Coltivare la manifattura è coltivare l’innovazione
La manifattura è ancora importante, sempre più importante. Nell’era dell’informatica e dell’immaterialità, della finanza e degli spread, quello dell’industria manifatturiera continua ad essere un comparto che c’è e ci deve essere. Il problema è avere la capacità di mantenerlo e farlo crescere.
E’ quanto affermano Gary P. Pisano e Willy C. Shih (economisti ed entrambi docenti alla Harvard Business School), nel loro “Producing Prosperity: why America Needs a Manufacturing renaissance”.
Pisano e Shih, però, non fanno solamente un inno al saper fare industriale, alla concretezza della produzione reale contrapposta alla finanza; i due studiosi vanno più in là spiegando che le moderne industrie hanno ancora – come una volta – “beni in comune”, sebbene questi siano immensamente più complessi rispetto al passato. Si tratta, per esempio, di knowhow tecnologico, capacità gestionale, abilità specialistiche radicate nella forza lavoro, nei concorrenti, nei fornitori, nei clienti, nelle società cooperative, nella ricerca e sviluppo, nelle università. Tutto questo fluisce fra le imprese, le collega, crea una rete territoriale manifatturiera che diventa indispensabile per la crescita e per l’innovazione. Una situazione che prende le mosse dal locale per diventare globale e per ridiventare ancora locale. Tutto in un circolo virtuoso che, secondo i due ricercatori, non può e non deve essere mortificato ma, anzi, deve essere sostenuto e alimentato con capacità manageriali e lungimiranza politica.
Per raccontare meglio tutto ciò, Pisano e Shih adottano, fra gli altri, un esempio: quando negli anni ’80 la produzione dei semiconduttori si è spostata in Asia, ha portato con sé una moltitudine di capacità, processi di produzione di materiale elettronico, capacità di assemblaggio e test sofisticati, che hanno creato “beni comuni industriali” a loro volta necessari per produrre un’intera gamma di prodotti elettronici avanzati e con alto valore aggiunto. Non si è spostata una singola industria, ma una comunità di industrie che hanno cambiato la vita di interi territori. Esattamente come – è un altro esempio dei due autori – è accaduto con i pascoli demaniali, un tempo diffusissimi, che hanno sostenuto e alimentato le economie rurali e contadine fino ad epoche relativamente recenti: una volta cancellati questi (equiparati ai “beni industriali comuni” di oggi), è stato spazzato via un intero assetto economico.
Le conclusioni due economisti di Harvard sono quindi tre: quando un Paese perde la capacità manifatturiera, esso perde anche l’abilità di innovare, i “beni comuni industriali” sono quindi una sorta di piattaforma per la crescita e, infine, l’erosione di questi non è per nulla naturale e scontata.
Why America Needs a Manufacturing Renaissance
Gary P. Pisano – Willy C. Shih
Harvard Business School – Working Knowledge
Ottobre 2012
La manifattura è ancora importante, sempre più importante. Nell’era dell’informatica e dell’immaterialità, della finanza e degli spread, quello dell’industria manifatturiera continua ad essere un comparto che c’è e ci deve essere. Il problema è avere la capacità di mantenerlo e farlo crescere.
E’ quanto affermano Gary P. Pisano e Willy C. Shih (economisti ed entrambi docenti alla Harvard Business School), nel loro “Producing Prosperity: why America Needs a Manufacturing renaissance”.
Pisano e Shih, però, non fanno solamente un inno al saper fare industriale, alla concretezza della produzione reale contrapposta alla finanza; i due studiosi vanno più in là spiegando che le moderne industrie hanno ancora – come una volta – “beni in comune”, sebbene questi siano immensamente più complessi rispetto al passato. Si tratta, per esempio, di knowhow tecnologico, capacità gestionale, abilità specialistiche radicate nella forza lavoro, nei concorrenti, nei fornitori, nei clienti, nelle società cooperative, nella ricerca e sviluppo, nelle università. Tutto questo fluisce fra le imprese, le collega, crea una rete territoriale manifatturiera che diventa indispensabile per la crescita e per l’innovazione. Una situazione che prende le mosse dal locale per diventare globale e per ridiventare ancora locale. Tutto in un circolo virtuoso che, secondo i due ricercatori, non può e non deve essere mortificato ma, anzi, deve essere sostenuto e alimentato con capacità manageriali e lungimiranza politica.
Per raccontare meglio tutto ciò, Pisano e Shih adottano, fra gli altri, un esempio: quando negli anni ’80 la produzione dei semiconduttori si è spostata in Asia, ha portato con sé una moltitudine di capacità, processi di produzione di materiale elettronico, capacità di assemblaggio e test sofisticati, che hanno creato “beni comuni industriali” a loro volta necessari per produrre un’intera gamma di prodotti elettronici avanzati e con alto valore aggiunto. Non si è spostata una singola industria, ma una comunità di industrie che hanno cambiato la vita di interi territori. Esattamente come – è un altro esempio dei due autori – è accaduto con i pascoli demaniali, un tempo diffusissimi, che hanno sostenuto e alimentato le economie rurali e contadine fino ad epoche relativamente recenti: una volta cancellati questi (equiparati ai “beni industriali comuni” di oggi), è stato spazzato via un intero assetto economico.
Le conclusioni due economisti di Harvard sono quindi tre: quando un Paese perde la capacità manifatturiera, esso perde anche l’abilità di innovare, i “beni comuni industriali” sono quindi una sorta di piattaforma per la crescita e, infine, l’erosione di questi non è per nulla naturale e scontata.
Why America Needs a Manufacturing Renaissance
Gary P. Pisano – Willy C. Shih
Harvard Business School – Working Knowledge
Ottobre 2012