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Europa nonostante tutto: dieci libri per capire le sfide politiche ed economiche delle elezioni

Alla vigilia del voto per rinnovare il Parlamento europeo, cresce la consapevolezza di trovarsi di fronte a un appuntamento tutt’altro che usuale nell’evoluzione degli assetti politici ed economici dell’Europa. Le istituzioni e le regole Ue, dopo settant’anni dai primi accordi, sono sottoposte a un assalto rancoroso che nega quanto di positivo sia stato fatto e amplifica i dati di crisi, mentre soffia un vento preoccupante che riporta purtroppo d’attualità i vecchi mali novecenteschi dei nazionalismi e dei particolarismi locali. Siamo davanti a una sfida che investe non solo la Ue e le sue strutture, ma anche la sostanza stessa della democrazia liberale, dei mercati ben regolati, dello sviluppo che prova a fare convivere competizione e solidarietà sociale.

Vale la pena, anche dal punto di vista della cultura d’impresa, provare a capire meglio quali sono i temi chiave del dibattito in corso. Alcuni buoni libri sono di grande aiuto. A partire dalla storia, per arrivare all’attualità.

L’Europa, dunque, dalle fondamenta ai nostri giorni, seguendo “Il filo infinito” lasciato dalle tracce di San Benedetto e delle abbazie dell’ordine da lui fondato a metà del Cinquecento. Eccolo, il nuovo, intensissimo libro di Paolo Rumiz, Feltrinelli. E’ appunto un “viaggio alle radici dell’Europa” quello che comincia a Norcia (la città natale del santo), risale l’Italia e percorre Francia e Germania, per tornare a Norcia. Terre ben coltivate e biblioteche (“Ora et labora”), fabbriche e studi in cui fare nascere un nuovo diritto da quello romano in decadenza e quello visigoto, dialoghi su vincoli e libertà, storie da subire e storia nuova da costruire. Sino alla conclusione: “Non possiamo permettere che il nostro mondo si sottometta ancora al delirio nazionalista e suprematista. La nostra dea madre fenicia di nome Europa, che per prima attraversò il Mediterraneo con paura, ci ricorda che siamo sempre stati capolinea di popoli migranti e ci spinge a sciogliere altre matasse e a tendere altri fili”.

Dalla storia alle prospettive. Con “Ciò che possiamo fare” ovvero “la libertà di Edith Stein e lo spirito dell’Europa” nella riflessione di Lella Costa, edito da Solferino. Le parole d’una teologa nata ebrea e come tale deportata nell’orrore di Auschwitz e assassinata e proclamata santa dalla Chiesa cattolica sono rimeditate dalla Costa soprattutto per le parti che insistono su dialogo, pace, relazioni tra popoli e culture diverse, valori dell’Europa. Una meditazione profonda sulla convivenza, sulla necessità, attuale ancora oggi, di difenderci dai veleni dei nazionalismi e del populismi. Sono parole forti, che varrebbe la pena leggere insieme a quelle di un’altra grande protagonista del pensiero politico e della spiritualità del Novecento, Simone Weil.

Sono valori che risuonano anche in “Oltre le nazioni” di Zygmunt Bauman, un sintetico saggio del 2012 riproposto da Laterza per aiutarci a ragionare su “l’Europa tra sovranità e solidarietà”. Bauman è stato ottimo interprete dei cambiamenti sociali (la “società liquida”) e degli smarrimenti di fronte “alle forze incontrollate” dei mercati globali. Ha raccontato bene le tentazioni di rifugiarsi nelle rivendicazioni egoistiche per recuperare “la sovranità nazionale perduta” e ne ha denunciato l’errore. Adesso, rilancia la lezione di Richard Sennett secondo cui “il modo migliore per entrare in contatto con le differenze è quello di cooperare in modo informale e aperto” e suggerisce: “Gli uffici e le strade diventano disumani quando vi regnano la rigidità, l’utilitarismo e la competizione, mentre si umanizzano se si muovono interazioni informali, aperte, collaborative”. E’ l’idea di una maggiore e migliore integrazione europea, fatta di ponti e non di muri.

Un’Europa, dunque, da vivere con consapevolezza critica e provare a cambiare. Come? Riducendone banalità burocratiche, nel segno d’una migliore unione politica. Per farlo, è utile anche giocare d’ironia, di paradosso. Come fa Robert Menasse in “La capitale”, Sellerio. Menasse è austriaco, europeista convinto, saggista ma anche romanziere di fertile vena creativa. E questo è appunto un romanzo denso di fantasia e sarcasmo, che comincia con la fuga d’un maiale per le vie di Bruxelles. Un maiale che stimola l’idea di lucrosi affari con la Cina, ma rappresenta anche il simbolo d’una ostilità verso gli immigrati musulmani che non se ne cibano. E occupa discorsi pubblici, giochi culturali (un concorso per dargli un nome) e intrecci economici. Simili ai tanti altri che disperdono il tempo negli uffici di Bruxelles. Storie di burocrati s’arenano in malinconiche avventure sessuali (“Lui simulò il desiderio, lei l’orgasmo. Un’alchimia perfetta”). Un grande evento per ricordare Auschwitz e il monito del “Mai più” degenera in scontri nazionalistici. Generose visioni politiche si confondono con miserie di carriera. L’ombra della Brexit agita tutti. Dalla babele di lingue e interessi riemergerà l’Europa? Forse. A patto di non rinunciare mai al senso dei valori comuni. Nonostante ogni egoistica stupidità.

“Bruxelles” s’intitola il libro di Beda Romano, corrispondente de “Il Sole24Ore”, Il Mulino: ritratto competente “d’una capitale originale e insolita, vero meeting pot di culture ed esperienze, che meglio di altre incarna le molte anime del continente europeo”. Terra di storie e conflitti, di grandi intellettuali belgi o rifugiati (Marx, Baudelaire, Van Eyck, Magritte), di immigrati e teste coronate, di autonomia e integrazione con la forte economia francese, Bruxelles e il Belgio sono crogiolo di diversità e dialoghi. La capitale testimonia la forza delle radici e della fertilità delle culture sovranazionali. Con i suoi limiti, è un buon paradigma dell’Europa. Di cui Romano sa ben raccontare anche i lati migliori.

I valori. E le critiche. Anche rileggendo “Le tre profezie” e facendone strumento per “appunti per il futuro”, come scrive Giulio Tremonti per l’editore Solferino. Il libro parla di Europa in crisi, limiti della globalizzazione, conflitti politici e sociali. Si sofferma su Marx e il suo “Manifesto” sicuro che “all’antico isolamento nazionale subentrerà una interdipendenza universale”, su Goethe e la previsione sui “biglietti alati che voleranno tanto in alto” da non essere raggiungibili e controllabili dalla conoscenza della maggior parte degli uomini (una lucida premonizione delle follie della finanza e dell’economia “di carta”) e sul Leopardi dello Zibaldone, particolarmente critico sulle derive del costume nazionale: “Quando tutto il mondo fu cittadino Romano, Roma non ebbe più cittadini; e quando cittadino Romano fu lo stesso che Cosmpolita, non si amò né Roma né il Mondo”. Tremonti va avanti citando Nietzsche e Shakespeare, la crisi di Weimar e il Manifesto di Ventotene, i progetti di Gates e Zuckerberg (che gli piacciono poco). E sottopone a critica l’ideologia mercatista, le burocrazie Ue, il fanatismo del futuro digitale, le radici da cui nascono populismi e sovranismi. Una lettura stimolante, per discutere di come costruire, su più solide e giuste fondamenta, un futuro comune migliore.

Sono temi che ricorrono, in modo diverso, pure in “Stare in Europa – Sogno, incubo e realtà” di Riccardo Perissich, Bollati Boringhieri. In vista del voto di maggio, vale la pena riflettere criticamente su un “modello comunitario” nato 70 anni fa e oramai in parte inadeguato, ma anche evitare retoriche negative anti-Bruxelles e prendere atto che di fronte a sfide globali (i poteri economici sovranazionali, gli sviluppi della cyber economy, il terrorismo islamico, le grandi ondate migratorie) il nazionalismo asfittico delle “piccole patrie” non consente risposte utili. Serve invece “una maggiore integrazione politica”. Perché “la battaglia per preservare la Ue, e con essa la democrazia liberale in Europa, merita di essere combattuta ed è forse la più grande sfida di questo secolo”.

L’Europa, con le sue regole, è stata a lungo considerata come un necessario “vincolo esterno” per costringere gli italiani “indisciplinati” a essere attenti a buon governo, riforme e conti pubblici in ordine. Ma una certa idea “sacrale” dei parametri di Maastricht e un’inclinazione ideologica dell’”ordoliberismo” dei Paesi del Nord hanno scatenato reazioni che hanno fatto male all’Italia e alla stessa Ue, alimentando sovranismi e populismi. Lo spiega bene Federico Fubini in “Per amor proprio”, Longanesi: “Perché l’Italia deve smettere di odiare l’Europa e di vergognarsi di se stessa”. Le “regole comuni” hanno provocato “effetti diversi” nei vari paesi. Le burocrazie hanno colmato i vuoti lasciati da una politica che ha perso slancio. Agli italiani, affascinati dal neo-nazionalismo, Fubini ricorda i meriti delle nostre imprese, il risparmio virtuoso di milioni di cittadini, il buon funzionamento di alcuni servizi pubblici e privati. E insiste su un’Europa migliore. La scelta da fare è fra l’integrazione europea “e qualche impero più lontano e meno democratico al quale finiremmo per doverci sottomettere in cambio di un po’ di aiuto, senza avere voce in capitolo sul nostro destino”.

Guardiamo, appunto, ai nuovi equilibri internazionali. Come fa bene Danilo Taino in “Scacco all’Europa – La guerra fredda tra Cina e Usa per il nuovo ordine mondiale”, Solferino, un libro denso di lucide analisi geopolitiche. Taino sa bene che “ogni ordine mondiale è destinato a crollare: quello eurocentrico è finito da tempo e la Pax Americana che ne ha preso il posto è in declino, sfidata dalla «giovane» potenza cinese”. Le riprove? La guerra commerciale aperta dalla Casa Bianca di Trump nei confronti della Cina e dei principali paesi europei. Ma anche nelle strategie cinesi per la Belt and Road Iniziative, con mille miliardi di investimenti in grandi infrastrutture per legare Pechino con l’Europa e l’Africa. Tensioni politiche ed economiche. Strategie conflittuali. Che investono “l’Europa malata, in preda a una crisi politica ed economica, e destinata a trasformarsi in terreno di conquista da parte di Pechino e Mosca, se non abbandonerà l’illusione di essere ancora al centro del mondo”. Un’Europa, dunque, da ripensare.

Potremmo dire, in conclusione, “Europa nonostante tutto”, riprendendo l’efficace titolo dello snello volume scritto da Maurizio Ferrera, Piergaetano Marchetti, Alberto Martinelli, Antonio Padoa Schioppa (oltre che dall’autore di questo blog) per La nave di Teseo, per fare un punto sulle principali caratteristiche della Ue: la storia di una straordinaria scelta politica, partendo dal “Manifesto di Ventotene” (redatto nel 1941 dalle generose intelligenze di tre italiani antifascisti al confino, Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni), le istituzioni, la cittadinanza europea, l’euro e le questioni dell’economia e dei mercati, i sistemi di welfare migliori al mondo, da valorizzare, difendere, riformare e rafforzare. Europa valore positivo. Ed Europa futuro.

Alla vigilia del voto per rinnovare il Parlamento europeo, cresce la consapevolezza di trovarsi di fronte a un appuntamento tutt’altro che usuale nell’evoluzione degli assetti politici ed economici dell’Europa. Le istituzioni e le regole Ue, dopo settant’anni dai primi accordi, sono sottoposte a un assalto rancoroso che nega quanto di positivo sia stato fatto e amplifica i dati di crisi, mentre soffia un vento preoccupante che riporta purtroppo d’attualità i vecchi mali novecenteschi dei nazionalismi e dei particolarismi locali. Siamo davanti a una sfida che investe non solo la Ue e le sue strutture, ma anche la sostanza stessa della democrazia liberale, dei mercati ben regolati, dello sviluppo che prova a fare convivere competizione e solidarietà sociale.

Vale la pena, anche dal punto di vista della cultura d’impresa, provare a capire meglio quali sono i temi chiave del dibattito in corso. Alcuni buoni libri sono di grande aiuto. A partire dalla storia, per arrivare all’attualità.

L’Europa, dunque, dalle fondamenta ai nostri giorni, seguendo “Il filo infinito” lasciato dalle tracce di San Benedetto e delle abbazie dell’ordine da lui fondato a metà del Cinquecento. Eccolo, il nuovo, intensissimo libro di Paolo Rumiz, Feltrinelli. E’ appunto un “viaggio alle radici dell’Europa” quello che comincia a Norcia (la città natale del santo), risale l’Italia e percorre Francia e Germania, per tornare a Norcia. Terre ben coltivate e biblioteche (“Ora et labora”), fabbriche e studi in cui fare nascere un nuovo diritto da quello romano in decadenza e quello visigoto, dialoghi su vincoli e libertà, storie da subire e storia nuova da costruire. Sino alla conclusione: “Non possiamo permettere che il nostro mondo si sottometta ancora al delirio nazionalista e suprematista. La nostra dea madre fenicia di nome Europa, che per prima attraversò il Mediterraneo con paura, ci ricorda che siamo sempre stati capolinea di popoli migranti e ci spinge a sciogliere altre matasse e a tendere altri fili”.

Dalla storia alle prospettive. Con “Ciò che possiamo fare” ovvero “la libertà di Edith Stein e lo spirito dell’Europa” nella riflessione di Lella Costa, edito da Solferino. Le parole d’una teologa nata ebrea e come tale deportata nell’orrore di Auschwitz e assassinata e proclamata santa dalla Chiesa cattolica sono rimeditate dalla Costa soprattutto per le parti che insistono su dialogo, pace, relazioni tra popoli e culture diverse, valori dell’Europa. Una meditazione profonda sulla convivenza, sulla necessità, attuale ancora oggi, di difenderci dai veleni dei nazionalismi e del populismi. Sono parole forti, che varrebbe la pena leggere insieme a quelle di un’altra grande protagonista del pensiero politico e della spiritualità del Novecento, Simone Weil.

Sono valori che risuonano anche in “Oltre le nazioni” di Zygmunt Bauman, un sintetico saggio del 2012 riproposto da Laterza per aiutarci a ragionare su “l’Europa tra sovranità e solidarietà”. Bauman è stato ottimo interprete dei cambiamenti sociali (la “società liquida”) e degli smarrimenti di fronte “alle forze incontrollate” dei mercati globali. Ha raccontato bene le tentazioni di rifugiarsi nelle rivendicazioni egoistiche per recuperare “la sovranità nazionale perduta” e ne ha denunciato l’errore. Adesso, rilancia la lezione di Richard Sennett secondo cui “il modo migliore per entrare in contatto con le differenze è quello di cooperare in modo informale e aperto” e suggerisce: “Gli uffici e le strade diventano disumani quando vi regnano la rigidità, l’utilitarismo e la competizione, mentre si umanizzano se si muovono interazioni informali, aperte, collaborative”. E’ l’idea di una maggiore e migliore integrazione europea, fatta di ponti e non di muri.

Un’Europa, dunque, da vivere con consapevolezza critica e provare a cambiare. Come? Riducendone banalità burocratiche, nel segno d’una migliore unione politica. Per farlo, è utile anche giocare d’ironia, di paradosso. Come fa Robert Menasse in “La capitale”, Sellerio. Menasse è austriaco, europeista convinto, saggista ma anche romanziere di fertile vena creativa. E questo è appunto un romanzo denso di fantasia e sarcasmo, che comincia con la fuga d’un maiale per le vie di Bruxelles. Un maiale che stimola l’idea di lucrosi affari con la Cina, ma rappresenta anche il simbolo d’una ostilità verso gli immigrati musulmani che non se ne cibano. E occupa discorsi pubblici, giochi culturali (un concorso per dargli un nome) e intrecci economici. Simili ai tanti altri che disperdono il tempo negli uffici di Bruxelles. Storie di burocrati s’arenano in malinconiche avventure sessuali (“Lui simulò il desiderio, lei l’orgasmo. Un’alchimia perfetta”). Un grande evento per ricordare Auschwitz e il monito del “Mai più” degenera in scontri nazionalistici. Generose visioni politiche si confondono con miserie di carriera. L’ombra della Brexit agita tutti. Dalla babele di lingue e interessi riemergerà l’Europa? Forse. A patto di non rinunciare mai al senso dei valori comuni. Nonostante ogni egoistica stupidità.

“Bruxelles” s’intitola il libro di Beda Romano, corrispondente de “Il Sole24Ore”, Il Mulino: ritratto competente “d’una capitale originale e insolita, vero meeting pot di culture ed esperienze, che meglio di altre incarna le molte anime del continente europeo”. Terra di storie e conflitti, di grandi intellettuali belgi o rifugiati (Marx, Baudelaire, Van Eyck, Magritte), di immigrati e teste coronate, di autonomia e integrazione con la forte economia francese, Bruxelles e il Belgio sono crogiolo di diversità e dialoghi. La capitale testimonia la forza delle radici e della fertilità delle culture sovranazionali. Con i suoi limiti, è un buon paradigma dell’Europa. Di cui Romano sa ben raccontare anche i lati migliori.

I valori. E le critiche. Anche rileggendo “Le tre profezie” e facendone strumento per “appunti per il futuro”, come scrive Giulio Tremonti per l’editore Solferino. Il libro parla di Europa in crisi, limiti della globalizzazione, conflitti politici e sociali. Si sofferma su Marx e il suo “Manifesto” sicuro che “all’antico isolamento nazionale subentrerà una interdipendenza universale”, su Goethe e la previsione sui “biglietti alati che voleranno tanto in alto” da non essere raggiungibili e controllabili dalla conoscenza della maggior parte degli uomini (una lucida premonizione delle follie della finanza e dell’economia “di carta”) e sul Leopardi dello Zibaldone, particolarmente critico sulle derive del costume nazionale: “Quando tutto il mondo fu cittadino Romano, Roma non ebbe più cittadini; e quando cittadino Romano fu lo stesso che Cosmpolita, non si amò né Roma né il Mondo”. Tremonti va avanti citando Nietzsche e Shakespeare, la crisi di Weimar e il Manifesto di Ventotene, i progetti di Gates e Zuckerberg (che gli piacciono poco). E sottopone a critica l’ideologia mercatista, le burocrazie Ue, il fanatismo del futuro digitale, le radici da cui nascono populismi e sovranismi. Una lettura stimolante, per discutere di come costruire, su più solide e giuste fondamenta, un futuro comune migliore.

Sono temi che ricorrono, in modo diverso, pure in “Stare in Europa – Sogno, incubo e realtà” di Riccardo Perissich, Bollati Boringhieri. In vista del voto di maggio, vale la pena riflettere criticamente su un “modello comunitario” nato 70 anni fa e oramai in parte inadeguato, ma anche evitare retoriche negative anti-Bruxelles e prendere atto che di fronte a sfide globali (i poteri economici sovranazionali, gli sviluppi della cyber economy, il terrorismo islamico, le grandi ondate migratorie) il nazionalismo asfittico delle “piccole patrie” non consente risposte utili. Serve invece “una maggiore integrazione politica”. Perché “la battaglia per preservare la Ue, e con essa la democrazia liberale in Europa, merita di essere combattuta ed è forse la più grande sfida di questo secolo”.

L’Europa, con le sue regole, è stata a lungo considerata come un necessario “vincolo esterno” per costringere gli italiani “indisciplinati” a essere attenti a buon governo, riforme e conti pubblici in ordine. Ma una certa idea “sacrale” dei parametri di Maastricht e un’inclinazione ideologica dell’”ordoliberismo” dei Paesi del Nord hanno scatenato reazioni che hanno fatto male all’Italia e alla stessa Ue, alimentando sovranismi e populismi. Lo spiega bene Federico Fubini in “Per amor proprio”, Longanesi: “Perché l’Italia deve smettere di odiare l’Europa e di vergognarsi di se stessa”. Le “regole comuni” hanno provocato “effetti diversi” nei vari paesi. Le burocrazie hanno colmato i vuoti lasciati da una politica che ha perso slancio. Agli italiani, affascinati dal neo-nazionalismo, Fubini ricorda i meriti delle nostre imprese, il risparmio virtuoso di milioni di cittadini, il buon funzionamento di alcuni servizi pubblici e privati. E insiste su un’Europa migliore. La scelta da fare è fra l’integrazione europea “e qualche impero più lontano e meno democratico al quale finiremmo per doverci sottomettere in cambio di un po’ di aiuto, senza avere voce in capitolo sul nostro destino”.

Guardiamo, appunto, ai nuovi equilibri internazionali. Come fa bene Danilo Taino in “Scacco all’Europa – La guerra fredda tra Cina e Usa per il nuovo ordine mondiale”, Solferino, un libro denso di lucide analisi geopolitiche. Taino sa bene che “ogni ordine mondiale è destinato a crollare: quello eurocentrico è finito da tempo e la Pax Americana che ne ha preso il posto è in declino, sfidata dalla «giovane» potenza cinese”. Le riprove? La guerra commerciale aperta dalla Casa Bianca di Trump nei confronti della Cina e dei principali paesi europei. Ma anche nelle strategie cinesi per la Belt and Road Iniziative, con mille miliardi di investimenti in grandi infrastrutture per legare Pechino con l’Europa e l’Africa. Tensioni politiche ed economiche. Strategie conflittuali. Che investono “l’Europa malata, in preda a una crisi politica ed economica, e destinata a trasformarsi in terreno di conquista da parte di Pechino e Mosca, se non abbandonerà l’illusione di essere ancora al centro del mondo”. Un’Europa, dunque, da ripensare.

Potremmo dire, in conclusione, “Europa nonostante tutto”, riprendendo l’efficace titolo dello snello volume scritto da Maurizio Ferrera, Piergaetano Marchetti, Alberto Martinelli, Antonio Padoa Schioppa (oltre che dall’autore di questo blog) per La nave di Teseo, per fare un punto sulle principali caratteristiche della Ue: la storia di una straordinaria scelta politica, partendo dal “Manifesto di Ventotene” (redatto nel 1941 dalle generose intelligenze di tre italiani antifascisti al confino, Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni), le istituzioni, la cittadinanza europea, l’euro e le questioni dell’economia e dei mercati, i sistemi di welfare migliori al mondo, da valorizzare, difendere, riformare e rafforzare. Europa valore positivo. Ed Europa futuro.

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