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Si muove l’Europa dei “green bond” e per Milano e le imprese la sostenibilità è centro dello sviluppo

“Mille miliardi di green bond”, sostiene Paolo Gentiloni, da Commissario Ue per gli Affari economici, durante l’audizione al Parlamento europeo, venerdì 4 ottobre. È una conferma del progetto per un European Green Deal lanciato dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen per rimettere in moto una crescita, maggiore e migliore, d’una Europa che soffre nello scontro tra i giganti Usa e Cina ma ha parecchie buone carte da giocare legando sostenibilità ambientale e sociale, economia digitale e competitività, facendo cioè leva su valori e culture di cui proprio i nostri paesi europei sono particolarmente dotati.
Quei mille miliardi di green bond, a giudizio di Gentiloni, sono l’asse portante d’una svolta di politica economica, che riguarda sia Bruxelles sia i singoli Stati membri. Uno stimolo per investimenti pubblici e privati, un incentivo a una profonda riqualificazione dell’economia da rendere più “civile”, più “giusta”.
Gentiloni, davanti al Parlamento, ha parlato anche di un’altra innovazione essenziale: scorporare gli investimenti ambientali dal calcolo del rapporto tra deficit e Pil secondo i parametri di Maastricht. Progetto ambizioso, sinora bocciato dai paesi Ue più rigoristi, ossessivi nella difesa del pareggio di bilancio (e giustamente timorosi che gli allentamenti sui bilanci incoraggino una spesa pubblica corrente, improduttiva, in paesi in forte squilibrio, come l’Italia). Ma progetto, possibile, adesso, proprio perché l’Europa soffre le conseguenze, anche politiche e sociali, di una crescita asfittica e aumenta la consapevolezza (anche nei paesi cardine della Ue, come Germania e Francia) che lo sviluppo ha bisogno, con virtuosi criteri neo-keynesiani, proprio di investimenti pubblici di qualità. La sostenibilità è il terreno più adatto, cuore di quel “cambio di paradigma” dell’economia che incontra il consenso crescente di opinione pubblica, dalla “generazione Greta” alle scelte della Chiesa, dall’impegno di molte industrie grandi e medie (ne abbiamo parlato nel blog della scorsa settimana) alla sensibilità dei consumatori (il 70% dei giovani intervistati da Swg per la grande società di consulenza Ernst & Young Italia chiede “un nuovo modello di fare impresa”, più attento alla sostenibilità; “la Repubblica” 5 ottobre)
Anche il governo italiano, il Conte 2, si mostra più sensibile al tema e un po’ più affidabile verso l’Europa, dopo l’emarginazione, attuale, del rissoso sovranismo anti-europeo della Lega di Salvini.

“Rilancio degli investimenti pubblici e sostegno a quelli privati in chiave eco-sostenibile”, ha annunciato il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri durante la presentazione, a Roma, del Rapporto 2019 dell’Asvis, l’Associazione per lo sviluppo sostenibile (presieduta da Pierluigi Stefanini, guidata da Enrico Giovannini e sostenuta anche da parecchie fondazioni d’impresa: merita sempre più grande ascolto e più concreta attenzione, insieme alle altre che, nate nel mondo economico, si occupano di sostenibilità e solidarietà, come Symbola, Sodalitas e Anima). Pure Gualtieri ha parlato di green bond, “con la fiducia che saranno accolti positivamente dal mercato” e ha promesso che sarà presto costituito, all’interno del Cipe (il Comitato interministeriale per la programmazione economica) un “comitato per il clima”.
Nell’attuale legge finanziaria in preparazione, di tanti impegni, si vede poco in termini di risorse. Ma l’indicazione strategica è chiara e condivisibile. Legando sostenibilità a rilancio dei progetti per l’innovazione, per “Industria 4.0”. Ci sono comunque, dice Gualtieri, 135 miliardi, già stanziati, che vanno spesi, oltre alla quota di 9 miliardi dei 50 per il green new deal in linea con la Ue e a “40 miliardi nel triennio a sostegno degli investimenti delle imprese”, che saranno orientati verso l’economia circolare.
L’Asvis (nel Rapporto da 170 pagine sui 17 DSGs, i development sustainable goals dell’Onu) però, giustamente, non s’accontenta di impegni politici che sinora si sono dimostrati un po’ vaghi (il precedente governo Conte, sostenuto da Lega e 5Stelle, sull’ambiente ha fatto sfoggio di retorica ma s’è rivelato quanto mai carente di scelte concrete e coerenti). E dunque insiste: il mondo, compresa l’Italia, “non è ancora sulla strada dello sviluppo sostenibile” e noi italiani siamo migliorati in nove obiettivi, tra cui l’innovazione e i modelli sostenibili di produzione e consumo (ecco un indice dell’impegno delle imprese migliori) ma peggiorati in sei, nei capitoli che riguardano povertà, alimentazione e agricoltura sostenibili (che potrebbero essere un vanto del made in Italy), acqua e strutture igienico-sanitarie, sistema energetico, condizione dei mari ed ecosistemi terrestri (come il consumo del suolo, eccessivo: ben venga, allora, il piano di Milano, promosso dall’architetto Stefano Boeri e sposato con convinzione dal Comune, per piantare nell’arco di pochi anni 3 milioni di nuovi alberi, uno per ogni abitante della città metropolitana). Bisogna, insomma, fare di più. Una sfida che riguarda anche il mondo delle imprese (vedremo meglio tra poco).

C’è un’indicazione strategica: inserire il principio dello sviluppo sostenibile nella Costituzione. Una battaglia difficile, ma che potrebbe essere sostenuta dal consenso delle nuove generazioni e della parte migliore d’un mondo economico che sempre più sa di dover legare profitti e interessi degli azionisti (lo shareholders value) al rispetto dei valori e dei bisogni delle persone e delle comunità (lo stakeholders value).
Una conferma di questa tensione che è contemporaneamente economica, morale e civile viene dalla relazione con cui Carlo Bonomi ha aperto, giovedì scorso, l’assemblea dell’Associazione, in un teatro alla Scala affollato da duemila persone, alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella (oltre che della presidente del Senato Casellati, del presidente del Consiglio Conte e di tre ministri). Bonomi ha intitolato l’assemblea “L’impresa di servire l’Italia” e ha lanciato l’idea di una vera e propria “Filiera Futuro” incentrata su lavoro, giovani, donne, tecnologia e sostenibilità: “La nostra parola d’ordine centrale è proprio sostenibilità”. Una sostenibilità “generazionale”, chiedendo una leva fiscale per promuovere, nelle imprese, l’affiancamento dei lavoratori anziani più esperti ai giovani, “nella trasmissione di saperi e competenze”
Secondo punto: una maggiore sostenibilità sociale, stimolando il sindacato a ridefinire le relazioni industriali, dai contratti al welfare, con l’impegno “di pagare ai giovani assunti più del minimo contrattuale” (un tema su cui Assolombarda insiste da tempo).
Terzo punto: la sostenibilità ambientale. Con un’idea chiara e concreta: “La svolta europea e dell’Onu nella lotta al cambiamento climatico è ottima e benvenuta. Ma va affrontata con una visione fondata su competenze accurate”. Come? Un esempio: “Il problema numero uno nell’ambito non energetico è chiudere integralmente il ciclo del trattamento dei rifiuti, industriali e urbani. Perché da noi mancano gli impianti necessari e avanzati per trattarli in sicurezza, i rifiuti”. Anche a questo, potrebbero servire i green bond. Sicurezza, pulizia, qualità della vita nelle nostre città. Le imprese, anche su questo, sono pronte da tempo a fare la loro parte.

“Mille miliardi di green bond”, sostiene Paolo Gentiloni, da Commissario Ue per gli Affari economici, durante l’audizione al Parlamento europeo, venerdì 4 ottobre. È una conferma del progetto per un European Green Deal lanciato dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen per rimettere in moto una crescita, maggiore e migliore, d’una Europa che soffre nello scontro tra i giganti Usa e Cina ma ha parecchie buone carte da giocare legando sostenibilità ambientale e sociale, economia digitale e competitività, facendo cioè leva su valori e culture di cui proprio i nostri paesi europei sono particolarmente dotati.
Quei mille miliardi di green bond, a giudizio di Gentiloni, sono l’asse portante d’una svolta di politica economica, che riguarda sia Bruxelles sia i singoli Stati membri. Uno stimolo per investimenti pubblici e privati, un incentivo a una profonda riqualificazione dell’economia da rendere più “civile”, più “giusta”.
Gentiloni, davanti al Parlamento, ha parlato anche di un’altra innovazione essenziale: scorporare gli investimenti ambientali dal calcolo del rapporto tra deficit e Pil secondo i parametri di Maastricht. Progetto ambizioso, sinora bocciato dai paesi Ue più rigoristi, ossessivi nella difesa del pareggio di bilancio (e giustamente timorosi che gli allentamenti sui bilanci incoraggino una spesa pubblica corrente, improduttiva, in paesi in forte squilibrio, come l’Italia). Ma progetto, possibile, adesso, proprio perché l’Europa soffre le conseguenze, anche politiche e sociali, di una crescita asfittica e aumenta la consapevolezza (anche nei paesi cardine della Ue, come Germania e Francia) che lo sviluppo ha bisogno, con virtuosi criteri neo-keynesiani, proprio di investimenti pubblici di qualità. La sostenibilità è il terreno più adatto, cuore di quel “cambio di paradigma” dell’economia che incontra il consenso crescente di opinione pubblica, dalla “generazione Greta” alle scelte della Chiesa, dall’impegno di molte industrie grandi e medie (ne abbiamo parlato nel blog della scorsa settimana) alla sensibilità dei consumatori (il 70% dei giovani intervistati da Swg per la grande società di consulenza Ernst & Young Italia chiede “un nuovo modello di fare impresa”, più attento alla sostenibilità; “la Repubblica” 5 ottobre)
Anche il governo italiano, il Conte 2, si mostra più sensibile al tema e un po’ più affidabile verso l’Europa, dopo l’emarginazione, attuale, del rissoso sovranismo anti-europeo della Lega di Salvini.

“Rilancio degli investimenti pubblici e sostegno a quelli privati in chiave eco-sostenibile”, ha annunciato il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri durante la presentazione, a Roma, del Rapporto 2019 dell’Asvis, l’Associazione per lo sviluppo sostenibile (presieduta da Pierluigi Stefanini, guidata da Enrico Giovannini e sostenuta anche da parecchie fondazioni d’impresa: merita sempre più grande ascolto e più concreta attenzione, insieme alle altre che, nate nel mondo economico, si occupano di sostenibilità e solidarietà, come Symbola, Sodalitas e Anima). Pure Gualtieri ha parlato di green bond, “con la fiducia che saranno accolti positivamente dal mercato” e ha promesso che sarà presto costituito, all’interno del Cipe (il Comitato interministeriale per la programmazione economica) un “comitato per il clima”.
Nell’attuale legge finanziaria in preparazione, di tanti impegni, si vede poco in termini di risorse. Ma l’indicazione strategica è chiara e condivisibile. Legando sostenibilità a rilancio dei progetti per l’innovazione, per “Industria 4.0”. Ci sono comunque, dice Gualtieri, 135 miliardi, già stanziati, che vanno spesi, oltre alla quota di 9 miliardi dei 50 per il green new deal in linea con la Ue e a “40 miliardi nel triennio a sostegno degli investimenti delle imprese”, che saranno orientati verso l’economia circolare.
L’Asvis (nel Rapporto da 170 pagine sui 17 DSGs, i development sustainable goals dell’Onu) però, giustamente, non s’accontenta di impegni politici che sinora si sono dimostrati un po’ vaghi (il precedente governo Conte, sostenuto da Lega e 5Stelle, sull’ambiente ha fatto sfoggio di retorica ma s’è rivelato quanto mai carente di scelte concrete e coerenti). E dunque insiste: il mondo, compresa l’Italia, “non è ancora sulla strada dello sviluppo sostenibile” e noi italiani siamo migliorati in nove obiettivi, tra cui l’innovazione e i modelli sostenibili di produzione e consumo (ecco un indice dell’impegno delle imprese migliori) ma peggiorati in sei, nei capitoli che riguardano povertà, alimentazione e agricoltura sostenibili (che potrebbero essere un vanto del made in Italy), acqua e strutture igienico-sanitarie, sistema energetico, condizione dei mari ed ecosistemi terrestri (come il consumo del suolo, eccessivo: ben venga, allora, il piano di Milano, promosso dall’architetto Stefano Boeri e sposato con convinzione dal Comune, per piantare nell’arco di pochi anni 3 milioni di nuovi alberi, uno per ogni abitante della città metropolitana). Bisogna, insomma, fare di più. Una sfida che riguarda anche il mondo delle imprese (vedremo meglio tra poco).

C’è un’indicazione strategica: inserire il principio dello sviluppo sostenibile nella Costituzione. Una battaglia difficile, ma che potrebbe essere sostenuta dal consenso delle nuove generazioni e della parte migliore d’un mondo economico che sempre più sa di dover legare profitti e interessi degli azionisti (lo shareholders value) al rispetto dei valori e dei bisogni delle persone e delle comunità (lo stakeholders value).
Una conferma di questa tensione che è contemporaneamente economica, morale e civile viene dalla relazione con cui Carlo Bonomi ha aperto, giovedì scorso, l’assemblea dell’Associazione, in un teatro alla Scala affollato da duemila persone, alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella (oltre che della presidente del Senato Casellati, del presidente del Consiglio Conte e di tre ministri). Bonomi ha intitolato l’assemblea “L’impresa di servire l’Italia” e ha lanciato l’idea di una vera e propria “Filiera Futuro” incentrata su lavoro, giovani, donne, tecnologia e sostenibilità: “La nostra parola d’ordine centrale è proprio sostenibilità”. Una sostenibilità “generazionale”, chiedendo una leva fiscale per promuovere, nelle imprese, l’affiancamento dei lavoratori anziani più esperti ai giovani, “nella trasmissione di saperi e competenze”
Secondo punto: una maggiore sostenibilità sociale, stimolando il sindacato a ridefinire le relazioni industriali, dai contratti al welfare, con l’impegno “di pagare ai giovani assunti più del minimo contrattuale” (un tema su cui Assolombarda insiste da tempo).
Terzo punto: la sostenibilità ambientale. Con un’idea chiara e concreta: “La svolta europea e dell’Onu nella lotta al cambiamento climatico è ottima e benvenuta. Ma va affrontata con una visione fondata su competenze accurate”. Come? Un esempio: “Il problema numero uno nell’ambito non energetico è chiudere integralmente il ciclo del trattamento dei rifiuti, industriali e urbani. Perché da noi mancano gli impianti necessari e avanzati per trattarli in sicurezza, i rifiuti”. Anche a questo, potrebbero servire i green bond. Sicurezza, pulizia, qualità della vita nelle nostre città. Le imprese, anche su questo, sono pronte da tempo a fare la loro parte.

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