Capitale umano di qualità e digital manifacturing: la buona cultura del Nord Est
Persone ben formate e digital manifacturing. Un’industria che si rinnova usando la leva delle competenze hi tech, la produzione su misura, le opportunità offerte dalle stampanti 3D che innovano radicalmente la fabbrica. È la lezione di cultura d’impresa che viene ancora una volta dal Nord Est. “Dai capannoni al capitale umano“, sintetizza Dario Di Vico sul Corriere della Sera del 30 gennaio. Dando spazio alle indagini e alle considerazioni della Fondazione Nord Est, legata alle Confindustrie venete e diretta da Stefano Micelli.
Sostiene Micelli: “Le imprese stanno imparando a convivere con un nuovo modello di manifattura in cui lavoro e tecnologia sono l’abbinata vincente. Il digital manifacturing, appunto. Anziché produrre e poi cercare di vendere, si produce su misura per soddisfare la richiesta, quanto più personalizzata, di chi acquista”. Sul mercato del consumo finale, ma anche su quello dei beni intermedi. È un cambiamento radicale, rispetto alla stagione dell’industria rampante diffusa, del proliferare disordinato dei capannoni, della competizione sul prezzo, dell’ideologia del “piccolo è bello”. Si lavora sulla qualità. E sull’estrema flessibilità rispetto ai mercati e alle loro nicchie di grande specializzazione (con il vantaggio del potersi dedicare a produzioni ad alto valore aggiunto).
Cambia anche la forma dell’impresa: “I modelli organizzativi sono sempre più agili. Gli imprenditori hanno imparato come gestire la varietà senza costruire organizzazioni burocratiche che potrebbero appesantire i processi decisionali e rendere troppo oneroso il costo dei singoli prodotti. Hanno mutuato la lezione giapponese dell’organizzazione snella, non tanto per fare prodotti seriali di sempre maggiore qualità ma per affrontare la varietà della produzione senza sprechi e appesantimenti”.
Il buon capitale umano, in questa strategia, è fondamentale. È di buon livello, nel Nord Est, “con competenze linguistiche e matematiche degli studenti delle scuole superiori più alte della media delle regioni più di maniche del’Europa”. Il guaio è che buona parte dei giovani va via (nel 2013 ne sono emigrati 7.800, un quarto dei quali con laurea in tasca). Vanno invece trattenuti. Appunto in imprese che innovano e si rinnovano e che da qualche tempo – notano i ricercatori della Fondazione Nord Est – hanno ricominciato a investire. “Umori positivi”, riconosce Micelli, legati anche alla oramai raggiunta consapevolezza dell’esigenza di ” cambiare passo” e di mettere al centro della nuova manifattura proprio quel capitale umano che, altrimenti, emigra. Rendendo l’area, in prospettiva, più povera di buone competenze e dunque meno capace di sviluppo.
Persone ben formate e digital manifacturing. Un’industria che si rinnova usando la leva delle competenze hi tech, la produzione su misura, le opportunità offerte dalle stampanti 3D che innovano radicalmente la fabbrica. È la lezione di cultura d’impresa che viene ancora una volta dal Nord Est. “Dai capannoni al capitale umano“, sintetizza Dario Di Vico sul Corriere della Sera del 30 gennaio. Dando spazio alle indagini e alle considerazioni della Fondazione Nord Est, legata alle Confindustrie venete e diretta da Stefano Micelli.
Sostiene Micelli: “Le imprese stanno imparando a convivere con un nuovo modello di manifattura in cui lavoro e tecnologia sono l’abbinata vincente. Il digital manifacturing, appunto. Anziché produrre e poi cercare di vendere, si produce su misura per soddisfare la richiesta, quanto più personalizzata, di chi acquista”. Sul mercato del consumo finale, ma anche su quello dei beni intermedi. È un cambiamento radicale, rispetto alla stagione dell’industria rampante diffusa, del proliferare disordinato dei capannoni, della competizione sul prezzo, dell’ideologia del “piccolo è bello”. Si lavora sulla qualità. E sull’estrema flessibilità rispetto ai mercati e alle loro nicchie di grande specializzazione (con il vantaggio del potersi dedicare a produzioni ad alto valore aggiunto).
Cambia anche la forma dell’impresa: “I modelli organizzativi sono sempre più agili. Gli imprenditori hanno imparato come gestire la varietà senza costruire organizzazioni burocratiche che potrebbero appesantire i processi decisionali e rendere troppo oneroso il costo dei singoli prodotti. Hanno mutuato la lezione giapponese dell’organizzazione snella, non tanto per fare prodotti seriali di sempre maggiore qualità ma per affrontare la varietà della produzione senza sprechi e appesantimenti”.
Il buon capitale umano, in questa strategia, è fondamentale. È di buon livello, nel Nord Est, “con competenze linguistiche e matematiche degli studenti delle scuole superiori più alte della media delle regioni più di maniche del’Europa”. Il guaio è che buona parte dei giovani va via (nel 2013 ne sono emigrati 7.800, un quarto dei quali con laurea in tasca). Vanno invece trattenuti. Appunto in imprese che innovano e si rinnovano e che da qualche tempo – notano i ricercatori della Fondazione Nord Est – hanno ricominciato a investire. “Umori positivi”, riconosce Micelli, legati anche alla oramai raggiunta consapevolezza dell’esigenza di ” cambiare passo” e di mettere al centro della nuova manifattura proprio quel capitale umano che, altrimenti, emigra. Rendendo l’area, in prospettiva, più povera di buone competenze e dunque meno capace di sviluppo.