Ecco perché serve un’Intelligenza Artificiale europea: investimenti, algoritmi, strutture per difesa e sviluppo
E se ci fosse un’Intelligenza Artificiale europea? Un sistema in grado di fare fronte all’attuale predominio degli Usa e della Cina? Un insieme di algoritmi, codici, reti, servizi, data center e meccanismi nati dalla collaborazione, a Bruxelles, tra Parigi e Berlino, Roma e Madrid, Amsterdam e naturalmente le città degli altri paesi della Ue, magari convincendo anche Londra a mettere finalmente da canto le scelte e i pregiudizi anti europei e fare parte del club?
Potremmo darle un nome carico di valori simbolici, chiamarla “Montaigne” o “Kant”, “Marie Curie” o, perché no?, “Leonardo”, genio universale e trasversale, l’interprete più noto e significativo del Rinascimento, con la sua molteplice cultura politecnica densa di saperi umanistici, senso della bellezza e inclinazione d’avanguardia per le conoscenze scientifiche. E dire così al mondo che l’Uomo Vitruviano e i disegni del “Codice atlantico”, già considerati patrimoni dell’umanità, sono oggi ottimi esempi di un mondo che guarda al futuro, segni dell’Umanesimo che adesso si declina in “Umanesimo digitale”: la persona umana al centro di tutto, le macchine al suo servizio (dando così risposte rassicuranti ai timori di Martin Heidegger e, in Italia, a quelli di Primo Levi e Italo Calvino nelle sue profetiche “Lezioni americane”). E l’intelligenza, anche quella artificiale, rivolta al “fare, fare bene e fare del bene”. Al servizio dei diritti e dei bisogni dei cittadini (a cominciare dalla conoscenza critica, dalla ricerca e dalla buona informazione) e delle esigenze competitive delle imprese europee.
Viviamo in un mondo inquieto, multipolare, segnato da equilibri politici ed economici quanto mai fragili, sottoporti a usure e rotture di ogni tipo, dalle catastrofi ambientali alle pandemie, dalle guerre alle crescenti tensioni sociali. Il vecchio ordine bipolare (l’equilibrio del terrore atomico tra Usa e Urss) è saltato 35 anni fa con il crollo del Muro di Berlino. E un nuovo equilibrio è ben lontano dal mostrarsi all’orizzonte. La globalizzazione dominata dalla finanza rampante e rapace è finita, la neo-globalizzazione “regionale” è in cerca di assetti meno instabili. Il futuro, insomma, è quanto mai incerto.
E oggi, proprio qui, in Europa, sappiamo che il sistema dei valori e degli interessi che ha inspirato il nostro cammino comune (in sintesi, la capacità di tenere insieme la democrazia liberale, il mercato e il welfare e cioè la libertà, il benessere e l’inclusione sociale) rischia seriamente di entrare in crisi.
Usa e Cina si muovono lungo strade conflittuali e divergenti (anche senza rinunciare, comunque, alle possibilità di dialoghi e scambi). Le autocrazie, a cominciare dalla Russia di Putin, mostrano volti minacciosi. E sovranismi e populismi, come termiti infestanti, rischiano di corrodono le fondamenta delle nostre democrazie. Gli squilibri demografici aggravano il quadro.
L’Europa, insomma, gigante economico, ricco mercato con i suoi 450 milioni di abitanti, culla di civiltà, vede davanti a sé un cupo orizzonte.
Nasce da questa consapevolezza l’idea che la Ue deve aprire una nuova pagina della sua storia, definire un nuovo percorso politico e istituzionale (con una governance a maggioranza), decidere di investire massicciamente sul suo futuro. E proprio le questioni della sicurezza e della difesa, oltre che quelli dello sviluppo sostenibile, sono i temi principali. Ben sapendo che difesa e sicurezza significano anche energia, ricerca scientifica, economia digitale e, appunto, Intelligenza Artificiale europea. Tutte questioni fondamentali. Che ci si augura siano al centro dei dibattiti politici nei paesi della Ue, prima del voto del prossimo giugno per rinnovare il Parlamento Europeo e decidere assetti e programmi della futura Commissione Ue.
Questioni, d’altronde, che chiedono massicci investimenti, in grado di fare fronte alle massicce dosi di spesa pubblica e privata Usa e alle strategie finanziarie della Cina.
Da Bruxelles arrivano, proprio in questo scorcio di fine legislatura, indicazioni rassicuranti. Come quelle relative a una “Strategia industriale per la Difesa europea” che sarà discusso alla fine di febbrai e potrà essere finanziato da un Fondo Ue in grado di raccogliere risorse sui mercati (un nuovo fondo, dopo l’esperienza positiva dei fondi “Sure” per l’assistenza sociale ai lavoratori messi in difficoltà dalle conseguenze economiche del Covid e “Next Generation Ue” per le riforme e gli investimenti necessari alla ripresa e alla modernizzazione europea, di cui l’Italia ha avito le risorse maggiori).
“Eurobond e maggiori risorse per spese militari comuni”, dichiara la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, parlando della necessità di “un fondo da 100 miliardi di euro” (La Stampa, 17 febbraio). “Il debito comune, a cominciare dalla difesa, oggi è possibile”, commenta Francesco Giavazzi, economista attento alle prospettive europee (Corriere della Sera, 18 febbraio). “Un Commissario Ue alla Difesa sarebbe un passo importante per rafforzare l’Europa”, sostiene Roberto Cingolani, amministratore delegato di Leonardo, impresa italiana strategica anche nel settore militare (Il Foglio, 17 febbraio).
Le minacce di Donald Trump di rompere, se eletto alla Casa Bianca, gli attuali equilibri Nato, lasciando l’Europa indifesa di fronte all’aggressività di Putin, sono state solo l’ultimo campanello d’allarme. E anche se l’ipotesi di una difesa comune trova resistenze dei governi e degli apparati militari nei singoli paesi (in Francia e in Germania, innanzitutto), l’Eurobarometro rivela che i cittadini sono più avanti dei loro politici: il 77% degli europei si dichiarano a favore di una difesa comune e il 66% sostiene che servirebbero più fondi. Una difesa che riguarda anche gli aspetti cyber. E ha bisogno di elaborare efficacemente dati, trovare risposte, organizzare contromisure. Tutte dimensioni in cui l’Intelligenza Artificiale è essenziale.
Analoghe le ragioni che spingono per il Fondo comune Ue per l’energia e le materie prime strategiche. E, appunto, per un Fondo sull’Intelligenza Artificiale.
Risorse, dunque. Strategie politiche e regole. E una vera e propria scelta culturale di fondo, sulle caratteristiche che dovrà avere un’IA europea.
E’ un percorso lungo strada stretta. Gli Usa si muovono in un contesto connotato dalle Big Tech ricche e potenti, sinora dominanti, in un quadro comunque di valori liberali. La Cina usa massicce risorse pubbliche, solido capitale umano tecnologicamente agguerrito, la forza del dirigismo determinato e la disciplina di partito.
E l’Europa? La Ue vanta la prima normativa mondiale di regolazione sistemica dell’Intelligenza Artificiale (ne scrive con competenza Giusella Finocchiaro, esperta giurista, nelle pagine di “Quali regole per l’Intelligenza Artificiale?”, Il Mulino) e i suoi esperti hanno chiara la necessità di un “approccio multilaterale” nei confronti degli altri attori mondiali. Ma, oltre alle regole, serve una vera e propria politica industriale che metta rapidamente le nostre imprese in grado di usare strutture e servizi Ue, senza dipendere troppo dalle Big Tech americane o almeno collaborando in posizioni di parità. Ed è necessaria una strategia che coinvolga, oltre alle imprese, le università, ile istituzioni della ricerca, i data center europei e i grandi centri di calcolo, come per esempio “Leonardo”, il Centro nazionale di supercalcolo del Tecnopolo di Bologna.
Investimenti. Tecnologie. Ma anche cultura e linguaggio, secondo i valori europei (ne abbiamo scritto nel blog della scorsa settimana, “Riparlare di umanesimo, ricerca e cultura”). Perché proprio i nostri Paesi, forti delle loro cultura politecnica e del gusto per la libertà e lo sviluppo sostenibile, possono mettere insieme, più e meglio di Usa e Cina, competenze e saperi diversi e impostare algoritmi scritti, con capacità multidisciplinare, da ingegneri e filosofi, economisti e cyberscienziati, fisici e giuristi, statistici e sociologhi, anche nel segno di un pensiero critico consapevole non solo degli effetti pratici, ma anche delle implicazioni etiche derivanti dalle nuove frontiere della conoscenza.
L’obiettivo: una Intelligenza Artificiale, anche generativa, che non schiacci la persona umana sotto “il dominio della tecnica” e anzi ne liberi le energie e la fantasia creativa. Un progetto umanistico, appunto. Alla Leonardo.
(immagine Getty Images)
E se ci fosse un’Intelligenza Artificiale europea? Un sistema in grado di fare fronte all’attuale predominio degli Usa e della Cina? Un insieme di algoritmi, codici, reti, servizi, data center e meccanismi nati dalla collaborazione, a Bruxelles, tra Parigi e Berlino, Roma e Madrid, Amsterdam e naturalmente le città degli altri paesi della Ue, magari convincendo anche Londra a mettere finalmente da canto le scelte e i pregiudizi anti europei e fare parte del club?
Potremmo darle un nome carico di valori simbolici, chiamarla “Montaigne” o “Kant”, “Marie Curie” o, perché no?, “Leonardo”, genio universale e trasversale, l’interprete più noto e significativo del Rinascimento, con la sua molteplice cultura politecnica densa di saperi umanistici, senso della bellezza e inclinazione d’avanguardia per le conoscenze scientifiche. E dire così al mondo che l’Uomo Vitruviano e i disegni del “Codice atlantico”, già considerati patrimoni dell’umanità, sono oggi ottimi esempi di un mondo che guarda al futuro, segni dell’Umanesimo che adesso si declina in “Umanesimo digitale”: la persona umana al centro di tutto, le macchine al suo servizio (dando così risposte rassicuranti ai timori di Martin Heidegger e, in Italia, a quelli di Primo Levi e Italo Calvino nelle sue profetiche “Lezioni americane”). E l’intelligenza, anche quella artificiale, rivolta al “fare, fare bene e fare del bene”. Al servizio dei diritti e dei bisogni dei cittadini (a cominciare dalla conoscenza critica, dalla ricerca e dalla buona informazione) e delle esigenze competitive delle imprese europee.
Viviamo in un mondo inquieto, multipolare, segnato da equilibri politici ed economici quanto mai fragili, sottoporti a usure e rotture di ogni tipo, dalle catastrofi ambientali alle pandemie, dalle guerre alle crescenti tensioni sociali. Il vecchio ordine bipolare (l’equilibrio del terrore atomico tra Usa e Urss) è saltato 35 anni fa con il crollo del Muro di Berlino. E un nuovo equilibrio è ben lontano dal mostrarsi all’orizzonte. La globalizzazione dominata dalla finanza rampante e rapace è finita, la neo-globalizzazione “regionale” è in cerca di assetti meno instabili. Il futuro, insomma, è quanto mai incerto.
E oggi, proprio qui, in Europa, sappiamo che il sistema dei valori e degli interessi che ha inspirato il nostro cammino comune (in sintesi, la capacità di tenere insieme la democrazia liberale, il mercato e il welfare e cioè la libertà, il benessere e l’inclusione sociale) rischia seriamente di entrare in crisi.
Usa e Cina si muovono lungo strade conflittuali e divergenti (anche senza rinunciare, comunque, alle possibilità di dialoghi e scambi). Le autocrazie, a cominciare dalla Russia di Putin, mostrano volti minacciosi. E sovranismi e populismi, come termiti infestanti, rischiano di corrodono le fondamenta delle nostre democrazie. Gli squilibri demografici aggravano il quadro.
L’Europa, insomma, gigante economico, ricco mercato con i suoi 450 milioni di abitanti, culla di civiltà, vede davanti a sé un cupo orizzonte.
Nasce da questa consapevolezza l’idea che la Ue deve aprire una nuova pagina della sua storia, definire un nuovo percorso politico e istituzionale (con una governance a maggioranza), decidere di investire massicciamente sul suo futuro. E proprio le questioni della sicurezza e della difesa, oltre che quelli dello sviluppo sostenibile, sono i temi principali. Ben sapendo che difesa e sicurezza significano anche energia, ricerca scientifica, economia digitale e, appunto, Intelligenza Artificiale europea. Tutte questioni fondamentali. Che ci si augura siano al centro dei dibattiti politici nei paesi della Ue, prima del voto del prossimo giugno per rinnovare il Parlamento Europeo e decidere assetti e programmi della futura Commissione Ue.
Questioni, d’altronde, che chiedono massicci investimenti, in grado di fare fronte alle massicce dosi di spesa pubblica e privata Usa e alle strategie finanziarie della Cina.
Da Bruxelles arrivano, proprio in questo scorcio di fine legislatura, indicazioni rassicuranti. Come quelle relative a una “Strategia industriale per la Difesa europea” che sarà discusso alla fine di febbrai e potrà essere finanziato da un Fondo Ue in grado di raccogliere risorse sui mercati (un nuovo fondo, dopo l’esperienza positiva dei fondi “Sure” per l’assistenza sociale ai lavoratori messi in difficoltà dalle conseguenze economiche del Covid e “Next Generation Ue” per le riforme e gli investimenti necessari alla ripresa e alla modernizzazione europea, di cui l’Italia ha avito le risorse maggiori).
“Eurobond e maggiori risorse per spese militari comuni”, dichiara la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, parlando della necessità di “un fondo da 100 miliardi di euro” (La Stampa, 17 febbraio). “Il debito comune, a cominciare dalla difesa, oggi è possibile”, commenta Francesco Giavazzi, economista attento alle prospettive europee (Corriere della Sera, 18 febbraio). “Un Commissario Ue alla Difesa sarebbe un passo importante per rafforzare l’Europa”, sostiene Roberto Cingolani, amministratore delegato di Leonardo, impresa italiana strategica anche nel settore militare (Il Foglio, 17 febbraio).
Le minacce di Donald Trump di rompere, se eletto alla Casa Bianca, gli attuali equilibri Nato, lasciando l’Europa indifesa di fronte all’aggressività di Putin, sono state solo l’ultimo campanello d’allarme. E anche se l’ipotesi di una difesa comune trova resistenze dei governi e degli apparati militari nei singoli paesi (in Francia e in Germania, innanzitutto), l’Eurobarometro rivela che i cittadini sono più avanti dei loro politici: il 77% degli europei si dichiarano a favore di una difesa comune e il 66% sostiene che servirebbero più fondi. Una difesa che riguarda anche gli aspetti cyber. E ha bisogno di elaborare efficacemente dati, trovare risposte, organizzare contromisure. Tutte dimensioni in cui l’Intelligenza Artificiale è essenziale.
Analoghe le ragioni che spingono per il Fondo comune Ue per l’energia e le materie prime strategiche. E, appunto, per un Fondo sull’Intelligenza Artificiale.
Risorse, dunque. Strategie politiche e regole. E una vera e propria scelta culturale di fondo, sulle caratteristiche che dovrà avere un’IA europea.
E’ un percorso lungo strada stretta. Gli Usa si muovono in un contesto connotato dalle Big Tech ricche e potenti, sinora dominanti, in un quadro comunque di valori liberali. La Cina usa massicce risorse pubbliche, solido capitale umano tecnologicamente agguerrito, la forza del dirigismo determinato e la disciplina di partito.
E l’Europa? La Ue vanta la prima normativa mondiale di regolazione sistemica dell’Intelligenza Artificiale (ne scrive con competenza Giusella Finocchiaro, esperta giurista, nelle pagine di “Quali regole per l’Intelligenza Artificiale?”, Il Mulino) e i suoi esperti hanno chiara la necessità di un “approccio multilaterale” nei confronti degli altri attori mondiali. Ma, oltre alle regole, serve una vera e propria politica industriale che metta rapidamente le nostre imprese in grado di usare strutture e servizi Ue, senza dipendere troppo dalle Big Tech americane o almeno collaborando in posizioni di parità. Ed è necessaria una strategia che coinvolga, oltre alle imprese, le università, ile istituzioni della ricerca, i data center europei e i grandi centri di calcolo, come per esempio “Leonardo”, il Centro nazionale di supercalcolo del Tecnopolo di Bologna.
Investimenti. Tecnologie. Ma anche cultura e linguaggio, secondo i valori europei (ne abbiamo scritto nel blog della scorsa settimana, “Riparlare di umanesimo, ricerca e cultura”). Perché proprio i nostri Paesi, forti delle loro cultura politecnica e del gusto per la libertà e lo sviluppo sostenibile, possono mettere insieme, più e meglio di Usa e Cina, competenze e saperi diversi e impostare algoritmi scritti, con capacità multidisciplinare, da ingegneri e filosofi, economisti e cyberscienziati, fisici e giuristi, statistici e sociologhi, anche nel segno di un pensiero critico consapevole non solo degli effetti pratici, ma anche delle implicazioni etiche derivanti dalle nuove frontiere della conoscenza.
L’obiettivo: una Intelligenza Artificiale, anche generativa, che non schiacci la persona umana sotto “il dominio della tecnica” e anzi ne liberi le energie e la fantasia creativa. Un progetto umanistico, appunto. Alla Leonardo.
(immagine Getty Images)