Artigiani in veste hi-tech, le nuove botteghe con stampanti 3D
Un’abitudine antica, fare con le mani. E un’attitudine sofisticata a usare le nuove tecnologie, i computer e le “stampanti 3D”, tridimensionali. Artigiani e “smanettoni”, insomma, per citare una bella espressione di Aldo Bonomi, sociologo attento alle dimensioni più innovative della cultura d’impresa. “Makers”, per dirla con un termine oramai diffuso negli Usa. Il futuro dell’industria italiana può abitare anche qui, nel salvare, ricostruire e rilanciare, in dimensione hi tech, i mestieri artigiani, nella meccanica e nell’abbigliamento, nell’arredamento e nella ceramica, nell’edilizia e nell’alimentare, in tutti quei settori cioè in cui tradizione e contemporaneità possono trovare sintesi originali di memoria e futuro, elaborare ipotesi di cultura d’impresa legate al saper fare, e fare bene, costruire ricchezza.
Un laboratorio, dunque. Un’officina. Una “bottega” animata da una serie di apparecchiature digitali. Un viaggio nel mondo “open source” nelle nuove tecnologie. Disegnare un oggetto d’arredamento o un elemento di componentistica meccanica. E poi produrlo con un’apparecchiatura tridimensionale, la “stampante 3D”, appunto. Pezzo unico, manifattura su misura. O piccola serie. Non solo la produzione per il consumo ma anche le più sofisticate supply chain ne possono venire radicalmente trasformate. E in un’Italia in cui l’innovazione è tradizionalmente adattativa, grazie a doti culturali di creatività flessibile e qualità (e forma: il design), proprio queste nuove dimensioni d’impresa possono avere terreno fertile di crescita, contribuire in modo determinante al recupero di produttività e di competitività dell’industria italiana.
Una sintesi brillante la fa Brunello Cucinelli, dinamico imprenditore dell’abbigliamento, che mette in primo piano, per lo sviluppo e la qualità della vita, “l’artigianalità e i manufatti”. Perché? “Le opere del fabbro e del vetraio, le terracotte e i tessuti… Le botteghe degli artigiani costituiscono la secoli l’ossatura del nostro Paese. Dietro a ogni oggetto frutto d’artigianato si respira il lifestyle italiano famoso in tutto il mondo”. Non è solo “amarcord”: “L’artigiano contemporaneo tra qualche anno sarà considerato un maestro. Un artigiano bravissimo sarà l’ingegnere del futuro. Ma perché ciò accada bisogna ridargli dignità economica. Va retribuito come un ingegnere”.
La riscoperta dell’artigianato si iscrive in una tendenza culturale più generale, che parte dalla presa d’atto della crisi della “economia di carta”, della finanziarizzazione estrema che ha segnato tutto il corso degli ultimi anni del Novecento e dell’inizio degli anni Duemila, per sostenere l’importanza di un ritorno all’economia reale e alla manifattura. Nel 2008, proprio mentre si avvertivano gli scricchiolii delle gigantesche piramidi finanziarie dei “derivati” e mostrava la corda una economia fondata sull’illusione delle speculazioni e delle catene di debito, uno dei maggiori sociologi americani, Richard Sennett, aveva pubblicato “L’uomo artigiano” (edito in Italia da Feltrinelli): un saggio fondamentale, che rilanciava l’importanza materiale e morale della manifattura, rivalutava il lavoro e lo legava alle opportunità offerte dalle nuove tecnologie. Antichi e inediti nessi tra mani e cervello. Creatività e tecnica. “La bottega di oggi è la piccola impresa”, sostiene Sennett.
“Futuro artigiano” è il titolo di un bel libro di Stefano Michilli (pubblicato da Marsilio), che spiega “l’innovazione nelle mani degli italiani” e con occhio attento soprattutto alle esperienze imprenditoriali del Nord Est, individua gli assi portanti della ripresa manifatturiera per tutto il Paese. Tradizione e innovazione (presenti nel mondo artigiano, appunto), capacità di seguire il gusto in cambiamento e di interpretarne le nuove tendenze, qualità e originalità. Manifattura per il Duemila.


Un’abitudine antica, fare con le mani. E un’attitudine sofisticata a usare le nuove tecnologie, i computer e le “stampanti 3D”, tridimensionali. Artigiani e “smanettoni”, insomma, per citare una bella espressione di Aldo Bonomi, sociologo attento alle dimensioni più innovative della cultura d’impresa. “Makers”, per dirla con un termine oramai diffuso negli Usa. Il futuro dell’industria italiana può abitare anche qui, nel salvare, ricostruire e rilanciare, in dimensione hi tech, i mestieri artigiani, nella meccanica e nell’abbigliamento, nell’arredamento e nella ceramica, nell’edilizia e nell’alimentare, in tutti quei settori cioè in cui tradizione e contemporaneità possono trovare sintesi originali di memoria e futuro, elaborare ipotesi di cultura d’impresa legate al saper fare, e fare bene, costruire ricchezza.
Un laboratorio, dunque. Un’officina. Una “bottega” animata da una serie di apparecchiature digitali. Un viaggio nel mondo “open source” nelle nuove tecnologie. Disegnare un oggetto d’arredamento o un elemento di componentistica meccanica. E poi produrlo con un’apparecchiatura tridimensionale, la “stampante 3D”, appunto. Pezzo unico, manifattura su misura. O piccola serie. Non solo la produzione per il consumo ma anche le più sofisticate supply chain ne possono venire radicalmente trasformate. E in un’Italia in cui l’innovazione è tradizionalmente adattativa, grazie a doti culturali di creatività flessibile e qualità (e forma: il design), proprio queste nuove dimensioni d’impresa possono avere terreno fertile di crescita, contribuire in modo determinante al recupero di produttività e di competitività dell’industria italiana.
Una sintesi brillante la fa Brunello Cucinelli, dinamico imprenditore dell’abbigliamento, che mette in primo piano, per lo sviluppo e la qualità della vita, “l’artigianalità e i manufatti”. Perché? “Le opere del fabbro e del vetraio, le terracotte e i tessuti… Le botteghe degli artigiani costituiscono la secoli l’ossatura del nostro Paese. Dietro a ogni oggetto frutto d’artigianato si respira il lifestyle italiano famoso in tutto il mondo”. Non è solo “amarcord”: “L’artigiano contemporaneo tra qualche anno sarà considerato un maestro. Un artigiano bravissimo sarà l’ingegnere del futuro. Ma perché ciò accada bisogna ridargli dignità economica. Va retribuito come un ingegnere”.
La riscoperta dell’artigianato si iscrive in una tendenza culturale più generale, che parte dalla presa d’atto della crisi della “economia di carta”, della finanziarizzazione estrema che ha segnato tutto il corso degli ultimi anni del Novecento e dell’inizio degli anni Duemila, per sostenere l’importanza di un ritorno all’economia reale e alla manifattura. Nel 2008, proprio mentre si avvertivano gli scricchiolii delle gigantesche piramidi finanziarie dei “derivati” e mostrava la corda una economia fondata sull’illusione delle speculazioni e delle catene di debito, uno dei maggiori sociologi americani, Richard Sennett, aveva pubblicato “L’uomo artigiano” (edito in Italia da Feltrinelli): un saggio fondamentale, che rilanciava l’importanza materiale e morale della manifattura, rivalutava il lavoro e lo legava alle opportunità offerte dalle nuove tecnologie. Antichi e inediti nessi tra mani e cervello. Creatività e tecnica. “La bottega di oggi è la piccola impresa”, sostiene Sennett.
“Futuro artigiano” è il titolo di un bel libro di Stefano Michilli (pubblicato da Marsilio), che spiega “l’innovazione nelle mani degli italiani” e con occhio attento soprattutto alle esperienze imprenditoriali del Nord Est, individua gli assi portanti della ripresa manifatturiera per tutto il Paese. Tradizione e innovazione (presenti nel mondo artigiano, appunto), capacità di seguire il gusto in cambiamento e di interpretarne le nuove tendenze, qualità e originalità. Manifattura per il Duemila.