Cultura, lavoro e conoscenza: nei musei, anche d’impresa c’è il capitale sociale d’una Italia produttiva e inclusiva
I musei sono attori essenziali del nostro capitale sociale, costudiscono e valorizzano la memoria e ne stimolano la diffusione, favoriscono la partecipazione all’interno di un territorio e di una comunità e dunque ne alimentano la cultura della sostenibilità ambientale e sociale e ne rafforzano l’impegno civile. Aiutano la condivisione delle conoscenze e la contaminazione dei saperi. E sono dunque strumenti fondamenti di crescita culturale e quindi economica e sociale. I musei, insomma, vanno vissuti come testimoni della Storia e delle storie. E lievito del futuro. Spazi attivi per “l’avvenire della memoria”.
Queste parole, così cariche di senso e di valori forti, stanno in un grande diagramma che Michele Lanzinger, direttore del Museo delle Scienze di Trento e presidente di ICOM Italia (l’International Council of Museums) ama mostrare per raccontare come stanno cambiando le strutture museali nella stagione in cui cresce, soprattutto tra le nuove generazioni, la sensibilità sui temi ambientali e sociali e si diffonde un pur complesso e controverso pensiero critico sul ruolo dei musei e sulle relazioni tra le varie culture. Si va oltre i tradizionali confini del primato della rappresentazione occidentale della cultura e dell’arte (per saperne e capirne di più, vale la pena affidarsi alle pagine di “Musei possibili. Storia, sfide, sperimentazioni”, a cura di Fulvio Irace, edito da Carocci e presentato su IlSole24Ore, 26 maggio: dal simbolo dell’Altes Museum di Berlino icona del museo illuminista alla rivoluzione del Centre Pompidou e alle nuove costruzioni nel paesi arabi, come il Louvre ad Abu Dhabi, sino alle sperimentazioni digitali). E si cerca di costruire, tra conflitti e contrapposizioni (la cancel culture, le tendenze woke) un dialogo, un confronto, tra idee diverse del mondo e differenti rappresentazioni.
Lanzinger, dunque, iscrive la responsabilità dei musei nel contesto dei 17 Obiettivi dello Sviluppo Sostenibile e, in particolare, dei temi indicatori per la Cultura dell’Unesco (ambiente e resilienza, prosperità e sostentamento, conoscenza e competenza, inclusione e partecipazione) e spiega che “portare lo sviluppo sostenibile all’interno del mondo dei beni culturali vuol dire mettere in gioco la capacità di avere uno sguardo rivolto verso il futuro e ampliare il raggio d’azione degli enti culturali coinvolti”. Se ne è parlato, a metà maggio, alla Triennale di Milano, per un convegno promosso dal Museo Lavazza per il Museum Day 2024, discutendo del ruolo dei musei e delle imprese. Se ne parlerà ancora alla Dubai 2025 International General Conference dell’Icom.
L’Agenda 2030 dell’Onu, insomma, ispira le scelte dell’Unesco e dell’Icom. E il riflesso è evidente proprio nella definizione di “museo” adottata dall’Icom con il documento approvato a Praga nell’agosto del 2022: “Il museo è un’istituzione permanente senza scopo di lucro e al servizio della società, che effettua ricerche, colleziona, conserva, interpreta ed espone il patrimonio culturale, materiale e immateriale”. E ancora: “Aperti al pubblico, i musei promuovono la diversità e la sostenibilità. Operano e comunicano eticamente e professionalmente e con la partecipazione delle comunità, offrendo esperienze diversificate per l’educazione, il piacere, la riflessione e la condivisione delle conoscenze”.
Risuonano, qui, parecchie delle parole da cui siamo partiti. E indicano una strada chiara, che investe in pieno il passaggio dei musei “da agenti di conservazione, ricerca, esposizione ed educazione a veri agenti di innovazione sociale ed economica”. Hub culturali e stimoli “per un pubblico contemporaneo sempre più diversificato e globale”. Servizio pubblico, anche quando si tratti di strutture private. Spazi di conoscenza e dunque di libertà. Di confronto. Di dialogo. E, per l’Europa e gli altri paesi occidentali, spazio fondamentale di democrazia.
Tornano in mente le indicazioni dell’articolo 9 della Costituzione italiana, nella nuova formulazione approvata nel maggio 2021: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi anche nell’interesse delle future generazioni”. Ecco un orizzonte di riferimento sapiente e responsabile. Di cui i musei sono parte essenziale. Anche i musei d’impresa, naturalmente.
Le indicazioni dell’Icom e la definizione di museo come luogo di educazione, piacere, riflessione e condivisione delle conoscenze, infatti, sono risuonate nei giorni scorsi in occasione dell’Assemblea annuale di Museimpresa (l’associazione promossa oltre vent’anni fa da Assolombarda e Confindustria e forte dell’adesione di quasi 150 musei e archivi storici aziendali) riunita a Firenze (ospiti di Baker Hughes/Nuovo Pignone e del Museo Ferragamo) per parlare di come “valorizzare memoria e identità nel tempo delle grandi transizioni”. La transizione ambientale e quella digitale. Le transizioni verso nuovi equilibri geopolitici, che mettono in crisi le vecchie mappe di una globalizzazione diseguale e distorcente. Le modifiche dei sistemi di produzione e dei prodotti sotto la spinta delle innovazioni amplificate dalla diffusione dell’Intelligenza Artificiale. Le migrazioni. E le transizioni generazionali, con antichi e nuovi devide di genere, età, provenienza geografica, conoscenze.
Proprio le imprese sono luoghi fisici e culturali quanto mai sensibili a tutti questi temi. Sono strutture guidate da spinte d’innovazione, produttività e competitività. Ma proprio nella stagione della stakeholders economy (con l’attenzione prioritaria ai valori dei soggetti, dei territori e delle comunità su cui l’impresa incide), pure l’inclusione sociale, i valori del lavoro e della sua sicurezza e il rispetto degli equilibri ambientali sono fattori fondamentali di sviluppo, appunto sostenibile e sempre più apprezzato dai mercati (dei consumatori ma anche degli investitori finanziari).
Nei musei e negli archivi storici, appunto, ci sono le testimonianze, quantomai attuali, di questi processi economici e sociali. I documenti e le immagini, le schede tecniche e i racconti che rivelano la forza, storica e contemporanea, dell’impresa italiana, a cominciare dalla sua manifattura e le qualità di una vera e propria “metamorfosi” industriale che privilegia qualità e socialità.
Lavorare, infatti, sulla memoria e sulla valorizzazione dell’enorme patrimonio culturale industriale dell’Italia è un modo, per le imprese, di testimoniare di essere parte di una cittadinanza attiva che consente di pensare concretamente alla qualità dello sviluppo del nostro Paese. Negli archivi e nei musei d’impresa c’è la storia di donne e uomini che, di fronte alle sfide del tempo, hanno saputo dare risposte di crescita che sono evidenti, sul piano economico, nei dati di successo dell’export (670 miliardi, che collocano l’Italia tra i primi cinque paesi al mondo) e, su quello sociale e culturale, nella crescente affluenza di frequentatori dei musei d’impresa, soprattutto da parte delle nuove generazioni.
“Destinazioni ad alto potenziale per il turismo industriale”, scrive IlSole24Ore (1 giugno). Testimonianze esemplari, comunque, di una “civiltà delle macchine”, dell’intraprendenza e del lavoro che costituisce un’asset fondamentale per scrivere, proprio partendo dall’economia e dai musei, una migliore “storia al futuro”.
I musei sono attori essenziali del nostro capitale sociale, costudiscono e valorizzano la memoria e ne stimolano la diffusione, favoriscono la partecipazione all’interno di un territorio e di una comunità e dunque ne alimentano la cultura della sostenibilità ambientale e sociale e ne rafforzano l’impegno civile. Aiutano la condivisione delle conoscenze e la contaminazione dei saperi. E sono dunque strumenti fondamenti di crescita culturale e quindi economica e sociale. I musei, insomma, vanno vissuti come testimoni della Storia e delle storie. E lievito del futuro. Spazi attivi per “l’avvenire della memoria”.
Queste parole, così cariche di senso e di valori forti, stanno in un grande diagramma che Michele Lanzinger, direttore del Museo delle Scienze di Trento e presidente di ICOM Italia (l’International Council of Museums) ama mostrare per raccontare come stanno cambiando le strutture museali nella stagione in cui cresce, soprattutto tra le nuove generazioni, la sensibilità sui temi ambientali e sociali e si diffonde un pur complesso e controverso pensiero critico sul ruolo dei musei e sulle relazioni tra le varie culture. Si va oltre i tradizionali confini del primato della rappresentazione occidentale della cultura e dell’arte (per saperne e capirne di più, vale la pena affidarsi alle pagine di “Musei possibili. Storia, sfide, sperimentazioni”, a cura di Fulvio Irace, edito da Carocci e presentato su IlSole24Ore, 26 maggio: dal simbolo dell’Altes Museum di Berlino icona del museo illuminista alla rivoluzione del Centre Pompidou e alle nuove costruzioni nel paesi arabi, come il Louvre ad Abu Dhabi, sino alle sperimentazioni digitali). E si cerca di costruire, tra conflitti e contrapposizioni (la cancel culture, le tendenze woke) un dialogo, un confronto, tra idee diverse del mondo e differenti rappresentazioni.
Lanzinger, dunque, iscrive la responsabilità dei musei nel contesto dei 17 Obiettivi dello Sviluppo Sostenibile e, in particolare, dei temi indicatori per la Cultura dell’Unesco (ambiente e resilienza, prosperità e sostentamento, conoscenza e competenza, inclusione e partecipazione) e spiega che “portare lo sviluppo sostenibile all’interno del mondo dei beni culturali vuol dire mettere in gioco la capacità di avere uno sguardo rivolto verso il futuro e ampliare il raggio d’azione degli enti culturali coinvolti”. Se ne è parlato, a metà maggio, alla Triennale di Milano, per un convegno promosso dal Museo Lavazza per il Museum Day 2024, discutendo del ruolo dei musei e delle imprese. Se ne parlerà ancora alla Dubai 2025 International General Conference dell’Icom.
L’Agenda 2030 dell’Onu, insomma, ispira le scelte dell’Unesco e dell’Icom. E il riflesso è evidente proprio nella definizione di “museo” adottata dall’Icom con il documento approvato a Praga nell’agosto del 2022: “Il museo è un’istituzione permanente senza scopo di lucro e al servizio della società, che effettua ricerche, colleziona, conserva, interpreta ed espone il patrimonio culturale, materiale e immateriale”. E ancora: “Aperti al pubblico, i musei promuovono la diversità e la sostenibilità. Operano e comunicano eticamente e professionalmente e con la partecipazione delle comunità, offrendo esperienze diversificate per l’educazione, il piacere, la riflessione e la condivisione delle conoscenze”.
Risuonano, qui, parecchie delle parole da cui siamo partiti. E indicano una strada chiara, che investe in pieno il passaggio dei musei “da agenti di conservazione, ricerca, esposizione ed educazione a veri agenti di innovazione sociale ed economica”. Hub culturali e stimoli “per un pubblico contemporaneo sempre più diversificato e globale”. Servizio pubblico, anche quando si tratti di strutture private. Spazi di conoscenza e dunque di libertà. Di confronto. Di dialogo. E, per l’Europa e gli altri paesi occidentali, spazio fondamentale di democrazia.
Tornano in mente le indicazioni dell’articolo 9 della Costituzione italiana, nella nuova formulazione approvata nel maggio 2021: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi anche nell’interesse delle future generazioni”. Ecco un orizzonte di riferimento sapiente e responsabile. Di cui i musei sono parte essenziale. Anche i musei d’impresa, naturalmente.
Le indicazioni dell’Icom e la definizione di museo come luogo di educazione, piacere, riflessione e condivisione delle conoscenze, infatti, sono risuonate nei giorni scorsi in occasione dell’Assemblea annuale di Museimpresa (l’associazione promossa oltre vent’anni fa da Assolombarda e Confindustria e forte dell’adesione di quasi 150 musei e archivi storici aziendali) riunita a Firenze (ospiti di Baker Hughes/Nuovo Pignone e del Museo Ferragamo) per parlare di come “valorizzare memoria e identità nel tempo delle grandi transizioni”. La transizione ambientale e quella digitale. Le transizioni verso nuovi equilibri geopolitici, che mettono in crisi le vecchie mappe di una globalizzazione diseguale e distorcente. Le modifiche dei sistemi di produzione e dei prodotti sotto la spinta delle innovazioni amplificate dalla diffusione dell’Intelligenza Artificiale. Le migrazioni. E le transizioni generazionali, con antichi e nuovi devide di genere, età, provenienza geografica, conoscenze.
Proprio le imprese sono luoghi fisici e culturali quanto mai sensibili a tutti questi temi. Sono strutture guidate da spinte d’innovazione, produttività e competitività. Ma proprio nella stagione della stakeholders economy (con l’attenzione prioritaria ai valori dei soggetti, dei territori e delle comunità su cui l’impresa incide), pure l’inclusione sociale, i valori del lavoro e della sua sicurezza e il rispetto degli equilibri ambientali sono fattori fondamentali di sviluppo, appunto sostenibile e sempre più apprezzato dai mercati (dei consumatori ma anche degli investitori finanziari).
Nei musei e negli archivi storici, appunto, ci sono le testimonianze, quantomai attuali, di questi processi economici e sociali. I documenti e le immagini, le schede tecniche e i racconti che rivelano la forza, storica e contemporanea, dell’impresa italiana, a cominciare dalla sua manifattura e le qualità di una vera e propria “metamorfosi” industriale che privilegia qualità e socialità.
Lavorare, infatti, sulla memoria e sulla valorizzazione dell’enorme patrimonio culturale industriale dell’Italia è un modo, per le imprese, di testimoniare di essere parte di una cittadinanza attiva che consente di pensare concretamente alla qualità dello sviluppo del nostro Paese. Negli archivi e nei musei d’impresa c’è la storia di donne e uomini che, di fronte alle sfide del tempo, hanno saputo dare risposte di crescita che sono evidenti, sul piano economico, nei dati di successo dell’export (670 miliardi, che collocano l’Italia tra i primi cinque paesi al mondo) e, su quello sociale e culturale, nella crescente affluenza di frequentatori dei musei d’impresa, soprattutto da parte delle nuove generazioni.
“Destinazioni ad alto potenziale per il turismo industriale”, scrive IlSole24Ore (1 giugno). Testimonianze esemplari, comunque, di una “civiltà delle macchine”, dell’intraprendenza e del lavoro che costituisce un’asset fondamentale per scrivere, proprio partendo dall’economia e dai musei, una migliore “storia al futuro”.