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Ecco l’industria medium tech: competitività e migliori equilibri sociali

Manifattura tecnologicamente sofisticata: è un bel primato italiano. Perché combina, soprattutto nel cosiddetto medium tech, la forza delle radici industriali e artigiane del “fare, e fare bene” ben salde nelle nostra cultura d’impresa, con una vivace tendenza all’innovazione che anima, nonostante tutto, il tessuto economico del paese, soprattutto nelle aree più dinamiche e industrializzate, dal Nord Ovest delle imprese medio-grandi al Nord Est in cui è finalmente tramontata l’ideologia del “piccolo è bello” e si cercano dimensioni d’impresa adatte alle nicchie d’alta qualità sui mercati internazionali, dall’Emilia dei distretti meccanici alla “dorsale adriatica”, sino a  toccare isole manifatturiere pur importanti (anche se fragili) nel Lazio e nel Mezzogiorno. Manifattura d’avanguardia, dunque, come combinazione originale d’industria e tecnologie digitali. Una leva fondamentale per costruire uno sviluppo più equilibrato dell’intero Paese. “Produzione, lievi segni di ripresa: crescita a marzo dello 0,7%”, nota il Centro Studi Confindustria (“IlSole24Ore”, 11 aprile), dando conto di una congiuntura che può alimentare pur prudenti speranze. E’ vero che rispetto al 2008, l’anno d’esplosione della Grande Crisi, c’è un calo del 23,6%, con un buon quarto dell’intera produzione industriale da recuperare. Ma è altrettanto vero che buona parte delle imprese medie e medio grandi, di molti distretti e delle principali filiere industriali confermano che la ripresa è partita, trainata dall’export (nell’area Ue, negli Usa, ma soprattutto nel cosiddetti “paesi emerenti” o da poco “emersi”, come la Cina e il Brasile) e rallentata dalla stagnazione ancora evidente sul mercato interno.

Come sostenere questa timida ripresa, come “Riaccendere i motori”? Indicazioni molto interessanti vengono da un bel libro di Gianfelice Rocca, presidente di Assolombarda e del Gruppo Techint (multinazionale italiana d’antica storia e robusto spessore) che, sotto quel titolo adatto a ispirare fiducia, parla di “innovazione, merito ordinario e rinascita italiana” e spiega l’importanza di un’Italia produttiva fondata sull’industria “medium tech”, cioè sulla manifattura d’alta qualità metalmeccanica, meccanica, chimica, plastica, elettrotecnica, nautica, legata alle filiere dell’automotive, del “medicale” e della diagnostica. Un’industria forte per innovazione “incrementale”, densa di “multinazionali tascabili”, capace di reggere la competizione con la Germania campione manifatturiero europeo, adatta a garantire lavoro, utile a potenziare attraverso la leva dell’export la crescita del Pil. Un’industria aperta, dinamica, abituata a investire all’estero (non per sfruttare la leva dei bassi costi, ma per conquistare da insider i mercati in espansione), tenendo però ben saldi in Italia la testa e il cuore delle strategie, della ricerca, delle produzioni “alto di gamma” e a maggior valore aggiunto.

E’ un libro importante e necessario, quello di Rocca. E rafforza le elaborazioni già in corso su “rinascimento manifatturiero”, ”orgoglio industriale”, “riscatto” della manifattura grazie anche agli investimenti internazionali, “produzione intelligente”(per riprendere un tema caro allo storico dell’economia Giuseppe Berta, di cui abbiamo parlato proprio su questa sezione di cultura d’impresa, alcune settimane fa), “quarto capitalismo” e imprese d’eccellenza delle “quattro A del made in Italy” (agro-industria, arredamento, abbigliamento e soprattutto automazione meccanica) diffuse su un territorio ricco di capitale umano e capitale sociale.

E’ un’industria che ha molto innovato, negli ultimi vent’anni. Ed è stata stimolata (o, perché no?, costretta) a farlo dalla fine della lunga stagione della facile e pigra svalutazione competitiva, con l’adesione dell’Italia al trattato di Maastricht e ai vincoli dell’euro, quando non è stato più possibile usare la leva dei bassi prezzi (svalutando appunto la fragile lira) ed è stato necessario fare fronte agli alti costi di produzione con l’innovazione, la qualità, la creatività. Vale la pena ricordarlo, quel periodo, proprio in tempi in cui demagoghi e populisti chiacchierano disinvoltamente della fine dell’euro e del ritorno alla lira, vantando appunto, tra le conseguenze positive, la “svalutazione competitiva”: si butterebbe via un ventennio di positiva trasformazione industriale e di efficiente ed efficace competitività, per ritrovarsi ai margini dell’industria europea.

Meglio pensare, come suggerisce Rocca, a rafforzare le nostre imprese di successo medium tech: ricerca, formazione, infrastrutture, credito, ambiente adatto alle start up, cioè alle nuove aziende più dinamiche e creative, basso peso della burocrazia e del fisco, legalità, giustizia veloce e puntuale. E riforme istituzionali e sociali adatta a un paese che voglia e sappia dare un futuro alle giovani generazioni. “Un Paese è competitivo – sostiene Rocca – nel momento in cui le aziende che operano nel suo territorio sono in grado di competere con sucesso nell’economia globale e di assicurare, nello stesso tempo, standard di vita elevati e crescenti al cittadino medio”.

Le industrie medium tech hanno anche una funzione di miglior equilibrio sociale: hanno bisogno di un buon capitale umano, di lunga durata, sollecitano competenze continuamente aggiornate, promuovono il merito (cresce chi sa fare), si radicano positivamente nel territorio e, sollecitando una supply chain di qualità, migliorano il capitale sociale diffuso: “Una costellazione di valori che contribuiscono, nel lungo periodo, a rendere più solida, più stabile e anche più ricca una società”. Ci sono sei leve, su cui insistere: “Innovazione e produttività, capitale umano e merito ordinario, coesione sociale e mobilità intergenerazionale”. Sono caratteristiche in cui la buona cultura d’impresa si combina con la sostenibilità. E con lo sviluppo. Rinascita italiana, appunto. E paradigma positivo per altre aree dell’Europa e del mondo.

Manifattura tecnologicamente sofisticata: è un bel primato italiano. Perché combina, soprattutto nel cosiddetto medium tech, la forza delle radici industriali e artigiane del “fare, e fare bene” ben salde nelle nostra cultura d’impresa, con una vivace tendenza all’innovazione che anima, nonostante tutto, il tessuto economico del paese, soprattutto nelle aree più dinamiche e industrializzate, dal Nord Ovest delle imprese medio-grandi al Nord Est in cui è finalmente tramontata l’ideologia del “piccolo è bello” e si cercano dimensioni d’impresa adatte alle nicchie d’alta qualità sui mercati internazionali, dall’Emilia dei distretti meccanici alla “dorsale adriatica”, sino a  toccare isole manifatturiere pur importanti (anche se fragili) nel Lazio e nel Mezzogiorno. Manifattura d’avanguardia, dunque, come combinazione originale d’industria e tecnologie digitali. Una leva fondamentale per costruire uno sviluppo più equilibrato dell’intero Paese. “Produzione, lievi segni di ripresa: crescita a marzo dello 0,7%”, nota il Centro Studi Confindustria (“IlSole24Ore”, 11 aprile), dando conto di una congiuntura che può alimentare pur prudenti speranze. E’ vero che rispetto al 2008, l’anno d’esplosione della Grande Crisi, c’è un calo del 23,6%, con un buon quarto dell’intera produzione industriale da recuperare. Ma è altrettanto vero che buona parte delle imprese medie e medio grandi, di molti distretti e delle principali filiere industriali confermano che la ripresa è partita, trainata dall’export (nell’area Ue, negli Usa, ma soprattutto nel cosiddetti “paesi emerenti” o da poco “emersi”, come la Cina e il Brasile) e rallentata dalla stagnazione ancora evidente sul mercato interno.

Come sostenere questa timida ripresa, come “Riaccendere i motori”? Indicazioni molto interessanti vengono da un bel libro di Gianfelice Rocca, presidente di Assolombarda e del Gruppo Techint (multinazionale italiana d’antica storia e robusto spessore) che, sotto quel titolo adatto a ispirare fiducia, parla di “innovazione, merito ordinario e rinascita italiana” e spiega l’importanza di un’Italia produttiva fondata sull’industria “medium tech”, cioè sulla manifattura d’alta qualità metalmeccanica, meccanica, chimica, plastica, elettrotecnica, nautica, legata alle filiere dell’automotive, del “medicale” e della diagnostica. Un’industria forte per innovazione “incrementale”, densa di “multinazionali tascabili”, capace di reggere la competizione con la Germania campione manifatturiero europeo, adatta a garantire lavoro, utile a potenziare attraverso la leva dell’export la crescita del Pil. Un’industria aperta, dinamica, abituata a investire all’estero (non per sfruttare la leva dei bassi costi, ma per conquistare da insider i mercati in espansione), tenendo però ben saldi in Italia la testa e il cuore delle strategie, della ricerca, delle produzioni “alto di gamma” e a maggior valore aggiunto.

E’ un libro importante e necessario, quello di Rocca. E rafforza le elaborazioni già in corso su “rinascimento manifatturiero”, ”orgoglio industriale”, “riscatto” della manifattura grazie anche agli investimenti internazionali, “produzione intelligente”(per riprendere un tema caro allo storico dell’economia Giuseppe Berta, di cui abbiamo parlato proprio su questa sezione di cultura d’impresa, alcune settimane fa), “quarto capitalismo” e imprese d’eccellenza delle “quattro A del made in Italy” (agro-industria, arredamento, abbigliamento e soprattutto automazione meccanica) diffuse su un territorio ricco di capitale umano e capitale sociale.

E’ un’industria che ha molto innovato, negli ultimi vent’anni. Ed è stata stimolata (o, perché no?, costretta) a farlo dalla fine della lunga stagione della facile e pigra svalutazione competitiva, con l’adesione dell’Italia al trattato di Maastricht e ai vincoli dell’euro, quando non è stato più possibile usare la leva dei bassi prezzi (svalutando appunto la fragile lira) ed è stato necessario fare fronte agli alti costi di produzione con l’innovazione, la qualità, la creatività. Vale la pena ricordarlo, quel periodo, proprio in tempi in cui demagoghi e populisti chiacchierano disinvoltamente della fine dell’euro e del ritorno alla lira, vantando appunto, tra le conseguenze positive, la “svalutazione competitiva”: si butterebbe via un ventennio di positiva trasformazione industriale e di efficiente ed efficace competitività, per ritrovarsi ai margini dell’industria europea.

Meglio pensare, come suggerisce Rocca, a rafforzare le nostre imprese di successo medium tech: ricerca, formazione, infrastrutture, credito, ambiente adatto alle start up, cioè alle nuove aziende più dinamiche e creative, basso peso della burocrazia e del fisco, legalità, giustizia veloce e puntuale. E riforme istituzionali e sociali adatta a un paese che voglia e sappia dare un futuro alle giovani generazioni. “Un Paese è competitivo – sostiene Rocca – nel momento in cui le aziende che operano nel suo territorio sono in grado di competere con sucesso nell’economia globale e di assicurare, nello stesso tempo, standard di vita elevati e crescenti al cittadino medio”.

Le industrie medium tech hanno anche una funzione di miglior equilibrio sociale: hanno bisogno di un buon capitale umano, di lunga durata, sollecitano competenze continuamente aggiornate, promuovono il merito (cresce chi sa fare), si radicano positivamente nel territorio e, sollecitando una supply chain di qualità, migliorano il capitale sociale diffuso: “Una costellazione di valori che contribuiscono, nel lungo periodo, a rendere più solida, più stabile e anche più ricca una società”. Ci sono sei leve, su cui insistere: “Innovazione e produttività, capitale umano e merito ordinario, coesione sociale e mobilità intergenerazionale”. Sono caratteristiche in cui la buona cultura d’impresa si combina con la sostenibilità. E con lo sviluppo. Rinascita italiana, appunto. E paradigma positivo per altre aree dell’Europa e del mondo.

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