Dalla fabbrica alla marca
Come i prodotti e i brand vivono da soli e possono condizionare la vita dell’impresa
I prodotti spesso hanno vita propria, le marche (i brand), ancora di più. Anzi, nella storia dell’industria è accaduto molte volte che la fabbrica stessa, l’impresa, il luogo di produzione siano rimasti noti nelle mente dei consumatori non per l’eccellenza dell’organizzazione oppure per il nome dell’imprenditore che ha ideato il tutto, ma per l’immagine e la natura del prodotto al quale hanno dato “vita”. Tanto che attorno al concetto di marca si è costruito un mondo – di studi e di pratica -, che va esplorato e compreso.
E’ quanto fanno Bernard Cova (Full Professor alla Kedge Business School di Marsiglia e Visiting Professor presso l’Università Bocconi di Milano), Gregorio Fuschillo (Assistant Professor alla Kedge Business School di Marsiglia) insieme a Stefano Pace (Associate Professor sempre alla Kedge Business School di Marsiglia). Il loro “Le marche siamo noi. Navigare nella cultura del consumo” è una bella lettura per comprendere quanto prodotti e brand possono staccarsi dalle loro origine per, appunto, vivere di vita propria.
L’assunto di partenza dei tre studiosi è semplice: occorre considerare i brand come entità sociali, creati dalle imprese e fatti vivere dai consumatori nella società. In questo modo sarà possibile comprendere meglio il nuovo rapporto fra imprese e mercato.
Per dimostrare questa tesi, i tre hanno articolato il libro in tre parti.
Nella prima viene mostrato come l’azione dei consumatori trasformi marche e oggetti di consumo in risorse culturali, sociali e identitarie. La seconda parte racconta le marche come strumenti di mediazione fra persone. Tanto da arrivare a poter dire come le vite dei consumatori diventino “brandizzate” non, come in passato, per la ricerca di uno status, ma perché il brand è un ponte per stabilire legami sociali. Gli autori fanno capire questo concetto con casi di “vita sociale di marca” come quelli di Alfa Romeo, Apple, Barilla, Decathlon, Ducati, Google, Lego, Nutella, La Scala, Star Trek, Tough Mudder. Ma non basta, perché la marca usata come strumento per creare rapporti sociali, arriva anche a definire pratiche sociali nuove come i brand verb, brand days, brand surfeits, brand volunteers.
Ma la storia non finisce qui. Perché anche la marca, il brand corre dei rischi che vengono affrontati nella terza parte del volume. Ai tempi del web e della digitalizzazione, così come di un’economia sempre più veloce, è ormai palese la forza del consumatore capace di generare e diffondere significati che possono diventare dirompenti, dirottando il senso della marca, inserendola in tensioni più ampie e determinando una brand crisis. Situazione anche improvvise, alle quali le imprese devono stare molto attente.
Il volume di Cova, Fuschillo e Pace è interessante da leggere, e pone ragionamenti che ogni manager, cosi come ogni imprenditore, dovrebbe fare.
Le marche siamo noi. Navigare nella cultura del consumo
Bernard Cova, Gregorio Fuschillo, Stefano Pace
Franco Angeli, 2017
Come i prodotti e i brand vivono da soli e possono condizionare la vita dell’impresa
I prodotti spesso hanno vita propria, le marche (i brand), ancora di più. Anzi, nella storia dell’industria è accaduto molte volte che la fabbrica stessa, l’impresa, il luogo di produzione siano rimasti noti nelle mente dei consumatori non per l’eccellenza dell’organizzazione oppure per il nome dell’imprenditore che ha ideato il tutto, ma per l’immagine e la natura del prodotto al quale hanno dato “vita”. Tanto che attorno al concetto di marca si è costruito un mondo – di studi e di pratica -, che va esplorato e compreso.
E’ quanto fanno Bernard Cova (Full Professor alla Kedge Business School di Marsiglia e Visiting Professor presso l’Università Bocconi di Milano), Gregorio Fuschillo (Assistant Professor alla Kedge Business School di Marsiglia) insieme a Stefano Pace (Associate Professor sempre alla Kedge Business School di Marsiglia). Il loro “Le marche siamo noi. Navigare nella cultura del consumo” è una bella lettura per comprendere quanto prodotti e brand possono staccarsi dalle loro origine per, appunto, vivere di vita propria.
L’assunto di partenza dei tre studiosi è semplice: occorre considerare i brand come entità sociali, creati dalle imprese e fatti vivere dai consumatori nella società. In questo modo sarà possibile comprendere meglio il nuovo rapporto fra imprese e mercato.
Per dimostrare questa tesi, i tre hanno articolato il libro in tre parti.
Nella prima viene mostrato come l’azione dei consumatori trasformi marche e oggetti di consumo in risorse culturali, sociali e identitarie. La seconda parte racconta le marche come strumenti di mediazione fra persone. Tanto da arrivare a poter dire come le vite dei consumatori diventino “brandizzate” non, come in passato, per la ricerca di uno status, ma perché il brand è un ponte per stabilire legami sociali. Gli autori fanno capire questo concetto con casi di “vita sociale di marca” come quelli di Alfa Romeo, Apple, Barilla, Decathlon, Ducati, Google, Lego, Nutella, La Scala, Star Trek, Tough Mudder. Ma non basta, perché la marca usata come strumento per creare rapporti sociali, arriva anche a definire pratiche sociali nuove come i brand verb, brand days, brand surfeits, brand volunteers.
Ma la storia non finisce qui. Perché anche la marca, il brand corre dei rischi che vengono affrontati nella terza parte del volume. Ai tempi del web e della digitalizzazione, così come di un’economia sempre più veloce, è ormai palese la forza del consumatore capace di generare e diffondere significati che possono diventare dirompenti, dirottando il senso della marca, inserendola in tensioni più ampie e determinando una brand crisis. Situazione anche improvvise, alle quali le imprese devono stare molto attente.
Il volume di Cova, Fuschillo e Pace è interessante da leggere, e pone ragionamenti che ogni manager, cosi come ogni imprenditore, dovrebbe fare.
Le marche siamo noi. Navigare nella cultura del consumo
Bernard Cova, Gregorio Fuschillo, Stefano Pace
Franco Angeli, 2017