Crescita d’impresa, non solo distretti
Le imprese crescono se trovano “terreno” buono per svilupparsi. Non da sole – ormai -, ma sempre più spesso insieme ad altre. Questione anche di cultura d’impresa che cambia, si fa più complessa, mutevole, adattabile alle circostanze. E spesso, devono essere create condizioni fisiche perché le imprese nascano e si sviluppino. I distretti tecnologici hanno fatto una significativa parte della recente storia industriale moderna, anche in Italia. Ma spesso non bastano.
Uno degli ultimi Occasional Papers di Banca d’Italia dimostra proprio quanto sia complessa l’alchimia che serve per lo sviluppo d’impresa. Distretti tecnologici a parte, appunto. “Local policies for innovation: the case of technology districts in Italy”, scritto da Federica Bertamino, Raffaello Bronzini, Marco De Maggio e Davide Revelli analizza infatti gli effetti della politica regionale che ha dato vita ai distretti tecnologici, avviata in Italia nell’ultimo decennio con l’obiettivo di favorire l’innovazione e quindi la crescita di imprese.
Gli autori hanno esaminato prima le caratteristiche dei distretti tecnologici e delle imprese che ne fanno parte, e successivamente valutato i risultati delle imprese “distrettuali”. Nel testo, quindi, dopo un inquadramento teorico, è presente una puntuale disamina di 29 distretti sorti nel nostro Paese e collocati in 18 Regioni (sono escluse le Marche e la Valle d’Aosta), che nel tempo hanno coinvolto 2.298 imprese.
Dal lavoro emerge come nelle regioni meridionali siano stati creati più distretti tecnologici che nel resto del Paese, ma che questi siano più piccoli, meno diversificati settorialmente e più distanti dalla struttura economica della Regione. Oltre a questo, i ricercatori ha rilevato che nel complesso, prima della nascita di un distretto le imprese che poi vi hanno aderito erano in media più grandi, innovative e redditizie di quelle appartenenti alla stessa area e settore che non vi hanno aderito.
Ma emerge un dato: “Dopo la nascita del distretto – viene spiegato -, la performance delle imprese distrettuali non si è differenziata significativamente da quella di imprese simili non appartenenti a un distretto”. Una condizione colta dai numeri che equivale a dire come non bastino condizioni create dall’alto per far scattare la molla della crescita e dello sviluppo ma che, invece, imprenditorialità diffusa, reti d’impresa informali e capacità di organizzare la produzione siano determinanti al di là della presenza di distretti tecnologici.
Il lavoro di Bertamino, Bronzini, De Maggio e Revelli spiega con efficacia quanto può accadere.
Local policies for innovation: the case of technology districts in Italy
Politiche locali per l’innovazione: il caso dei distretti tecnologici in Italia
Federica Bertamino, Raffaello Bronzini, Marco De Maggio, Davide Revelli
Occasional Papers Banca d’Italia, n 313, Febbraio 2016
Le imprese crescono se trovano “terreno” buono per svilupparsi. Non da sole – ormai -, ma sempre più spesso insieme ad altre. Questione anche di cultura d’impresa che cambia, si fa più complessa, mutevole, adattabile alle circostanze. E spesso, devono essere create condizioni fisiche perché le imprese nascano e si sviluppino. I distretti tecnologici hanno fatto una significativa parte della recente storia industriale moderna, anche in Italia. Ma spesso non bastano.
Uno degli ultimi Occasional Papers di Banca d’Italia dimostra proprio quanto sia complessa l’alchimia che serve per lo sviluppo d’impresa. Distretti tecnologici a parte, appunto. “Local policies for innovation: the case of technology districts in Italy”, scritto da Federica Bertamino, Raffaello Bronzini, Marco De Maggio e Davide Revelli analizza infatti gli effetti della politica regionale che ha dato vita ai distretti tecnologici, avviata in Italia nell’ultimo decennio con l’obiettivo di favorire l’innovazione e quindi la crescita di imprese.
Gli autori hanno esaminato prima le caratteristiche dei distretti tecnologici e delle imprese che ne fanno parte, e successivamente valutato i risultati delle imprese “distrettuali”. Nel testo, quindi, dopo un inquadramento teorico, è presente una puntuale disamina di 29 distretti sorti nel nostro Paese e collocati in 18 Regioni (sono escluse le Marche e la Valle d’Aosta), che nel tempo hanno coinvolto 2.298 imprese.
Dal lavoro emerge come nelle regioni meridionali siano stati creati più distretti tecnologici che nel resto del Paese, ma che questi siano più piccoli, meno diversificati settorialmente e più distanti dalla struttura economica della Regione. Oltre a questo, i ricercatori ha rilevato che nel complesso, prima della nascita di un distretto le imprese che poi vi hanno aderito erano in media più grandi, innovative e redditizie di quelle appartenenti alla stessa area e settore che non vi hanno aderito.
Ma emerge un dato: “Dopo la nascita del distretto – viene spiegato -, la performance delle imprese distrettuali non si è differenziata significativamente da quella di imprese simili non appartenenti a un distretto”. Una condizione colta dai numeri che equivale a dire come non bastino condizioni create dall’alto per far scattare la molla della crescita e dello sviluppo ma che, invece, imprenditorialità diffusa, reti d’impresa informali e capacità di organizzare la produzione siano determinanti al di là della presenza di distretti tecnologici.
Il lavoro di Bertamino, Bronzini, De Maggio e Revelli spiega con efficacia quanto può accadere.
Local policies for innovation: the case of technology districts in Italy
Politiche locali per l’innovazione: il caso dei distretti tecnologici in Italia
Federica Bertamino, Raffaello Bronzini, Marco De Maggio, Davide Revelli
Occasional Papers Banca d’Italia, n 313, Febbraio 2016