Cosa serve per crescere di più
Appena pubblicata una analisi accurata del ruolo delle istituzioni nella crescita del nostro Paese e di quello (molto) che occorre ancora fare
L’impresa lavora meglio se è consapevole dello scenario nel quale agisce. Anche oggi. Soprattutto oggi, a patto che si riesca a selezionare nella mole di informazioni quelle più utili e soprattutto affidabili. E’ la trasposizione moderna del “conoscere per deliberare” coniato da Luigi Einaudi e che adesso vale moltissimo per ogni imprenditore avveduto. Fra gli strumenti recenti utili a perseguire l’obiettivo, c’è certamente “Perché l’Italia cresce poco” di Alfredo Macchiati che scrive da docente di Politica economica alla LUISS di Roma, ma compie uno sforzo per farsi comprendere da un pubblico più vasto di lettori.
La sua è una analisi sull’agire negli ultimi anni delle istituzioni e dei decisori politici nei confronti delle esigenze dell’economia e della produzione e quindi della crescita. Il punto di partenza è una constatazione: il sistema politico affermatosi dopo il 1992 non ha risolto i problemi dell’economia lasciati in eredità dalla Prima Repubblica, né si è dimostrato capace di fronteggiare i nuovi. Certo, viene spiegato, alcune cose sono state fatte, ma non sono sufficienti.
Per Macchiati, le cause del prolungato ristagno che affligge l’Italia ormai da più di vent’anni vanno ricercate in alcuni tratti strutturali, primo fra tutti la debolezza e, nello stesso tempo, l’onnipresenza dello Stato. L’obiettivo del volume è quindi quello di esaminare “più da vicino il concreto operare delle istituzioni”. E’ l’esame del contesto entro il quale si muovo tutti gli attori dell’economia.
Il testo parte da un panorama di quanto è accaduto, passa poi all’esame di aspetti particolare come quello della giustizia, del fisco, dell’ordine interno, delle istituzioni economiche private, del sistema finanziario. Successivamente Macchiati approfondisce il periodo di quella che viene indicata come “la svolta critica del 1992-95” e poi la stagione delle riforme (alcune “parziali” e altre “mal concepite”).
Il decimo capitolo del libro costituisce la sintesi e il punto finale del percorso fatto da Macchiati. Ci si chiede quindi: quale sarà il futuro dell’economia italiana? L’autore individua alcuni “fattori impedenti” che hanno bloccato il Paese nell’ultimo ventennio: le cosiddette politics, la presenza di gruppi di interesse “che hanno operato come veto powers”, la pubblica amministrazione e la discrasia tra cultura nazionale e alcune riforme. Di fronte a questi fattori, Macchiati pone alcune condizioni di crescita come un sistema istituzionale della ricerca industriale, la creazione di istituzioni in grado di assicurare per davvero il collegamento fra ricerca e industriale, una burocrazia efficiente, una riduzione dei livelli di governo preposti alla spesa. E poi almeno tre riforme indicate come “decisive” relative a istruzione universitaria, fisco e Sud.
Quanto scritto da Macchiati in tema di crescita del nostro Paese non è certamente improntato ad un ottimismo senza se e senza ma, è invece una analisi accurata del ruolo di uno degli attori principali del sistema – le istituzioni -, che non regala nulla ma riconosce quanto è stato fatto e quanto (molto) occorre ancora fare. Una buona lettura anche per gli imprenditori e i manager.
Perché l’Italia cresce poco
Alfredo Macchiati
Il Mulino, 2016
Appena pubblicata una analisi accurata del ruolo delle istituzioni nella crescita del nostro Paese e di quello (molto) che occorre ancora fare
L’impresa lavora meglio se è consapevole dello scenario nel quale agisce. Anche oggi. Soprattutto oggi, a patto che si riesca a selezionare nella mole di informazioni quelle più utili e soprattutto affidabili. E’ la trasposizione moderna del “conoscere per deliberare” coniato da Luigi Einaudi e che adesso vale moltissimo per ogni imprenditore avveduto. Fra gli strumenti recenti utili a perseguire l’obiettivo, c’è certamente “Perché l’Italia cresce poco” di Alfredo Macchiati che scrive da docente di Politica economica alla LUISS di Roma, ma compie uno sforzo per farsi comprendere da un pubblico più vasto di lettori.
La sua è una analisi sull’agire negli ultimi anni delle istituzioni e dei decisori politici nei confronti delle esigenze dell’economia e della produzione e quindi della crescita. Il punto di partenza è una constatazione: il sistema politico affermatosi dopo il 1992 non ha risolto i problemi dell’economia lasciati in eredità dalla Prima Repubblica, né si è dimostrato capace di fronteggiare i nuovi. Certo, viene spiegato, alcune cose sono state fatte, ma non sono sufficienti.
Per Macchiati, le cause del prolungato ristagno che affligge l’Italia ormai da più di vent’anni vanno ricercate in alcuni tratti strutturali, primo fra tutti la debolezza e, nello stesso tempo, l’onnipresenza dello Stato. L’obiettivo del volume è quindi quello di esaminare “più da vicino il concreto operare delle istituzioni”. E’ l’esame del contesto entro il quale si muovo tutti gli attori dell’economia.
Il testo parte da un panorama di quanto è accaduto, passa poi all’esame di aspetti particolare come quello della giustizia, del fisco, dell’ordine interno, delle istituzioni economiche private, del sistema finanziario. Successivamente Macchiati approfondisce il periodo di quella che viene indicata come “la svolta critica del 1992-95” e poi la stagione delle riforme (alcune “parziali” e altre “mal concepite”).
Il decimo capitolo del libro costituisce la sintesi e il punto finale del percorso fatto da Macchiati. Ci si chiede quindi: quale sarà il futuro dell’economia italiana? L’autore individua alcuni “fattori impedenti” che hanno bloccato il Paese nell’ultimo ventennio: le cosiddette politics, la presenza di gruppi di interesse “che hanno operato come veto powers”, la pubblica amministrazione e la discrasia tra cultura nazionale e alcune riforme. Di fronte a questi fattori, Macchiati pone alcune condizioni di crescita come un sistema istituzionale della ricerca industriale, la creazione di istituzioni in grado di assicurare per davvero il collegamento fra ricerca e industriale, una burocrazia efficiente, una riduzione dei livelli di governo preposti alla spesa. E poi almeno tre riforme indicate come “decisive” relative a istruzione universitaria, fisco e Sud.
Quanto scritto da Macchiati in tema di crescita del nostro Paese non è certamente improntato ad un ottimismo senza se e senza ma, è invece una analisi accurata del ruolo di uno degli attori principali del sistema – le istituzioni -, che non regala nulla ma riconosce quanto è stato fatto e quanto (molto) occorre ancora fare. Una buona lettura anche per gli imprenditori e i manager.
Perché l’Italia cresce poco
Alfredo Macchiati
Il Mulino, 2016