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Elogio dell’importanza della “ricerca pura” per capire come e perché migliorare ambiente, salute e qualità della vita

Di fronte alla pandemia da Covid19, nel corso di un tempo molto breve, si è stati capaci di scoprire, sperimentare, produrre e somministrare vaccini efficaci a centinaia di milioni di persone. Un grandissimo sforzo scientifico, medico, finanziario e imprenditoriale, logistico e politico-amministrativo. Una riprova importante dell’effetto positivo della collaborazione internazionale e della concezione della scienza e della salute come “beni comuni” di portata globale. Una strada su cui continuare a camminare.

E’ stato naturalmente un processo difficile, controverso, denso di contraddizioni, ombre, conflitti tra interessi politici ed economici differenti. Eppure, nonostante tutto, oggi possiamo osservare con una certa soddisfazione una serie di successi: il contagio, in parecchi paesi, è stato drasticamente frenato e le morti sono nettamente diminuite (pesano comunque, i cinque milioni di morti nel mondo, con territori in cui il virus continua a mietere vittime). Vanno avanti anche le sperimentazioni di farmaci efficaci a contrastare gli effetti più devastanti e dolorosi del Coronavirus.

La crisi sanitaria, insomma, è stata decentemente affrontata. Abbiamo messo in evidenza le drammatiche fragilità della nostra condizione umana e sociale. E possiamo sperare di saper affrontare meglio la prossima crisi che sicuramente ci colpirà: anche se non sappiamo quando e come, siamo ben consapevoli della assoluta fondatezza del timore.

Nasce da questo quadro generale una prima considerazione di base. Abbiamo prodotto i vaccini perché da tempo erano in corso ricerche scientifiche di base sulla genetica. Perché, cioè, esisteva una solida e profonda “ricerca pura” i cui risultati sono stati rapidamente applicati a un problema concreto, la pandemia appunto.

Torna così alla ribalta la questione della necessità di un grande impegno lungimirante, degli investitori soprattutto pubblici, ma anche privati, su quella che si chiama “ricerca pura” o “ricerca di base”, slegata da obiettivi specifici e destinata a indagare i misteri della natura e della mente, il senso della vita e delle scelte, i metodi e i linguaggi delle relazioni tra le persone, i valori della nostra convivenza sociale e civile. La complessità del nostro essere umani, su questa Terra, parte infinitesima d’uno spazio ancora in gran parte da scoprire, comprendere, raccontare (gli astrofisici, personaggi esemplari della “ricerca pura”, hanno moltissimo da dirci).

Questi temi sono rilanciati da un recente documento dell’Aspen Institute Usa “for a Pure Science Project”, affidato alla discussione dei board di tutti e 14 i paesi in cui l’Aspen è presente (l’Italia è in prima fila), con un duplice obiettivo: approfondire nel discorso pubblico le questioni del valore della scienza e della ricerca e stimolare i decisori politici a investire meglio e di più.

Spiega il documento che il progresso della scienza pura è positivo in sé, dato che corrisponde a una delle fondamentali vie di civilizzazione: capire a fondo chi siamo e le caratteristiche del mondo fisico e biologico in cui viviamo. Valori forti – insiste il documento dell’Aspen – che incidono anche sul progresso materiale e sulla qualità della vita. Senza le scoperte della termodinamica, della relatività e della fisica quantistica, della teoria dell’evoluzione e della chimica teorica, tanto per citare solo alcuni campi scientifici, noi umani vivremmo una vita più povera e meno interessante.

Purtroppo, nota ancora l’Aspen, quasi dovunque il sostegno alla ricerca scientifica di base è in netta caduta, come peraltro dimostra l’ultimo UNESCO Science Report: towards 2030 (https://en.unesco.org/unescosciencereport).

Ecco dunque l’importanza di un rilancio della discussione. Maggiori fondi, proprio per la ricerca di base. E definizione di criteri di misurazione dei risultati che vadano ben al di là degli effetti immediati. Una responsabilità dei grandi organismi internazionali e degli Stati, quelli caratterizzati da una chiara democrazia liberale (il documento Aspen, d’altronde, ricorda bene il nesso tra libertà di ricerca e libertà democratiche). Ma anche un compito per le opinioni pubbliche più lungimiranti e sensibili, ben consapevoli dei nessi tra conoscenza, sostenibilità ambientale e sociale (la lotta alle diseguaglianze), innovazione, qualità della vita (la salute ne è parte essenziale), prospettive di fiducia nel futuro delle nuove generazioni.

E’ un compito essenziale anche dal punto di vista dell’economia, in cui occorre “andare oltre il Pil”, che misura soltanto la ricchezza prodotta, per indagare sulle dimensioni ambientali e sociali dei fenomeni, sui costi del degrado ambientale e del depauperamento delle risorse ma anche sull’incremento delle diseguaglianze (generazionali, di genere, geografiche e sociali) e sulla crisi delle opportunità di miglioramento. E’ necessario dunque definire e applicare un “Better Life Index” per valutare la crescita del benessere. Pensare non solo a necessari incrementi di produttività e competitività, ma anche alle ipotesi di fondo di una economia “circolare” e “civile”, per migliorare la vita e le prospettive delle persone. Una “ricerca pura” sugli aspetti essenziali della nostra fragile condizione umana (utile la lettura di “Misurare ciò che conta” di Joseph E. Stiglitz, Jean-Paul Fitoussi e Martine Durand, appena pubblicato da Einaudi).

La ricerca applicata, su singole questioni, poi seguirà, nella collaborazione tra poteri pubblici e legittimi interessi privati, tra fondi pubblici e stimoli fiscali e investimenti delle imprese.

Il “Recovery Fund” della Ue fondato su “green and digital economy” e mirato alle prospettive per la “Next Generation” ma anche la ridefinizione del Bilancio Ue per i prossimi anni dovrebbe muoversi in questa direzione con più chiara consapevolezza e maggiori risorse a disposizione.

Le questioni poste dal documento dell’Aspen sulla ricerca pura investono anche il mondo della formazione e della cultura, insistendo su temi citati parecchie volte in questo blog: la necessità di una “cultura politecnica” in cui i saperi umanistici si ibridano con le conoscenze scientifiche, le diverse discipline si incrocino, gli ingegneri e i filosofi, i medici e i letterati, i fisici e gli esperti di neuroscienze, i chimici e i sociologi, i tecnologici e gli psicologi, i giuristi e gli economisti si ritrovino a studiare, fare ricerca, lavorare e produrre insieme.

Nella stagione dell’economia della conoscenza e dello sviluppo dell’Intelligenza artificiale, è questo il campo dello sviluppo equilibrato. E senza puntare sulla ricerca di base, con tutto quel che ne consegue, non faremo grandi passi avanti, per una vita più soddisfacente, più equilibrata, migliore.

Di fronte alla pandemia da Covid19, nel corso di un tempo molto breve, si è stati capaci di scoprire, sperimentare, produrre e somministrare vaccini efficaci a centinaia di milioni di persone. Un grandissimo sforzo scientifico, medico, finanziario e imprenditoriale, logistico e politico-amministrativo. Una riprova importante dell’effetto positivo della collaborazione internazionale e della concezione della scienza e della salute come “beni comuni” di portata globale. Una strada su cui continuare a camminare.

E’ stato naturalmente un processo difficile, controverso, denso di contraddizioni, ombre, conflitti tra interessi politici ed economici differenti. Eppure, nonostante tutto, oggi possiamo osservare con una certa soddisfazione una serie di successi: il contagio, in parecchi paesi, è stato drasticamente frenato e le morti sono nettamente diminuite (pesano comunque, i cinque milioni di morti nel mondo, con territori in cui il virus continua a mietere vittime). Vanno avanti anche le sperimentazioni di farmaci efficaci a contrastare gli effetti più devastanti e dolorosi del Coronavirus.

La crisi sanitaria, insomma, è stata decentemente affrontata. Abbiamo messo in evidenza le drammatiche fragilità della nostra condizione umana e sociale. E possiamo sperare di saper affrontare meglio la prossima crisi che sicuramente ci colpirà: anche se non sappiamo quando e come, siamo ben consapevoli della assoluta fondatezza del timore.

Nasce da questo quadro generale una prima considerazione di base. Abbiamo prodotto i vaccini perché da tempo erano in corso ricerche scientifiche di base sulla genetica. Perché, cioè, esisteva una solida e profonda “ricerca pura” i cui risultati sono stati rapidamente applicati a un problema concreto, la pandemia appunto.

Torna così alla ribalta la questione della necessità di un grande impegno lungimirante, degli investitori soprattutto pubblici, ma anche privati, su quella che si chiama “ricerca pura” o “ricerca di base”, slegata da obiettivi specifici e destinata a indagare i misteri della natura e della mente, il senso della vita e delle scelte, i metodi e i linguaggi delle relazioni tra le persone, i valori della nostra convivenza sociale e civile. La complessità del nostro essere umani, su questa Terra, parte infinitesima d’uno spazio ancora in gran parte da scoprire, comprendere, raccontare (gli astrofisici, personaggi esemplari della “ricerca pura”, hanno moltissimo da dirci).

Questi temi sono rilanciati da un recente documento dell’Aspen Institute Usa “for a Pure Science Project”, affidato alla discussione dei board di tutti e 14 i paesi in cui l’Aspen è presente (l’Italia è in prima fila), con un duplice obiettivo: approfondire nel discorso pubblico le questioni del valore della scienza e della ricerca e stimolare i decisori politici a investire meglio e di più.

Spiega il documento che il progresso della scienza pura è positivo in sé, dato che corrisponde a una delle fondamentali vie di civilizzazione: capire a fondo chi siamo e le caratteristiche del mondo fisico e biologico in cui viviamo. Valori forti – insiste il documento dell’Aspen – che incidono anche sul progresso materiale e sulla qualità della vita. Senza le scoperte della termodinamica, della relatività e della fisica quantistica, della teoria dell’evoluzione e della chimica teorica, tanto per citare solo alcuni campi scientifici, noi umani vivremmo una vita più povera e meno interessante.

Purtroppo, nota ancora l’Aspen, quasi dovunque il sostegno alla ricerca scientifica di base è in netta caduta, come peraltro dimostra l’ultimo UNESCO Science Report: towards 2030 (https://en.unesco.org/unescosciencereport).

Ecco dunque l’importanza di un rilancio della discussione. Maggiori fondi, proprio per la ricerca di base. E definizione di criteri di misurazione dei risultati che vadano ben al di là degli effetti immediati. Una responsabilità dei grandi organismi internazionali e degli Stati, quelli caratterizzati da una chiara democrazia liberale (il documento Aspen, d’altronde, ricorda bene il nesso tra libertà di ricerca e libertà democratiche). Ma anche un compito per le opinioni pubbliche più lungimiranti e sensibili, ben consapevoli dei nessi tra conoscenza, sostenibilità ambientale e sociale (la lotta alle diseguaglianze), innovazione, qualità della vita (la salute ne è parte essenziale), prospettive di fiducia nel futuro delle nuove generazioni.

E’ un compito essenziale anche dal punto di vista dell’economia, in cui occorre “andare oltre il Pil”, che misura soltanto la ricchezza prodotta, per indagare sulle dimensioni ambientali e sociali dei fenomeni, sui costi del degrado ambientale e del depauperamento delle risorse ma anche sull’incremento delle diseguaglianze (generazionali, di genere, geografiche e sociali) e sulla crisi delle opportunità di miglioramento. E’ necessario dunque definire e applicare un “Better Life Index” per valutare la crescita del benessere. Pensare non solo a necessari incrementi di produttività e competitività, ma anche alle ipotesi di fondo di una economia “circolare” e “civile”, per migliorare la vita e le prospettive delle persone. Una “ricerca pura” sugli aspetti essenziali della nostra fragile condizione umana (utile la lettura di “Misurare ciò che conta” di Joseph E. Stiglitz, Jean-Paul Fitoussi e Martine Durand, appena pubblicato da Einaudi).

La ricerca applicata, su singole questioni, poi seguirà, nella collaborazione tra poteri pubblici e legittimi interessi privati, tra fondi pubblici e stimoli fiscali e investimenti delle imprese.

Il “Recovery Fund” della Ue fondato su “green and digital economy” e mirato alle prospettive per la “Next Generation” ma anche la ridefinizione del Bilancio Ue per i prossimi anni dovrebbe muoversi in questa direzione con più chiara consapevolezza e maggiori risorse a disposizione.

Le questioni poste dal documento dell’Aspen sulla ricerca pura investono anche il mondo della formazione e della cultura, insistendo su temi citati parecchie volte in questo blog: la necessità di una “cultura politecnica” in cui i saperi umanistici si ibridano con le conoscenze scientifiche, le diverse discipline si incrocino, gli ingegneri e i filosofi, i medici e i letterati, i fisici e gli esperti di neuroscienze, i chimici e i sociologi, i tecnologici e gli psicologi, i giuristi e gli economisti si ritrovino a studiare, fare ricerca, lavorare e produrre insieme.

Nella stagione dell’economia della conoscenza e dello sviluppo dell’Intelligenza artificiale, è questo il campo dello sviluppo equilibrato. E senza puntare sulla ricerca di base, con tutto quel che ne consegue, non faremo grandi passi avanti, per una vita più soddisfacente, più equilibrata, migliore.

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