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Cultura d’impresa di fronte alla crisi

Di fronte alla crisi cambia anche la cultura d’impresa. Magari non nei suoi tratti più profondi, ma certamente anche l’approccio culturale con il quale l’imprenditore e la struttura che egli crea affrontano il mercato, muta per rispondere alle sollecitazioni della congiuntura e della concorrenza. Per capire meglio, tuttavia, occorrono anche numeri che avvalorino le sensazioni. Per questo sono importanti lavori come “Dal valore delle competenze, nuove opportunità per rimettere in moto il lavoro” condotto dal CENSIS  per capire come le imprese italiane stanno reagendo alla crisi e presentato alla fine dello scorso febbraio a Roma.

Ciò che se ne deduce è un movimento, un’agire  delle aziende che in questo modo appaiono attive di fronte alle sfide, per nulla ferme al cospetto dei problemi da affrontare.

Certo, solo il 16% circa delle imprese è in crescita, mentre il saldo occupazionale è decisamente negativo. Ma, dice il CENSIS, appare delinearsi un “ristrutturazione nascosta”: poche sono le imprese che davvero sono state ferme. Molte, invece, sono state quelle che, nell’ambito della reazione alla crisi, hanno scelto non solo di agire sugli strumenti tecnologici tradizionali di cambiamento, ma soprattutto sulle competenze. L’innovazione strutturale e dei processi (perseguita dalla grande maggioranza delle imprese italiane), è stata cioè  seguita dalla ricerca di nuove professionalità, nuove figure di lavoratori e manager. E c’è anche stata una buona riqualificazione del personale già esistente, segno del tentativo di unire vecchie competenze a nuove capacità lavorative.

Quanto sta avvenendo nelle imprese italiane e di fatto nel loro assetto culturale di fronte alla crisi, è però ancora più complesso. “L’inserimento di nuove risorse in sostituzione delle vecchie o il ricorso a competenze esterne più specialistiche – dice il CENSIS -, si sono accompagnati all’ottimizzazione dell’organizzazione, con il reengineering dei processi lavorativi (38%), la riorganizzazione dei gruppi di lavoro (31,7%), la revisione dei turni e degli orari (26,5%), la ridefinizione del sistema di valutazione e dei meccanismi premiali (28%). Le resistenze interne del personale hanno condizionato in molti casi (54%) l’avvio dei nuovi processi”.

Cambiano l’impresa italiana e la sua cultura? Probabilmente in buona parte sì. E il CENSIS indica il travaglio del cambiamento, le spinte verso il nuovo, le resistenze del vecchio, la volontà di una cultura d’impresa di migliorarsi e di farsi più moderna. Senza dimenticare un passato spesso ancora denso di caratteristiche positive, forse ingombrante, certamente ancora molto presente. E’ importante quanto scrive il CENSIS circa la ristrutturazione industriale del nostro Paese che pare avere tre facce: difensiva, espansiva e internazionale.

Dal valore delle competenze, nuove opportunità per rimettere in moto il lavoro.  

Rapporto Finale CENSIS, Febbraio 2014

Di fronte alla crisi cambia anche la cultura d’impresa. Magari non nei suoi tratti più profondi, ma certamente anche l’approccio culturale con il quale l’imprenditore e la struttura che egli crea affrontano il mercato, muta per rispondere alle sollecitazioni della congiuntura e della concorrenza. Per capire meglio, tuttavia, occorrono anche numeri che avvalorino le sensazioni. Per questo sono importanti lavori come “Dal valore delle competenze, nuove opportunità per rimettere in moto il lavoro” condotto dal CENSIS  per capire come le imprese italiane stanno reagendo alla crisi e presentato alla fine dello scorso febbraio a Roma.

Ciò che se ne deduce è un movimento, un’agire  delle aziende che in questo modo appaiono attive di fronte alle sfide, per nulla ferme al cospetto dei problemi da affrontare.

Certo, solo il 16% circa delle imprese è in crescita, mentre il saldo occupazionale è decisamente negativo. Ma, dice il CENSIS, appare delinearsi un “ristrutturazione nascosta”: poche sono le imprese che davvero sono state ferme. Molte, invece, sono state quelle che, nell’ambito della reazione alla crisi, hanno scelto non solo di agire sugli strumenti tecnologici tradizionali di cambiamento, ma soprattutto sulle competenze. L’innovazione strutturale e dei processi (perseguita dalla grande maggioranza delle imprese italiane), è stata cioè  seguita dalla ricerca di nuove professionalità, nuove figure di lavoratori e manager. E c’è anche stata una buona riqualificazione del personale già esistente, segno del tentativo di unire vecchie competenze a nuove capacità lavorative.

Quanto sta avvenendo nelle imprese italiane e di fatto nel loro assetto culturale di fronte alla crisi, è però ancora più complesso. “L’inserimento di nuove risorse in sostituzione delle vecchie o il ricorso a competenze esterne più specialistiche – dice il CENSIS -, si sono accompagnati all’ottimizzazione dell’organizzazione, con il reengineering dei processi lavorativi (38%), la riorganizzazione dei gruppi di lavoro (31,7%), la revisione dei turni e degli orari (26,5%), la ridefinizione del sistema di valutazione e dei meccanismi premiali (28%). Le resistenze interne del personale hanno condizionato in molti casi (54%) l’avvio dei nuovi processi”.

Cambiano l’impresa italiana e la sua cultura? Probabilmente in buona parte sì. E il CENSIS indica il travaglio del cambiamento, le spinte verso il nuovo, le resistenze del vecchio, la volontà di una cultura d’impresa di migliorarsi e di farsi più moderna. Senza dimenticare un passato spesso ancora denso di caratteristiche positive, forse ingombrante, certamente ancora molto presente. E’ importante quanto scrive il CENSIS circa la ristrutturazione industriale del nostro Paese che pare avere tre facce: difensiva, espansiva e internazionale.

Dal valore delle competenze, nuove opportunità per rimettere in moto il lavoro.  

Rapporto Finale CENSIS, Febbraio 2014

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