Buon lavoro e buona impresa
L’industria 4.0 affrontata da un filosofo, per scoprire quanta libertà sia possibile in fabbrica e in azienda
Il buon lavoro fa parte della buona cultura d’impresa. E, d’altra parte, nella buona impresa, il buon lavoro (in tutti i sensi) è al primo posto. Anche oggi, nell’epoca della digitalizzazione della produzione, di industria 4.0 e della smaterializzazione (apparente) di molti processi produttivi. Occorre, certo, recuperare e rivedere l’idea stessa di lavoro (così come d’altra parte è necessario, continuamente, revisionare quella di impresa). A questo serve leggere “Libertà nel lavoro. La sfida della rivoluzione digitale”, scritto da Giovanni Mari e pubblicato da poco.
Mari affronta il tema del lavoro e della sua evoluzione partendo dalla sua preparazione filosofica: un fatto importante, che dà il tratto caratteristico a quanto ha scritto.
Il ragionamento dell’autore inizia considerando che generalmente la nostra idea di lavoro si è sempre basata sulla contrapposizione tra quello manuale e quello intellettuale. Dicotomia che, adesso, sembra venire meno in virtù della trasformazione del lavoro nella fabbrica digitalizzata e comunque nell’industria 4.0 in generale. Si è di fronte a ciò che Mari indica come lavoro dal punto di vista linguistico e cioè come insieme di indicazioni date a macchine che devono realizzare la produzione. Industria nuova, quindi, così come impresa nuova; entrambe in grado di dare vita ad una modalità di lavoro diversa dal passato, dalla quale nasce anche un differente nesso fra tempo di lavoro e tempo dell’ozio. Mari però non si ferma qui, ma continua il ragionamento chiedendosi se sia possibile in un’epoca di “fine del lavoro” (nella quale i robot avrebbero grande spazio), rimettere al centro della discussione il concetto di autorealizzazione della persona nel lavoro stesso.
La risposta dell’autore è positiva. Una nuova idea di lavoro, che sia di qualità e scelto da chi lo fa, può davvero essere resa concreta e assumere le caratteristiche di un atto di libertà. A patto che vi siano conoscenza, creatività e responsabilità intrecciate nei luoghi della produzione e nella società.
Il libro di Giovanni Mari è interessante da leggere, non solo perché tratta di un argomento che tocca tutti noi, ma anche perché lo affronta con un linguaggio che non tralascia nulla della complessità ma la rende accessibile a chi legge.
Libertà nel lavoro. La sfida della rivoluzione digitale
Giovanni Mari
il Mulino, 2019


L’industria 4.0 affrontata da un filosofo, per scoprire quanta libertà sia possibile in fabbrica e in azienda
Il buon lavoro fa parte della buona cultura d’impresa. E, d’altra parte, nella buona impresa, il buon lavoro (in tutti i sensi) è al primo posto. Anche oggi, nell’epoca della digitalizzazione della produzione, di industria 4.0 e della smaterializzazione (apparente) di molti processi produttivi. Occorre, certo, recuperare e rivedere l’idea stessa di lavoro (così come d’altra parte è necessario, continuamente, revisionare quella di impresa). A questo serve leggere “Libertà nel lavoro. La sfida della rivoluzione digitale”, scritto da Giovanni Mari e pubblicato da poco.
Mari affronta il tema del lavoro e della sua evoluzione partendo dalla sua preparazione filosofica: un fatto importante, che dà il tratto caratteristico a quanto ha scritto.
Il ragionamento dell’autore inizia considerando che generalmente la nostra idea di lavoro si è sempre basata sulla contrapposizione tra quello manuale e quello intellettuale. Dicotomia che, adesso, sembra venire meno in virtù della trasformazione del lavoro nella fabbrica digitalizzata e comunque nell’industria 4.0 in generale. Si è di fronte a ciò che Mari indica come lavoro dal punto di vista linguistico e cioè come insieme di indicazioni date a macchine che devono realizzare la produzione. Industria nuova, quindi, così come impresa nuova; entrambe in grado di dare vita ad una modalità di lavoro diversa dal passato, dalla quale nasce anche un differente nesso fra tempo di lavoro e tempo dell’ozio. Mari però non si ferma qui, ma continua il ragionamento chiedendosi se sia possibile in un’epoca di “fine del lavoro” (nella quale i robot avrebbero grande spazio), rimettere al centro della discussione il concetto di autorealizzazione della persona nel lavoro stesso.
La risposta dell’autore è positiva. Una nuova idea di lavoro, che sia di qualità e scelto da chi lo fa, può davvero essere resa concreta e assumere le caratteristiche di un atto di libertà. A patto che vi siano conoscenza, creatività e responsabilità intrecciate nei luoghi della produzione e nella società.
Il libro di Giovanni Mari è interessante da leggere, non solo perché tratta di un argomento che tocca tutti noi, ma anche perché lo affronta con un linguaggio che non tralascia nulla della complessità ma la rende accessibile a chi legge.
Libertà nel lavoro. La sfida della rivoluzione digitale
Giovanni Mari
il Mulino, 2019