Economia produttiva e virtù civili nell’Italia inclusiva di metropoli e borghi
Il futuro sarà delle metropoli o dei borghi? La domanda è ricorrente, nelle previsioni dei futurologi. Ispira analisi economiche e sociali, progetti urbanistici e architettonici, anche la prossima Esposizione Internazionale della Triennale di Milano sul destino delle città. Vivremo, insomma, in giganteschi agglomerati da milioni di abitanti o nella quiete dei piccoli paesi? Non avremo altre scelte?
Chi guarda, però, con attenzione alle prospettive di sviluppo sostenibile, ambientale e sociale, non può non riflettere su un’originale condizione italiana. Sulla possibilità cioè di tenere insieme il dinamismo sociale ed economico delle grandi città con la qualità della vita di città medie e piccole e di paesi storici, coniugando così la crescita economica con la coesione sociale, l’attrattività e la competitività dei territori produttivi con la civiltà delle relazioni positive e il senso civico delle comunità accoglienti.
Per capire meglio, si può provare a studiare le mappe geografiche, di carta o digitali, che raccontano quella grande area che va, in orizzontale, dal Piemonte al Nord Est e, in verticale, dalle Alpi all’Emilia e alla Toscana della costa tirrenica, con i due principali sbocchi nel Mediterraneo a Genova e a Trieste. La “regione A1/A4”, cioè, se volessimo darle un nome tratto dalle sigle delle autostrade che la attraversano (una felice definizione di Dario Di Vico, acuto giornalista economico, sulle pagine del “Corriere della Sera”). O, ancora, la mega-regione tra le più ricche e produttive di tutta l’Europa, ideale per rafforzare le relazioni tra lo spazio continentale e l’area mediterranea aperta all’Africa.
È un’area policentrica. Ricca di dimensioni urbane diverse ma legate da intensi flussi sociali, economici e culturali, con una metropoli estremamente attrattiva, la cosiddetta “grande Milano”, cinque città di rilevanti dimensioni e cioè Torino, Bologna, Firenze, Genova e Venezia-Mestre, una serie di città medie e medio-grandi, Brescia e Bergamo, Verona, Padova, Vicenza, Parma e Piacenza e una folta presenza di altri centri urbani carichi di storia e di solide vocazioni economiche e culturali (Pavia, Trento e Udine, per fare solo alcuni nomi). In mezzo, piccole città e borghi storici sull’Appennino e lungo i litorali, con sistemi economici molto vari e spesso ben integrati. Un unicum, in Europa.
Le colline agricole delle Langhe e del trevigiano e la “Motor Valley” emiliana, i poli meccatronici e aerospaziali tra Varese, Gallarate e Busto Arsizio e le aree tessili tra Como e Biella, l’industria meccanica e dell’arredo in Brianza, la cantieristica navale e la chimica, i centri di specializzazione dell’industria metalmeccanica del confezionamento in Emilia e così via continuando, seguendo quel “catalogo” dell’eccellenza industriale che ci ha portato a essere in quinto paese esportatore del mondo, con un valore che nel ‘23 ha superato i 670 miliardi.
Un gigante economico e finanziario, grazie all’attivismo di banche in crescita? Non soltanto.
Le nostre mappe raccontano la presenza di numerose università, parecchie delle quali (tra Milano, Torino e Bologna, soprattutto) ai vertici delle classifiche internazionali. Di centri di ricerca di alto livello per le life sciences, tra farmaceutica, sanità e buona alimentazione. Di cultura di valore internazionale, tra musica e teatro, arti figurative, scienza, editoria high tech e attività letterarie. E di turismo. Luoghi e flussi, appunto. Persone e idee in movimento. Una civiltà delle macchine e delle relazioni. Un mondo che ha gusto delle radici e sguardo internazionale. E che si può ben riconoscere nell’essenziale definizione di Carlo Maria Cipolla, quando parla di “italiani abituati, fin dal Medio Evo, a produrre, all’ombra dei campanili, cose belle che piacciono al mondo”.
L’Alta Velocità ferroviaria, negli ultimi dieci anni, ha profondamente mutato il gioco dei flussi: puoi vivere a Torino o a Bologna e, con appena un’ora di viaggio (tempo metropolitano abituale, a Parigi, Londra o New York), lavorare a Milano, o viceversa. Vivere in un borgo padano ed essere in collegamento con il resto d’Europa, gli Usa o la Cina. Sentirsi popolazione urbana e contemporaneamente godere il silenzio dei paesi in collina. Un mondo in cambiamento. Tra metropoli e borgo, appunto. Una condizione che solo quest’area italiana di cui stiamo parlando può dare.
Tutto a posto, dunque? Tutti felici? Naturalmente no. Perché i flussi, per consentire non solo produttività economica, ma anche qualità della vita, hanno bisogno di infrastrutture, materiali e immateriali. Trasporti efficienti, non solo per l’Alta Velocità (le carenze e i disservizi delle Ferrovie Nord, in Lombardia, sono sempre più spesso fonti di proteste da parte di decine di migliaia di pendolari). Servizi. E connessioni digitali rapide e stabili (un 5G all’altezza della situazione socio-economica che abbiamo sommariamente descritto è molto lontano dall’essere una prospettiva vicina e decente). Tutte dimensioni insoddisfacenti. Cui dovrebbero dare risposte anche gli investimenti stimolati dal Pnrr. Ma su cui aumentano dubbi e ritardi.
L’economia si muove, veloce, produttiva. Le strutture amministrative locali restano indietro. La legge sulle aree metropolitane, peraltro mai compiutamente attuata, è ben lontana da dare risposte di governo del territorio e dei servizi adeguate alla “nuova mobilità” urbana e sociale. E mancano quasi del tutto scelte politiche generali sulla sanità, la scuola (fondamentale struttura di integrazione e formazione culturale e civile), l’assistenza per le persone e i gruppi sociali deboli e fragili.
Bisogna “coniugare sviluppo e coesione sociale nelle città medie”, ammonisce Aldo Bonomi, sociologo attento al “capitalismo molecolare” e alle dinamiche della “città infinita” (Il Sole24Ore, 26 marzo). Certo. Ma mancano “infrastrutture civiche” e “reti collaborative”. Servizi, appunto. E buon governo del territorio, fuori da logiche neo-municipaliste e chiusure da identità asfittiche, estranee alle culture essenziali di identità plurali, aperte, accoglienti. Come peraltro proprio la storia italiana dei “mille campanili” insegna.
Eccola, allora, la sfida. Reggere lo sviluppo economico, nel segno della sostenibilità che anche parecchie imprese hanno imparato ad apprezzare non come scelta di marketing e comunicazione, ma come vero e proprio asset competitivo. E costruire nuovi e migliori valori di comunità. Anche provando a governare quei fenomeni che stanno alterando la vita delle nostre città: i processi devastanti del turismo di massa, le radicali modifiche negative dei valori immobiliari, con gli affitti da airb&b che stanno distruggendo i centri storici e riducendo drasticamente le possibilità di trovare casa per ceto medio e giovani coppie (la Repubblica, 31 marzo), l’innalzamento intollerabile del costo della vita.
Le città, per crescere, hanno bisogno di cives, di cittadini. Che le abitano e le vivono con spirito civico e non si limitano a usarle. Che frequentano luoghi pubblici e privati del lavoro, dello sport, della cultura, del tempo libero. Animano i flussi dello stare insieme. E pensano al loro futuro e a quello delle loro famiglie negli spazi di comunità.
La storia italiana, di economia civile, di spirito di cittadinanza e di cultura di comunità, è ricca di esempi e testimonianze, dalla “grande Milano” rotonda e accogliente a tutte quelle città medie e piccole e ai paesi dei territori di cui abbiamo parlato. Serve insistere per tenere insieme lo sviluppo economico diffuso e l’inclusione sociale, appunto. La persistenza delle virtù civiche. E l’attitudine all’innovazione. Da bell’Italia che dimostra, ancora una volta, di saper fare bene l’Italia.
(foto Getty Images)
Il futuro sarà delle metropoli o dei borghi? La domanda è ricorrente, nelle previsioni dei futurologi. Ispira analisi economiche e sociali, progetti urbanistici e architettonici, anche la prossima Esposizione Internazionale della Triennale di Milano sul destino delle città. Vivremo, insomma, in giganteschi agglomerati da milioni di abitanti o nella quiete dei piccoli paesi? Non avremo altre scelte?
Chi guarda, però, con attenzione alle prospettive di sviluppo sostenibile, ambientale e sociale, non può non riflettere su un’originale condizione italiana. Sulla possibilità cioè di tenere insieme il dinamismo sociale ed economico delle grandi città con la qualità della vita di città medie e piccole e di paesi storici, coniugando così la crescita economica con la coesione sociale, l’attrattività e la competitività dei territori produttivi con la civiltà delle relazioni positive e il senso civico delle comunità accoglienti.
Per capire meglio, si può provare a studiare le mappe geografiche, di carta o digitali, che raccontano quella grande area che va, in orizzontale, dal Piemonte al Nord Est e, in verticale, dalle Alpi all’Emilia e alla Toscana della costa tirrenica, con i due principali sbocchi nel Mediterraneo a Genova e a Trieste. La “regione A1/A4”, cioè, se volessimo darle un nome tratto dalle sigle delle autostrade che la attraversano (una felice definizione di Dario Di Vico, acuto giornalista economico, sulle pagine del “Corriere della Sera”). O, ancora, la mega-regione tra le più ricche e produttive di tutta l’Europa, ideale per rafforzare le relazioni tra lo spazio continentale e l’area mediterranea aperta all’Africa.
È un’area policentrica. Ricca di dimensioni urbane diverse ma legate da intensi flussi sociali, economici e culturali, con una metropoli estremamente attrattiva, la cosiddetta “grande Milano”, cinque città di rilevanti dimensioni e cioè Torino, Bologna, Firenze, Genova e Venezia-Mestre, una serie di città medie e medio-grandi, Brescia e Bergamo, Verona, Padova, Vicenza, Parma e Piacenza e una folta presenza di altri centri urbani carichi di storia e di solide vocazioni economiche e culturali (Pavia, Trento e Udine, per fare solo alcuni nomi). In mezzo, piccole città e borghi storici sull’Appennino e lungo i litorali, con sistemi economici molto vari e spesso ben integrati. Un unicum, in Europa.
Le colline agricole delle Langhe e del trevigiano e la “Motor Valley” emiliana, i poli meccatronici e aerospaziali tra Varese, Gallarate e Busto Arsizio e le aree tessili tra Como e Biella, l’industria meccanica e dell’arredo in Brianza, la cantieristica navale e la chimica, i centri di specializzazione dell’industria metalmeccanica del confezionamento in Emilia e così via continuando, seguendo quel “catalogo” dell’eccellenza industriale che ci ha portato a essere in quinto paese esportatore del mondo, con un valore che nel ‘23 ha superato i 670 miliardi.
Un gigante economico e finanziario, grazie all’attivismo di banche in crescita? Non soltanto.
Le nostre mappe raccontano la presenza di numerose università, parecchie delle quali (tra Milano, Torino e Bologna, soprattutto) ai vertici delle classifiche internazionali. Di centri di ricerca di alto livello per le life sciences, tra farmaceutica, sanità e buona alimentazione. Di cultura di valore internazionale, tra musica e teatro, arti figurative, scienza, editoria high tech e attività letterarie. E di turismo. Luoghi e flussi, appunto. Persone e idee in movimento. Una civiltà delle macchine e delle relazioni. Un mondo che ha gusto delle radici e sguardo internazionale. E che si può ben riconoscere nell’essenziale definizione di Carlo Maria Cipolla, quando parla di “italiani abituati, fin dal Medio Evo, a produrre, all’ombra dei campanili, cose belle che piacciono al mondo”.
L’Alta Velocità ferroviaria, negli ultimi dieci anni, ha profondamente mutato il gioco dei flussi: puoi vivere a Torino o a Bologna e, con appena un’ora di viaggio (tempo metropolitano abituale, a Parigi, Londra o New York), lavorare a Milano, o viceversa. Vivere in un borgo padano ed essere in collegamento con il resto d’Europa, gli Usa o la Cina. Sentirsi popolazione urbana e contemporaneamente godere il silenzio dei paesi in collina. Un mondo in cambiamento. Tra metropoli e borgo, appunto. Una condizione che solo quest’area italiana di cui stiamo parlando può dare.
Tutto a posto, dunque? Tutti felici? Naturalmente no. Perché i flussi, per consentire non solo produttività economica, ma anche qualità della vita, hanno bisogno di infrastrutture, materiali e immateriali. Trasporti efficienti, non solo per l’Alta Velocità (le carenze e i disservizi delle Ferrovie Nord, in Lombardia, sono sempre più spesso fonti di proteste da parte di decine di migliaia di pendolari). Servizi. E connessioni digitali rapide e stabili (un 5G all’altezza della situazione socio-economica che abbiamo sommariamente descritto è molto lontano dall’essere una prospettiva vicina e decente). Tutte dimensioni insoddisfacenti. Cui dovrebbero dare risposte anche gli investimenti stimolati dal Pnrr. Ma su cui aumentano dubbi e ritardi.
L’economia si muove, veloce, produttiva. Le strutture amministrative locali restano indietro. La legge sulle aree metropolitane, peraltro mai compiutamente attuata, è ben lontana da dare risposte di governo del territorio e dei servizi adeguate alla “nuova mobilità” urbana e sociale. E mancano quasi del tutto scelte politiche generali sulla sanità, la scuola (fondamentale struttura di integrazione e formazione culturale e civile), l’assistenza per le persone e i gruppi sociali deboli e fragili.
Bisogna “coniugare sviluppo e coesione sociale nelle città medie”, ammonisce Aldo Bonomi, sociologo attento al “capitalismo molecolare” e alle dinamiche della “città infinita” (Il Sole24Ore, 26 marzo). Certo. Ma mancano “infrastrutture civiche” e “reti collaborative”. Servizi, appunto. E buon governo del territorio, fuori da logiche neo-municipaliste e chiusure da identità asfittiche, estranee alle culture essenziali di identità plurali, aperte, accoglienti. Come peraltro proprio la storia italiana dei “mille campanili” insegna.
Eccola, allora, la sfida. Reggere lo sviluppo economico, nel segno della sostenibilità che anche parecchie imprese hanno imparato ad apprezzare non come scelta di marketing e comunicazione, ma come vero e proprio asset competitivo. E costruire nuovi e migliori valori di comunità. Anche provando a governare quei fenomeni che stanno alterando la vita delle nostre città: i processi devastanti del turismo di massa, le radicali modifiche negative dei valori immobiliari, con gli affitti da airb&b che stanno distruggendo i centri storici e riducendo drasticamente le possibilità di trovare casa per ceto medio e giovani coppie (la Repubblica, 31 marzo), l’innalzamento intollerabile del costo della vita.
Le città, per crescere, hanno bisogno di cives, di cittadini. Che le abitano e le vivono con spirito civico e non si limitano a usarle. Che frequentano luoghi pubblici e privati del lavoro, dello sport, della cultura, del tempo libero. Animano i flussi dello stare insieme. E pensano al loro futuro e a quello delle loro famiglie negli spazi di comunità.
La storia italiana, di economia civile, di spirito di cittadinanza e di cultura di comunità, è ricca di esempi e testimonianze, dalla “grande Milano” rotonda e accogliente a tutte quelle città medie e piccole e ai paesi dei territori di cui abbiamo parlato. Serve insistere per tenere insieme lo sviluppo economico diffuso e l’inclusione sociale, appunto. La persistenza delle virtù civiche. E l’attitudine all’innovazione. Da bell’Italia che dimostra, ancora una volta, di saper fare bene l’Italia.
(foto Getty Images)