Ecco il “socio occulto” che inquina l’economia al Nord e la risposta antimafia delle imprese da Milano a Verona
“Il socio occulto”. E’ il titolo, molto efficace, dell’ultimo libro di Marella Caramazza, direttore della Fondazione Istud ed esperta di formazione aziendale, pubblicato da Egea. E indica bene quale sia la strategia delle mafie nei confronti delle imprese, soprattutto nelle aree più ricche e dinamiche d’Italia, la Lombardia, il Veneto, l’Emilia, ma anche il Piemonte, la Liguria e, perché no?, la piccola ma appetibile Valle d’Aosta. Un “socio occulto” che si infiltra con una strategia di sostegni, aiuti, protezione, finanziamenti. Poi s’impossessa stabilmente dell’impresa, cacciando spesso l’imprenditore originario. E da lì si espande stravolgendo il mercato, la concorrenza, le strutture sociali e corrompendo la politica e la pubblica amministrazione.
Per anni, purtroppo sino a tempi recenti, in tanti, anche con responsabilità di governo nazionale e locale, hanno detto: “In Lombardia la mafia non esiste” o “in Veneto non ce n’è traccia, chi lo dice diffama una società sana”. Negli anni Sessanta lo si diceva pure in Sicilia o a Napoli o a Reggio Calabria, salvo poi dover prendere atto di quanto Cosa nostra, la camorra e la ‘ndrangheta avessero messo le mani su città e paesi, affari e interessi, uccidendo, violentando, ricattando, stravolgendo una parte larga del Mezzogiorno. Adesso quella mafia spara di meno e però s’impegna comunque a fare soldi e controllare affari e interessi, distruggendo parti crescenti di economia e società. Come un tumore.
Un tumore diffuso. Da affrontare e recidere anche comprendendo come si stiano evolvendo i “Modelli criminali”, per parafrasare il titolo dell’ottimo libro di Giuseppe Pignatone, Procuratore capo della Repubblica di Roma (dopo una lunga e brillante carriera a Palermo e a Reggio Calabria) e Michele Prestipino, Procuratore aggiunto di Roma: una documentata e competente ricostruzione, pubblicata da Laterza, delle trasformazioni mafiose, dai boss siciliani alle ‘ndrine che dagli anni Ottanta hanno “occupato” le province del Nord, dai traffici camorristi su droga e traffico illegale di rifiuti sino a “Mafia capitale”.
Che proprio il Nord sia una frontiera di allarmante presenza mafiosa lo conferma proprio l’ultimo rapporto della Dna, la Direzione nazionale antimafia: “Le infiltrazioni della ‘ndrangheta nell’economia legale sono consistenti anche nel Nord Italia. Ciò si desume pure dalle tante interdittive antimafia rilasciate nel nord del Paese per società che operano nel settore edilizio, del trasporto e smaltimento rifiuti, dell’autotrasporto e della ristorazione”.
Attività criminali. E relazioni torbide con ambienti politici e economici. Il rapporto della Dna, infatti, sottolinea come “la ricerca da parte delle cosche di imprenditori prestanome, necessari per l’aggiudicazione degli appalti pubblici, prescinda dalla loro area di origine e dal contesto geo-criminale in cui insistono le sedi legali delle società”.
Boss d’origine calabrese, siciliana o campana e, di recente, anche pugliese e imprenditori complici, a Milano in Brianza e nella ricca provincia lombarda (“‘Ndrangheta, vedi Cantù e pensi a Locri”, sostiene Nando Dalla Chiesa, direttore del Cross, l’Osservatorio universitario sulla criminalità organizzata, parlando di un processo che, appunto a Cantù, vede coinvolti capi mafia e complici locali) ma anche a Brescia e a Bergamo (arresti recenti, a metà marzo, di uomini della ‘ndrangheta specializzati nel “servizio recupero crediti”) e nelle ricche città venete ed emiliane.
Le mafie al Nord. Una minaccia crescente. Da cercare di battere, proprio in difesa della buona economia.
Una conferma arriva da Verona, dove la Camera di Commercio e Avviso Pubblico (la rete di enti locali contro la criminalità organizzata) hanno promosso, nei giorni scorsi, un convegno su “Mafie ed economia” con la presenza di magistrati, imprenditori, pubblici amministratori, uomini delle forze dell’ordine e un folto pubblico di studenti.
“Massima attenzione ai reati sentinella”, ha ammonito il Procuratore capo della Repubblica Angela Barbaglia: strani fallimenti aziendali, false fatturazioni, evasione fiscale, corruzione. E Bruno Cherchi, Procuratore antimafia del Veneto: “Tutta la regione è a rischio di infiltrazioni mafiose”. Lo conferma proprio l’ultima operazione antimafia nella regione, 50 arresti nello scorso febbraio, tra boss di ‘ndrangheta e camorra (legati al feroce “clan dei Casalesi”), amministratori locali e professionisti impegnati in attività di costruzione, riciclaggio di denaro e altri reati tipici della criminalità organizzata che trova spazio nell’economia.
La risposta? “Indebolire la mafia sottraendole potere economico”, è la tesi del nuovo prefetto di Verona, Donato Giovanni Cafagna, una lunga esperienza nella Terra dei fuochi in Campania, in Puglia ma anche a Milano, nella stagione dell’Expo, un buon esempio di come, proprio con le “interdittive” della Prefettura rivolte alle imprese sospette di relazioni con ambienti criminali, si siano salvaguardate le esigenze di fare presto e bene importanti lavori pubblici e, contemporaneamente, quelle di trasparenza ed efficienza della pubblica amministrazione.
Fermare lo sguardo su Milano, dunque. Per capire meglio tendenze criminali e reazioni della società civile.
Sostiene ancora “Il socio occulto” della Caramazza: “La scelta da parte della mafia di entrare nel mercato legale attraverso il controllo di imprese sane costituisce uno dei maggiori rischi per la tutela della libera azione economica e per l’esercizio di un’equa concorrenza”. E ancora: “Siamo in presenza di una strategia aggressiva ma silenziosa e mimetica, attraverso cui l’impresa legale diventa bersaglio delle organizzazioni criminali, fino a quando il confine tra impresa legale e impresa illecita, o addirittura criminale, non è più demarcabile”.
Proprio da questa consapevolezza è nata, dieci anni fa, la scelta di Assolombarda di puntare sulla difesa e la promozione della legalità, come funzione essenziale per la competitività di Milano e delle sue imprese, considerando le mafie (la ‘ndrangheta, innanzitutto, l’organizzazione criminale attualmente più potente e diffusa) come una presenza eversiva. Eversiva del mercato. Eversiva della sostenibilità economica dello sviluppo. Eversiva dei rapporti commerciali e di lavoro, in parecchi settori della vita economica e sociale: l’edilizia, gli appalti e le forniture pubbliche, la sanità, il commercio, il trasporto, lo smaltimento dei rifiuti, una serie di servizi finanziari. Un impegno antimafia di lunga lena. Fondato sullo studio del fenomeno, sulle relazioni positive con Palazzo di Giustizia e le strutture degli inquirenti (l’azione investigativa e repressiva è fondamentale, anche se da sola non sufficiente a battere le cosche mafiose), su un’insistente attività di sensibilizzazione e di comunicazione con i responsabili delle imprese iscritte ad Assolombarda. Il messaggio chiave: la mafia non è un’agenzia di servizi cui rivolgersi per risolvere un problema, avere un finanziamento, recuperare un credito, ottenere un appalto, vincere una gara di fornitura, battere un concorrente o risolvere un conflitto sindacale. Il rapporto con la mafia è “per sempre”. L’azienda inquinata è un’azienda condannata a finire nell’universo dell’economia illegale.
Il messaggio trova ascolto. Il “socio occulto” è ancora attivo, una tentazione costante. Ma finora non vincente.
“Il socio occulto”. E’ il titolo, molto efficace, dell’ultimo libro di Marella Caramazza, direttore della Fondazione Istud ed esperta di formazione aziendale, pubblicato da Egea. E indica bene quale sia la strategia delle mafie nei confronti delle imprese, soprattutto nelle aree più ricche e dinamiche d’Italia, la Lombardia, il Veneto, l’Emilia, ma anche il Piemonte, la Liguria e, perché no?, la piccola ma appetibile Valle d’Aosta. Un “socio occulto” che si infiltra con una strategia di sostegni, aiuti, protezione, finanziamenti. Poi s’impossessa stabilmente dell’impresa, cacciando spesso l’imprenditore originario. E da lì si espande stravolgendo il mercato, la concorrenza, le strutture sociali e corrompendo la politica e la pubblica amministrazione.
Per anni, purtroppo sino a tempi recenti, in tanti, anche con responsabilità di governo nazionale e locale, hanno detto: “In Lombardia la mafia non esiste” o “in Veneto non ce n’è traccia, chi lo dice diffama una società sana”. Negli anni Sessanta lo si diceva pure in Sicilia o a Napoli o a Reggio Calabria, salvo poi dover prendere atto di quanto Cosa nostra, la camorra e la ‘ndrangheta avessero messo le mani su città e paesi, affari e interessi, uccidendo, violentando, ricattando, stravolgendo una parte larga del Mezzogiorno. Adesso quella mafia spara di meno e però s’impegna comunque a fare soldi e controllare affari e interessi, distruggendo parti crescenti di economia e società. Come un tumore.
Un tumore diffuso. Da affrontare e recidere anche comprendendo come si stiano evolvendo i “Modelli criminali”, per parafrasare il titolo dell’ottimo libro di Giuseppe Pignatone, Procuratore capo della Repubblica di Roma (dopo una lunga e brillante carriera a Palermo e a Reggio Calabria) e Michele Prestipino, Procuratore aggiunto di Roma: una documentata e competente ricostruzione, pubblicata da Laterza, delle trasformazioni mafiose, dai boss siciliani alle ‘ndrine che dagli anni Ottanta hanno “occupato” le province del Nord, dai traffici camorristi su droga e traffico illegale di rifiuti sino a “Mafia capitale”.
Che proprio il Nord sia una frontiera di allarmante presenza mafiosa lo conferma proprio l’ultimo rapporto della Dna, la Direzione nazionale antimafia: “Le infiltrazioni della ‘ndrangheta nell’economia legale sono consistenti anche nel Nord Italia. Ciò si desume pure dalle tante interdittive antimafia rilasciate nel nord del Paese per società che operano nel settore edilizio, del trasporto e smaltimento rifiuti, dell’autotrasporto e della ristorazione”.
Attività criminali. E relazioni torbide con ambienti politici e economici. Il rapporto della Dna, infatti, sottolinea come “la ricerca da parte delle cosche di imprenditori prestanome, necessari per l’aggiudicazione degli appalti pubblici, prescinda dalla loro area di origine e dal contesto geo-criminale in cui insistono le sedi legali delle società”.
Boss d’origine calabrese, siciliana o campana e, di recente, anche pugliese e imprenditori complici, a Milano in Brianza e nella ricca provincia lombarda (“‘Ndrangheta, vedi Cantù e pensi a Locri”, sostiene Nando Dalla Chiesa, direttore del Cross, l’Osservatorio universitario sulla criminalità organizzata, parlando di un processo che, appunto a Cantù, vede coinvolti capi mafia e complici locali) ma anche a Brescia e a Bergamo (arresti recenti, a metà marzo, di uomini della ‘ndrangheta specializzati nel “servizio recupero crediti”) e nelle ricche città venete ed emiliane.
Le mafie al Nord. Una minaccia crescente. Da cercare di battere, proprio in difesa della buona economia.
Una conferma arriva da Verona, dove la Camera di Commercio e Avviso Pubblico (la rete di enti locali contro la criminalità organizzata) hanno promosso, nei giorni scorsi, un convegno su “Mafie ed economia” con la presenza di magistrati, imprenditori, pubblici amministratori, uomini delle forze dell’ordine e un folto pubblico di studenti.
“Massima attenzione ai reati sentinella”, ha ammonito il Procuratore capo della Repubblica Angela Barbaglia: strani fallimenti aziendali, false fatturazioni, evasione fiscale, corruzione. E Bruno Cherchi, Procuratore antimafia del Veneto: “Tutta la regione è a rischio di infiltrazioni mafiose”. Lo conferma proprio l’ultima operazione antimafia nella regione, 50 arresti nello scorso febbraio, tra boss di ‘ndrangheta e camorra (legati al feroce “clan dei Casalesi”), amministratori locali e professionisti impegnati in attività di costruzione, riciclaggio di denaro e altri reati tipici della criminalità organizzata che trova spazio nell’economia.
La risposta? “Indebolire la mafia sottraendole potere economico”, è la tesi del nuovo prefetto di Verona, Donato Giovanni Cafagna, una lunga esperienza nella Terra dei fuochi in Campania, in Puglia ma anche a Milano, nella stagione dell’Expo, un buon esempio di come, proprio con le “interdittive” della Prefettura rivolte alle imprese sospette di relazioni con ambienti criminali, si siano salvaguardate le esigenze di fare presto e bene importanti lavori pubblici e, contemporaneamente, quelle di trasparenza ed efficienza della pubblica amministrazione.
Fermare lo sguardo su Milano, dunque. Per capire meglio tendenze criminali e reazioni della società civile.
Sostiene ancora “Il socio occulto” della Caramazza: “La scelta da parte della mafia di entrare nel mercato legale attraverso il controllo di imprese sane costituisce uno dei maggiori rischi per la tutela della libera azione economica e per l’esercizio di un’equa concorrenza”. E ancora: “Siamo in presenza di una strategia aggressiva ma silenziosa e mimetica, attraverso cui l’impresa legale diventa bersaglio delle organizzazioni criminali, fino a quando il confine tra impresa legale e impresa illecita, o addirittura criminale, non è più demarcabile”.
Proprio da questa consapevolezza è nata, dieci anni fa, la scelta di Assolombarda di puntare sulla difesa e la promozione della legalità, come funzione essenziale per la competitività di Milano e delle sue imprese, considerando le mafie (la ‘ndrangheta, innanzitutto, l’organizzazione criminale attualmente più potente e diffusa) come una presenza eversiva. Eversiva del mercato. Eversiva della sostenibilità economica dello sviluppo. Eversiva dei rapporti commerciali e di lavoro, in parecchi settori della vita economica e sociale: l’edilizia, gli appalti e le forniture pubbliche, la sanità, il commercio, il trasporto, lo smaltimento dei rifiuti, una serie di servizi finanziari. Un impegno antimafia di lunga lena. Fondato sullo studio del fenomeno, sulle relazioni positive con Palazzo di Giustizia e le strutture degli inquirenti (l’azione investigativa e repressiva è fondamentale, anche se da sola non sufficiente a battere le cosche mafiose), su un’insistente attività di sensibilizzazione e di comunicazione con i responsabili delle imprese iscritte ad Assolombarda. Il messaggio chiave: la mafia non è un’agenzia di servizi cui rivolgersi per risolvere un problema, avere un finanziamento, recuperare un credito, ottenere un appalto, vincere una gara di fornitura, battere un concorrente o risolvere un conflitto sindacale. Il rapporto con la mafia è “per sempre”. L’azienda inquinata è un’azienda condannata a finire nell’universo dell’economia illegale.
Il messaggio trova ascolto. Il “socio occulto” è ancora attivo, una tentazione costante. Ma finora non vincente.