l’esattezza), negli ultimi quattro anni, hanno visitato un museo d’impresa, un archivio storico aziendale o un luogo d’archeologia industriale. Sono stati mossi dal desiderio di capire meglio cosa c’è dietro gli oggetti icone del miglior made in Italy, di conoscere la storia delle imprese e l’arte e il design collegati, di sapere quali siano i rapporti tra industrie e territori. Sono giovani (la maggior parte hanno fra i 30 e i 44 anni), con un alto livello di istruzione, vengono soprattutto dalle regioni del Nord. E giudicano l’esperienza fatta “educativa e formativa”. E fra i 34milioni di italiani che, appunto negli ultimi quattro anni, hanno fatto un viaggio o almeno una gita fuori porta, oltre al 17% che ha già visto un museo d’impresa, c’è un buon 21% che volentieri ci andrebbe. Una occasione interessante per sviluppare il “turismo industriale”. E una prospettiva quanto mai stimolante per chi ha a cuore la conoscenza della storia economica, il rilancio della cultura d’impresa e una più diffusa e responsabile comprensione del ruolo delle nostre aziende manifatturiere e dei servizi per migliorare lo sviluppo economico del nostro paese.

I musei più frequentati? Quello della Ferrari a Maranello, seguito dal Villaggio Crespi d’Adda in provincia di Bergamo, dal Museo storico Alfa Romeo ad Arese, dal Museo Lavazza a Torino e dall’Archivio Storico Olivetti a Ivrea. C’è spazio per crescere e valorizzare altre realtà un po’ in tutta Italia.

I dati emergono da una ricerca su “Il turismo industriale in Italia: dimensioni, percezione e potenzialità di sviluppo” curata da Nomisma su incarico di Museimpresa (l’associazione nata oltre vent’anni fa per iniziativa di Assolombarda e Confindustria e oggi forte di oltre 130 tra iscritti e sostenitori istituzionali, tra grandi, medie e piccole imprese e autorevoli istituzioni economiche e culturali). E potrà fare da base per un vero e proprio “Osservatorio sul turismo industriale”, misurandone le dimensioni e le potenzialità e valutandone l’impatto sulle imprese stesse e sui territori. Un obiettivo possibile: costruire maggiori e migliori sinergie tra i musei d’impresa e le rassegne di scienza e architettura, le associazioni storiche, i festival sulla scienza e l’economia, le manifestazioni culturali (insistendo, per esempio, sulla letteratura, il cinema e la fotografia sul lavoro e l’industria).

La ricerca è stata presentata nello scorso fine settimana durante il Seminario annuale di Museimpresa a Matera, a Pisticci (nel museo Essenza Lucano), ad Altamura (con un incontro al Museo del pane di Vito Forte, Oropan) e al museo del Confetto Nucci ad Andria. Il tema del seminario: “Carte d’archivio, mappe di sviluppo”. Con un occhio d’attenzione per il Mezzogiorno. Non solo per dare maggior valore all’industria manifatturiera, cardine essenziale d’una crescita economica e sociale meglio equilibrata. Ma anche per ragionare su come evitare le derive negative del cosiddetto overtourism (l’invasione di città e paesi da parte di turisti frettolosi e sciatti, sostanzialmente disattenti alle bellezze di ambienti e territori) e qualificare l’offerta turistica mettendo in risalto valori culturali, sociali, architettonici, scientifici e industriali di luoghi carichi di storia, intraprendenza, capacità di “fare, fare bene e fare del bene”.

I territori dei musei e degli archivi d’impresa, infatti, sono esempi interessanti dei legami tra imprese, scienza, tecnologia e cultura. Ospitano “fabbriche belle” e cioè architettonicamente ben progettate, ambientalmente sostenibili, luminose e sicure (gli esempi sono oramai numerosi, oltre allo stabilimento Pirelli di Settimo Torinese progettato la Renzo Piano, la “fabbrica nel giardino dei ciliegi”). Confermano le relazioni virtuose tra produttività e qualità del lavoro, nel segno di un vero e proprio “umanesimo industriale”. E proprio nel rapporto con le culture locali e con le tradizioni dei distretti produttivi (meccanici, chimici, farmaceutici, automotive, tessili, agroalimentari, legno e arredo, etc.) testimoniano una caratteristica tipica del made in Italy: le sinergie tra competitività e inclusione sociale, tra senso profondo della bellezza (il design ne è testimonianza fondamentale) e dinamica inclinazione all’innovazione.

La geografia dei nostri archivi e musei d’impresa, insomma, racconta la realtà di un’Italia intraprendente, operosa, cosciente di quanto la testimonianza della propria storia sia una leva fondamentale dello sviluppo sostenibile, un patrimonio economico e culturale indispensabile per costruire un miglior futuro delle nuove generazioni.

Una leva da valorizzare, soprattutto adesso, mentre l’economia annaspa, tra bassa crescita e preoccupazioni per l’alto livello dell’inflazione e dei tassi (che bloccano gli investimenti e fanno crescere il costo del debito pubblico, sottraendo risorse agli interventi pubblici per riforme e sviluppo). E tocca ancora una volta alle imprese fare tutto il possibile perché le loro capacità produttive e di export sostengano il Pil oltre la soglia stentata dello “0,…”.

Per farlo, è indispensabile, appunto, anche raccontare il nostro patrimonio imprenditoriale, storico e contemporaneo, più e meglio di come non si sia fatto finora, con un dialogo aperto, critico, sincero, tra imprese e personalità della cultura, della letteratura, del teatro e del cinema. Con una relazione dialettica tra “saper fare” e “far sapere”. Usando bene – ecco un altro aspetto messo in luce dalla ricerca Nomisma, tutte le opportunità offerte dal mondo digitale.

Raccontare cosa? Che imprese industriali, banche, assicurazioni, società di servizi documentano come le capacità di “fare cose belle che piacciono al mondo” (secondo la brillante definizione dello storico Carlo M. Cipolla) siano state e siano ancora strumenti di crescita sui territori d’origine delle imprese ma anche originali asset di competitività sui mercati internazionali.

Ecco allora perché il turismo industriale, su cui si concentra la ricerca di Nomisma per Museimpresa, non è solo un viaggio nei luoghi del lavoro e della produzione industriale, ma è soprattutto uno stimolante percorso di scoperta dell’importanza dei legami tra scienza e valori umanistici, tra nuove tecnologie e solido senso di comunità.

Un viaggio nello spazio aperto delle “mani che pensano”. Uno straordinario capitale sociale.

Quasi 6 milioni di italiani (5,8 milioni, per l’esattezza), negli ultimi quattro anni, hanno visitato un museo d’impresa, un archivio storico aziendale o un luogo d’archeologia industriale. Sono stati mossi dal desiderio di capire meglio cosa c’è dietro gli oggetti icone del miglior made in Italy, di conoscere la storia delle imprese e l’arte e il design collegati, di sapere quali siano i rapporti tra industrie e territori. Sono giovani (la maggior parte hanno fra i 30 e i 44 anni), con un alto livello di istruzione, vengono soprattutto dalle regioni del Nord. E giudicano l’esperienza fatta “educativa e formativa”. E fra i 34milioni di italiani che, appunto negli ultimi quattro anni, hanno fatto un viaggio o almeno una gita fuori porta, oltre al 17% che ha già visto un museo d’impresa, c’è un buon 21% che volentieri ci andrebbe. Una occasione interessante per sviluppare il “turismo industriale”. E una prospettiva quanto mai stimolante per chi ha a cuore la conoscenza della storia economica, il rilancio della cultura d’impresa e una più diffusa e responsabile comprensione del ruolo delle nostre aziende manifatturiere e dei servizi per migliorare lo sviluppo economico del nostro paese.

I musei più frequentati? Quello della Ferrari a Maranello, seguito dal Villaggio Crespi d’Adda in provincia di Bergamo, dal Museo storico Alfa Romeo ad Arese, dal Museo Lavazza a Torino e dall’Archivio Storico Olivetti a Ivrea. C’è spazio per crescere e valorizzare altre realtà un po’ in tutta Italia.

I dati emergono da una ricerca su “Il turismo industriale in Italia: dimensioni, percezione e potenzialità di sviluppo” curata da Nomisma su incarico di Museimpresa (l’associazione nata oltre vent’anni fa per iniziativa di Assolombarda e Confindustria e oggi forte di oltre 130 tra iscritti e sostenitori istituzionali, tra grandi, medie e piccole imprese e autorevoli istituzioni economiche e culturali). E potrà fare da base per un vero e proprio “Osservatorio sul turismo industriale”, misurandone le dimensioni e le potenzialità e valutandone l’impatto sulle imprese stesse e sui territori. Un obiettivo possibile: costruire maggiori e migliori sinergie tra i musei d’impresa e le rassegne di scienza e architettura, le associazioni storiche, i festival sulla scienza e l’economia, le manifestazioni culturali (insistendo, per esempio, sulla letteratura, il cinema e la fotografia sul lavoro e l’industria).

La ricerca è stata presentata nello scorso fine settimana durante il Seminario annuale di Museimpresa a Matera, a Pisticci (nel museo Essenza Lucano), ad Altamura (con un incontro al Museo del pane di Vito Forte, Oropan) e al museo del Confetto Nucci ad Andria. Il tema del seminario: “Carte d’archivio, mappe di sviluppo”. Con un occhio d’attenzione per il Mezzogiorno. Non solo per dare maggior valore all’industria manifatturiera, cardine essenziale d’una crescita economica e sociale meglio equilibrata. Ma anche per ragionare su come evitare le derive negative del cosiddetto overtourism (l’invasione di città e paesi da parte di turisti frettolosi e sciatti, sostanzialmente disattenti alle bellezze di ambienti e territori) e qualificare l’offerta turistica mettendo in risalto valori culturali, sociali, architettonici, scientifici e industriali di luoghi carichi di storia, intraprendenza, capacità di “fare, fare bene e fare del bene”.

I territori dei musei e degli archivi d’impresa, infatti, sono esempi interessanti dei legami tra imprese, scienza, tecnologia e cultura. Ospitano “fabbriche belle” e cioè architettonicamente ben progettate, ambientalmente sostenibili, luminose e sicure (gli esempi sono oramai numerosi, oltre allo stabilimento Pirelli di Settimo Torinese progettato la Renzo Piano, la “fabbrica nel giardino dei ciliegi”). Confermano le relazioni virtuose tra produttività e qualità del lavoro, nel segno di un vero e proprio “umanesimo industriale”. E proprio nel rapporto con le culture locali e con le tradizioni dei distretti produttivi (meccanici, chimici, farmaceutici, automotive, tessili, agroalimentari, legno e arredo, etc.) testimoniano una caratteristica tipica del made in Italy: le sinergie tra competitività e inclusione sociale, tra senso profondo della bellezza (il design ne è testimonianza fondamentale) e dinamica inclinazione all’innovazione.

La geografia dei nostri archivi e musei d’impresa, insomma, racconta la realtà di un’Italia intraprendente, operosa, cosciente di quanto la testimonianza della propria storia sia una leva fondamentale dello sviluppo sostenibile, un patrimonio economico e culturale indispensabile per costruire un miglior futuro delle nuove generazioni.

Una leva da valorizzare, soprattutto adesso, mentre l’economia annaspa, tra bassa crescita e preoccupazioni per l’alto livello dell’inflazione e dei tassi (che bloccano gli investimenti e fanno crescere il costo del debito pubblico, sottraendo risorse agli interventi pubblici per riforme e sviluppo). E tocca ancora una volta alle imprese fare tutto il possibile perché le loro capacità produttive e di export sostengano il Pil oltre la soglia stentata dello “0,…”.

Per farlo, è indispensabile, appunto, anche raccontare il nostro patrimonio imprenditoriale, storico e contemporaneo, più e meglio di come non si sia fatto finora, con un dialogo aperto, critico, sincero, tra imprese e personalità della cultura, della letteratura, del teatro e del cinema. Con una relazione dialettica tra “saper fare” e “far sapere”. Usando bene – ecco un altro aspetto messo in luce dalla ricerca Nomisma, tutte le opportunità offerte dal mondo digitale.

Raccontare cosa? Che imprese industriali, banche, assicurazioni, società di servizi documentano come le capacità di “fare cose belle che piacciono al mondo” (secondo la brillante definizione dello storico Carlo M. Cipolla) siano state e siano ancora strumenti di crescita sui territori d’origine delle imprese ma anche originali asset di competitività sui mercati internazionali.

Ecco allora perché il turismo industriale, su cui si concentra la ricerca di Nomisma per Museimpresa, non è solo un viaggio nei luoghi del lavoro e della produzione industriale, ma è soprattutto uno stimolante percorso di scoperta dell’importanza dei legami tra scienza e valori umanistici, tra nuove tecnologie e solido senso di comunità.

Un viaggio nello spazio aperto delle “mani che pensano”. Uno straordinario capitale sociale.

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