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Cum petere delle imprese per rilanciare la produttività

In Italia la produttività è ferma da troppo tempo”, sostiene il capo economista del Fondo Monetario Internazionale Olivier Branchard (Il Sole24Ore del 28 marzo). Lo sappiamo bene, naturalmente. La sanzione negativa dei vertici del Fmi è comunque utile perché i decisori politici avviino al più presto le riforme per migliorare la produttività del sistema Paese (burocrazia e anti-corruzione, fisco, giustizia civile, infrastrutture, formazione, ricerca pubblica, mercato del lavoro) e rendere più agevole la crescita e l’internazionalizzazione delle imprese.

Nel corso dell’ultimo decennio, d’altronde, le imprese italiane hanno fatto moltissimo, per essere più competitive. Si sono riorganizzate, ristrutturate, aperte ai mercati internazionali, hanno innovato prodotti e processi, lavorato per affermarsi come produttori d’eccellenza internazionale nelle cosiddette “4A” e cioè automazione e meccanica d’avanguardia, agro-alimentare, arredamento e abbigliamento, emblemi del made in Italy di qualità (insieme a cui si muovono anche meccanica, chimica e farmaceutica di nicchia, gomma, nautica, etc.). La produttività complessiva resta perà bassa. Per vincoli del sistema Paese. Ma anche per responsabilità presenti nel mondo stesso delle imprese, rimaste piccole, sottocapitalizzate, irrigidite in un “capitalismo familista” che non sa ancora esprimere tutte le potenzialità di una sintesi virtusa tra imprenditoria di famiglia e gestione con forti caratteristiche manageriali.

Serve, per la produttività, una vera e propria radicale trasformazione della cultura d’impresa. Apertura a logiche e regole di mercati aperti. Chiusura del capitolo dei sostegni pubblici a pioggia e insistenza per politiche industriali pubbliche concentrate su innovazizone, ricerca e crescita dimensionale. Privilegio della collaborazione in distretti, meta-distretti e “filiere lunghe” anche di dimensione internazionale.

Un salto, insomma, dalla “solitudine dell’imprenditore” alla collaborazione-competizione. Alla radice di una migliore produttività, di sistema e di impresa, sta anche la comprensione di una parola chiave. Competitività. Dal latino cum petere, darsi un obiettivo e provare a raggiungerlo insieme.

In Italia la produttività è ferma da troppo tempo”, sostiene il capo economista del Fondo Monetario Internazionale Olivier Branchard (Il Sole24Ore del 28 marzo). Lo sappiamo bene, naturalmente. La sanzione negativa dei vertici del Fmi è comunque utile perché i decisori politici avviino al più presto le riforme per migliorare la produttività del sistema Paese (burocrazia e anti-corruzione, fisco, giustizia civile, infrastrutture, formazione, ricerca pubblica, mercato del lavoro) e rendere più agevole la crescita e l’internazionalizzazione delle imprese.

Nel corso dell’ultimo decennio, d’altronde, le imprese italiane hanno fatto moltissimo, per essere più competitive. Si sono riorganizzate, ristrutturate, aperte ai mercati internazionali, hanno innovato prodotti e processi, lavorato per affermarsi come produttori d’eccellenza internazionale nelle cosiddette “4A” e cioè automazione e meccanica d’avanguardia, agro-alimentare, arredamento e abbigliamento, emblemi del made in Italy di qualità (insieme a cui si muovono anche meccanica, chimica e farmaceutica di nicchia, gomma, nautica, etc.). La produttività complessiva resta perà bassa. Per vincoli del sistema Paese. Ma anche per responsabilità presenti nel mondo stesso delle imprese, rimaste piccole, sottocapitalizzate, irrigidite in un “capitalismo familista” che non sa ancora esprimere tutte le potenzialità di una sintesi virtusa tra imprenditoria di famiglia e gestione con forti caratteristiche manageriali.

Serve, per la produttività, una vera e propria radicale trasformazione della cultura d’impresa. Apertura a logiche e regole di mercati aperti. Chiusura del capitolo dei sostegni pubblici a pioggia e insistenza per politiche industriali pubbliche concentrate su innovazizone, ricerca e crescita dimensionale. Privilegio della collaborazione in distretti, meta-distretti e “filiere lunghe” anche di dimensione internazionale.

Un salto, insomma, dalla “solitudine dell’imprenditore” alla collaborazione-competizione. Alla radice di una migliore produttività, di sistema e di impresa, sta anche la comprensione di una parola chiave. Competitività. Dal latino cum petere, darsi un obiettivo e provare a raggiungerlo insieme.

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