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Ecco perché usare le migliori energie italiane per un piano di ripresa e sviluppo, usando bene le risorse di Ue e Bce

Qual è il senso profondo del fare politica? Il linguaggio anglosassone, preciso e pragmatico, distingue policy da politics, usando termini diversi per indicare da una parte i valori, i progetti, le strategie e, dall’altra, le scelte concrete di governo, istituzioni, pubblica amministrazione e le mosse della politica praticante, dei partiti. Come in tutte le attività dell’uomo, ci sono zone di confine e di contatto, tra policy e politics. Ma la distinzione resta e va ricordata, per evitare linguaggi confusi che portano a scelte ambigue e confuse.

Nel dibattito quotidiano italiano, c’è chi denuncia che le imprese si muovono come “soggetto politico” (l’ha fatto Fausto Bertinotti, ex leader di “Rifondazione comunista”, sulle pagine de “Il Riformista”, criticando le posizioni di Confindustria sulle necessità della ripresa economica post Covid 19). E risuona l’eco di altre polemiche sul “partito del Pil”, i “poteri forti”, la presunta prevalenza, nelle scelte imprenditoriali, degli interessi sui valori.

Vale dunque la pena fare chiarezza, proprio in un momento così difficile per l’economia e la società italiana ed europea, stretta tra pandemia e la recessione (mai così grave, negli ultimi 75 anni) eppur animata da una straordinaria volontà di ripresa, nonostante paure, preoccupazioni, dolorose prese d’atto della propria fragilità. Le imprese, come attori sociali, sono un “soggetto politico”. E ancora una volta, nel corso di questa crisi, come in altri tornanti della storia italiana (a cominciare dal patto del 1947 tra Angelo Costa, presidente di Confindustria e Giuseppe Di Vittorio, leader della Cgil su “prima le fabbriche, poi le case” nell’avvio della ricostruzione dell’Italia distrutta dalla guerra), le organizzazioni imprenditoriali, da Confindustria alle sue articolazioni territoriali e di settore, hanno preso posizione guardando non tanto agli interessi di categoria quanto alla necessità di salvaguardare e rilanciare l’intero sistema Paese. Sono “soggetto politico” i sindacati, così come altre organizzazioni di rappresentanza, in un momento in cui, con lungimiranza, si torna a parlare del ruolo positivo dei corpi intermedi, dopo che s’è appannata l’idea presuntuosa della fine delle intermediazioni e del privilegio del canale diretto leader-popolo. E “fare bene politica” è responsabilità generale, essenziale per il futuro dell’Italia, nel contesto del rilancio dell’Europa.

Le imprese hanno competenze e conoscenze. Un forte legame con i territori di riferimento. Un ruolo attivo nel rafforzamento dei legami di comunità, dal welfare nell’integrazione tra azienda e territorio alla formazione, dalla sostenibilità ambientale alla valorizzazione degli elementi positivi del capitale sociale. E da tempo nutrono pensieri generali, per un migliore sviluppo dell’Italia. Sono protagoniste di quel “patriottismo dolce” promosso da Carlo Azeglio Ciampi da presidente della Repubblica. E non hanno mai mancato alcuna occasione per indicare nel Quirinale (con il presidente Napolitano prima e con il presidente Mattarella adesso) un punto di riferimento principale, istituzionale e civile, della democrazia italiana e dei valori che devono guidare anche la crescita economica.

Nella stagione in cui si passa dalle culture del primato dello shareholder value (gli interessi degli azionisti, i profitti e i corsi delle azioni in Borsa) a quelle dello stakeholder value (i valori che riguardano dipendenti, fornitori, consumatori, comunità) e proprio le imprese italiane possono fare leva sulle loro attitudini alla sostenibilità ambientale e sociale, il saper essere “soggetto politico” capace di pensieri generali assume un’importanza strategica da non sottovalutare.

La crisi accentua questo ruolo di lungo periodo. “Nell’ultimo decennio l’Italia è cresciuta molto meno del resto d’Europa, ha prodotto meno ricchezza e ha peggiorato il rapporto tra debito e Pil. Ora, o mettiamo insieme un grande progetto che abbia come stella polare una crescita stabile e duratura, coinvolgendo le migliori competenze del Paese oppure nel medio termine quel debito al 160% del Pil ci piomberà sulla schiena e schianterà l’Italia”, sostiene Marco Tronchetti Provera, Ceo di Pirelli 8”Affari&Finanza – la Repubblica”, 18 maggio). Un grande progetto, dunque. E coinvolgendo le migliori competenze del paese. Valori, idee e interessi generali. E un lavoro da fare insieme. Scelte di policy, appunto. E di una generale e lungimirante assunzione di responsabilità che chiama in causa attori istituzionali e sociali.

In queste settimane il nuovo presidente di Confindustria Carlo Bonomi e parecchi altri donne e uomini d’impresa hanno insistito sulla centralità delle imprese nelle ricostruzione e nel rilancio. E oggi, di fronte alle grandi risorse messe a disposizione dalla Ue e dalla Bce (ne abbiamo parlato nel blog della settimana scorsa) l’Italia non può certo perdere l’occasione per una ambiziosa iniziativa di radicale trasformazione e di rilancio della propria economia. Recuperare produttività e competitività. Sanare antichi e nuovi guasti ambientali e squilibri sociali.

Progetti, dunque. E piani. Per l’innovazione, la ricerca, l’ambiente, le infrastrutture, la trasformazione digitale non solo del lavoro industriale e dei servizi, ma anche della pubblica amministrazione. E per la formazione, la scuola, la cultura diffusa.

Sul “Corriere della Sera” di domenica Ferruccio de Bortoli ha molto insistito sulla centralità di un grande investimento sulla scuola, come luogo cardine per il miglioramento della coscienza civile e la formazione di una nuova classe dirigente, mettendo insieme risorse pubbliche e private. Ecco un’altra indicazione da cogliere. E’ una sfida su cui, da tempo, proprio le imprese sono particolarmente sensibili. Una sfida di buona politica. Policy responsabile. Che pretende politics competenti e lungimiranti.

Qual è il senso profondo del fare politica? Il linguaggio anglosassone, preciso e pragmatico, distingue policy da politics, usando termini diversi per indicare da una parte i valori, i progetti, le strategie e, dall’altra, le scelte concrete di governo, istituzioni, pubblica amministrazione e le mosse della politica praticante, dei partiti. Come in tutte le attività dell’uomo, ci sono zone di confine e di contatto, tra policy e politics. Ma la distinzione resta e va ricordata, per evitare linguaggi confusi che portano a scelte ambigue e confuse.

Nel dibattito quotidiano italiano, c’è chi denuncia che le imprese si muovono come “soggetto politico” (l’ha fatto Fausto Bertinotti, ex leader di “Rifondazione comunista”, sulle pagine de “Il Riformista”, criticando le posizioni di Confindustria sulle necessità della ripresa economica post Covid 19). E risuona l’eco di altre polemiche sul “partito del Pil”, i “poteri forti”, la presunta prevalenza, nelle scelte imprenditoriali, degli interessi sui valori.

Vale dunque la pena fare chiarezza, proprio in un momento così difficile per l’economia e la società italiana ed europea, stretta tra pandemia e la recessione (mai così grave, negli ultimi 75 anni) eppur animata da una straordinaria volontà di ripresa, nonostante paure, preoccupazioni, dolorose prese d’atto della propria fragilità. Le imprese, come attori sociali, sono un “soggetto politico”. E ancora una volta, nel corso di questa crisi, come in altri tornanti della storia italiana (a cominciare dal patto del 1947 tra Angelo Costa, presidente di Confindustria e Giuseppe Di Vittorio, leader della Cgil su “prima le fabbriche, poi le case” nell’avvio della ricostruzione dell’Italia distrutta dalla guerra), le organizzazioni imprenditoriali, da Confindustria alle sue articolazioni territoriali e di settore, hanno preso posizione guardando non tanto agli interessi di categoria quanto alla necessità di salvaguardare e rilanciare l’intero sistema Paese. Sono “soggetto politico” i sindacati, così come altre organizzazioni di rappresentanza, in un momento in cui, con lungimiranza, si torna a parlare del ruolo positivo dei corpi intermedi, dopo che s’è appannata l’idea presuntuosa della fine delle intermediazioni e del privilegio del canale diretto leader-popolo. E “fare bene politica” è responsabilità generale, essenziale per il futuro dell’Italia, nel contesto del rilancio dell’Europa.

Le imprese hanno competenze e conoscenze. Un forte legame con i territori di riferimento. Un ruolo attivo nel rafforzamento dei legami di comunità, dal welfare nell’integrazione tra azienda e territorio alla formazione, dalla sostenibilità ambientale alla valorizzazione degli elementi positivi del capitale sociale. E da tempo nutrono pensieri generali, per un migliore sviluppo dell’Italia. Sono protagoniste di quel “patriottismo dolce” promosso da Carlo Azeglio Ciampi da presidente della Repubblica. E non hanno mai mancato alcuna occasione per indicare nel Quirinale (con il presidente Napolitano prima e con il presidente Mattarella adesso) un punto di riferimento principale, istituzionale e civile, della democrazia italiana e dei valori che devono guidare anche la crescita economica.

Nella stagione in cui si passa dalle culture del primato dello shareholder value (gli interessi degli azionisti, i profitti e i corsi delle azioni in Borsa) a quelle dello stakeholder value (i valori che riguardano dipendenti, fornitori, consumatori, comunità) e proprio le imprese italiane possono fare leva sulle loro attitudini alla sostenibilità ambientale e sociale, il saper essere “soggetto politico” capace di pensieri generali assume un’importanza strategica da non sottovalutare.

La crisi accentua questo ruolo di lungo periodo. “Nell’ultimo decennio l’Italia è cresciuta molto meno del resto d’Europa, ha prodotto meno ricchezza e ha peggiorato il rapporto tra debito e Pil. Ora, o mettiamo insieme un grande progetto che abbia come stella polare una crescita stabile e duratura, coinvolgendo le migliori competenze del Paese oppure nel medio termine quel debito al 160% del Pil ci piomberà sulla schiena e schianterà l’Italia”, sostiene Marco Tronchetti Provera, Ceo di Pirelli 8”Affari&Finanza – la Repubblica”, 18 maggio). Un grande progetto, dunque. E coinvolgendo le migliori competenze del paese. Valori, idee e interessi generali. E un lavoro da fare insieme. Scelte di policy, appunto. E di una generale e lungimirante assunzione di responsabilità che chiama in causa attori istituzionali e sociali.

In queste settimane il nuovo presidente di Confindustria Carlo Bonomi e parecchi altri donne e uomini d’impresa hanno insistito sulla centralità delle imprese nelle ricostruzione e nel rilancio. E oggi, di fronte alle grandi risorse messe a disposizione dalla Ue e dalla Bce (ne abbiamo parlato nel blog della settimana scorsa) l’Italia non può certo perdere l’occasione per una ambiziosa iniziativa di radicale trasformazione e di rilancio della propria economia. Recuperare produttività e competitività. Sanare antichi e nuovi guasti ambientali e squilibri sociali.

Progetti, dunque. E piani. Per l’innovazione, la ricerca, l’ambiente, le infrastrutture, la trasformazione digitale non solo del lavoro industriale e dei servizi, ma anche della pubblica amministrazione. E per la formazione, la scuola, la cultura diffusa.

Sul “Corriere della Sera” di domenica Ferruccio de Bortoli ha molto insistito sulla centralità di un grande investimento sulla scuola, come luogo cardine per il miglioramento della coscienza civile e la formazione di una nuova classe dirigente, mettendo insieme risorse pubbliche e private. Ecco un’altra indicazione da cogliere. E’ una sfida su cui, da tempo, proprio le imprese sono particolarmente sensibili. Una sfida di buona politica. Policy responsabile. Che pretende politics competenti e lungimiranti.

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