Economia “verde e blu”: ambiente e innovazione premiano Enel, Pirelli e Intesa nel Dow Jones Index
Il verde dell’ambiente. E il blu dell’innovazione. Sono i due colori della possibile e quanto mai opportuna costruzione di una svolta per l’economia, di un “cambio di paradigma” per uno sviluppo di qualità. E sono particolarmente cari alla riflessione di Luciano Floridi, filosofo a Oxford (dirige il Digital Ethics Lab) e studioso tra i più autorevoli nel panorama internazionale sulla “infosfera”, l’ambiente delle connessioni digitali e personali in cui viviamo (i suoi due ultimi libri, pubblicati da Raffaello Cortina editore, sono appunto “Pensare l’infosfera”, del 2019 e “Il verde e il blu”, 2020). Viviamo la “quarta rivoluzione”, spiega da tempo Floridi, dopo quella di Copernico che ha tolto alla Terra la centralità dell’universo, quella di Darwin che l’ha tolta all’uomo come lo conosciamo nell’evoluzione della biologia, quella di Freud che è andato oltre la mente cosciente. Adesso, “con il digitale, interagiamo con oggetti che fanno cose al nostro posto e sfidano il nostro senso di unicità”. Prevale l’intelligenza artificiale? No. Ma ci tocca definire una nuova economia delle relazioni e capire il senso profondo di tutto ciò che facciamo. Siamo noi, d’altronde, a scrivere gli algoritmi che muovono l’intelligenza artificiale. E sempre noi, con le nostre scelte, a decidere le sorti della Terra.
Infosfera ed ecologia si incontrano. Il verde e il blu, appunto. Un ambizioso, straordinario progetto culturale, con un forte valore politico: i progetti, i programmi, le riforme. Nel confuso presente che stiano dolorosamente vivendo, nella ricerca di strategie che ci conducano oltre la fragilità della nostra condizione personale e sociale, tra pandemia e recessione, le strade possibili per una ripartenza, una ricostruzione, una ripresa non effimera stanno proprio nell’incrocio tra ecologia e innovazione. Dopo il Covid19, nulla sarà come prima. Tocca a noi, insomma, decidere se avremo una rinascita o precipiteremo in una lunga stagione di declino.
L’indicazione che arriva dalla Ue è chiara: il Recovery Plan costruito su green economy e digital economy, appunto. Con lo sguardo rivolto alla Next Generation: scuola, formazione di lungo periodo, ricerca, riforme per spendere efficacemente i 750 miliardi a disposizione nell’arco dei prossimi quattro anni. Politica e pubbliche amministrazioni, imprese e altre forze sociali, cultura, sono alla prova di una sfida lungimirante, decisiva.
Sono temi di grande rilevanza, che occupano per fortuna uno spazio crescente nel discorso pubblico italiano e internazionale. Se n’è discusso proprio in questi giorni a BookCity, a Milano, nel corso di una serie di incontri digitali attenti ai valori dello sviluppo sostenibile. E a Torino, per la Biennale Tecnologia, organizzata dal Politecnico, con grande partecipazione di pubblico per decine di dibattiti (tutti in rete, naturalmente) legati da un titolo esemplare: “Tecnologia è Umanità”.
Una riflessione sulle nuove frontiere della scienza e della ricerca. Ma anche un recupero critico di una delle migliori stagioni della storia del mondo, il nostro Umanesimo, sintesi originalissima tra conoscenze filosofiche, letterarie, artistiche e nuove conoscenze scientifiche tutte centrate sull’uomo. E d’altronde, non è certo un caso che, nel delineare i valori della nostra attualità e gli orizzonti del futuribile, si parli di “umanesimo digitale” o di “umanesimo industriale”, di “cultura politecnica” e, per tornare a Floridi, di “verde e blu”, unendo politiche ambientalistiche e politiche da economia dei servizi hi tech: un umanesimo dell’infosfera. Storie da ingegneri filosofi. O anche da ingegneri poeti. Da intellettuali responsabili, comunque. “L’intelligenza, che come Poe ci insegna, è meno mente matematica e più mente poetica, è semplice e semplificante, produce il semplice e semplifica”: sono parole di Leonardo Sciascia, nelle pagine di “A futura memoria”. Anche questa, è una straordinaria eredità umanistica.
Per le imprese italiane quello del “verde” e del “blu” è un fertile terreno di lavoro, con la forza della diffusa cultura del “fare, e fare bene”, con le radici nei territori del cui sviluppo sono responsabili, con i valori della competitività legati alle persone. Un terreno con cui, peraltro, hanno da tempo una robusta confidenza.
Una conferma arriva dai nuovi indici di sostenibilità del Dow Jones, che segnala ogni anno le migliori imprese internazionali in termini di sostenibilità. Stavolta, in cima c’è l’Enel, con un punteggio altissimo, per la strategia climatica e le opportunità di mercato nel guidare la transizione verso un modello energetico a basse emissioni di CO2. Altre imprese sono ai vertici di sostenibilità per i loro settori: nell’industria, Pirelli è ancora una volta leader per il settore Automobiles & Components. Moncler è al primo posto tra le aziende tessili e del lusso. E ai vertici dei loro settori ci sono anche Intesa Sanpaolo, Poste ed Hera. E’ “un’onda verde nelle aziende che piace agli investitori”, titola “La Stampa” (15 novembre), ricordando come appunto il Dow Jones Sustenaibility Index e e il DJ Europe di S&P Global guidino gli investimenti dei grandi operatori internazionali.
Il successo delle imprese italiane, d’altronde, è legato a una scelta strategica, nel considerare la sostenibilità come un asset fondamentale, un cardine della propria competitività, frutto di una serie di impegni maturati nel tempo e via via affinati nei giudizi dei mercati e nelle valutazioni di tutti gli stakeholders : dipendenti, clienti, fornitori, cittadini dei territori con cui l’impresa è in rapporto. Valori forti, con positive ricadute economiche e sociali.
![](https://wpsite-assets.fondazionepirelli.org/wp-content/uploads/2020/11/16083918/dow-jones-sustainability-index-logo.jpg)
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Il verde dell’ambiente. E il blu dell’innovazione. Sono i due colori della possibile e quanto mai opportuna costruzione di una svolta per l’economia, di un “cambio di paradigma” per uno sviluppo di qualità. E sono particolarmente cari alla riflessione di Luciano Floridi, filosofo a Oxford (dirige il Digital Ethics Lab) e studioso tra i più autorevoli nel panorama internazionale sulla “infosfera”, l’ambiente delle connessioni digitali e personali in cui viviamo (i suoi due ultimi libri, pubblicati da Raffaello Cortina editore, sono appunto “Pensare l’infosfera”, del 2019 e “Il verde e il blu”, 2020). Viviamo la “quarta rivoluzione”, spiega da tempo Floridi, dopo quella di Copernico che ha tolto alla Terra la centralità dell’universo, quella di Darwin che l’ha tolta all’uomo come lo conosciamo nell’evoluzione della biologia, quella di Freud che è andato oltre la mente cosciente. Adesso, “con il digitale, interagiamo con oggetti che fanno cose al nostro posto e sfidano il nostro senso di unicità”. Prevale l’intelligenza artificiale? No. Ma ci tocca definire una nuova economia delle relazioni e capire il senso profondo di tutto ciò che facciamo. Siamo noi, d’altronde, a scrivere gli algoritmi che muovono l’intelligenza artificiale. E sempre noi, con le nostre scelte, a decidere le sorti della Terra.
Infosfera ed ecologia si incontrano. Il verde e il blu, appunto. Un ambizioso, straordinario progetto culturale, con un forte valore politico: i progetti, i programmi, le riforme. Nel confuso presente che stiano dolorosamente vivendo, nella ricerca di strategie che ci conducano oltre la fragilità della nostra condizione personale e sociale, tra pandemia e recessione, le strade possibili per una ripartenza, una ricostruzione, una ripresa non effimera stanno proprio nell’incrocio tra ecologia e innovazione. Dopo il Covid19, nulla sarà come prima. Tocca a noi, insomma, decidere se avremo una rinascita o precipiteremo in una lunga stagione di declino.
L’indicazione che arriva dalla Ue è chiara: il Recovery Plan costruito su green economy e digital economy, appunto. Con lo sguardo rivolto alla Next Generation: scuola, formazione di lungo periodo, ricerca, riforme per spendere efficacemente i 750 miliardi a disposizione nell’arco dei prossimi quattro anni. Politica e pubbliche amministrazioni, imprese e altre forze sociali, cultura, sono alla prova di una sfida lungimirante, decisiva.
Sono temi di grande rilevanza, che occupano per fortuna uno spazio crescente nel discorso pubblico italiano e internazionale. Se n’è discusso proprio in questi giorni a BookCity, a Milano, nel corso di una serie di incontri digitali attenti ai valori dello sviluppo sostenibile. E a Torino, per la Biennale Tecnologia, organizzata dal Politecnico, con grande partecipazione di pubblico per decine di dibattiti (tutti in rete, naturalmente) legati da un titolo esemplare: “Tecnologia è Umanità”.
Una riflessione sulle nuove frontiere della scienza e della ricerca. Ma anche un recupero critico di una delle migliori stagioni della storia del mondo, il nostro Umanesimo, sintesi originalissima tra conoscenze filosofiche, letterarie, artistiche e nuove conoscenze scientifiche tutte centrate sull’uomo. E d’altronde, non è certo un caso che, nel delineare i valori della nostra attualità e gli orizzonti del futuribile, si parli di “umanesimo digitale” o di “umanesimo industriale”, di “cultura politecnica” e, per tornare a Floridi, di “verde e blu”, unendo politiche ambientalistiche e politiche da economia dei servizi hi tech: un umanesimo dell’infosfera. Storie da ingegneri filosofi. O anche da ingegneri poeti. Da intellettuali responsabili, comunque. “L’intelligenza, che come Poe ci insegna, è meno mente matematica e più mente poetica, è semplice e semplificante, produce il semplice e semplifica”: sono parole di Leonardo Sciascia, nelle pagine di “A futura memoria”. Anche questa, è una straordinaria eredità umanistica.
Per le imprese italiane quello del “verde” e del “blu” è un fertile terreno di lavoro, con la forza della diffusa cultura del “fare, e fare bene”, con le radici nei territori del cui sviluppo sono responsabili, con i valori della competitività legati alle persone. Un terreno con cui, peraltro, hanno da tempo una robusta confidenza.
Una conferma arriva dai nuovi indici di sostenibilità del Dow Jones, che segnala ogni anno le migliori imprese internazionali in termini di sostenibilità. Stavolta, in cima c’è l’Enel, con un punteggio altissimo, per la strategia climatica e le opportunità di mercato nel guidare la transizione verso un modello energetico a basse emissioni di CO2. Altre imprese sono ai vertici di sostenibilità per i loro settori: nell’industria, Pirelli è ancora una volta leader per il settore Automobiles & Components. Moncler è al primo posto tra le aziende tessili e del lusso. E ai vertici dei loro settori ci sono anche Intesa Sanpaolo, Poste ed Hera. E’ “un’onda verde nelle aziende che piace agli investitori”, titola “La Stampa” (15 novembre), ricordando come appunto il Dow Jones Sustenaibility Index e e il DJ Europe di S&P Global guidino gli investimenti dei grandi operatori internazionali.
Il successo delle imprese italiane, d’altronde, è legato a una scelta strategica, nel considerare la sostenibilità come un asset fondamentale, un cardine della propria competitività, frutto di una serie di impegni maturati nel tempo e via via affinati nei giudizi dei mercati e nelle valutazioni di tutti gli stakeholders : dipendenti, clienti, fornitori, cittadini dei territori con cui l’impresa è in rapporto. Valori forti, con positive ricadute economiche e sociali.