Fabbriche di cultura sociale
La fabbrica è da sempre luogo sociale oltre che produttivo. E’ per questo che la cultura d’impresa nasce anche dai luoghi della produzione, dagli ambienti, dagli uomini che mettono per davvero mano alla manifattura, oltre che dall’imprenditore che le dà forma. Capire cosa accade negli spazi fisici della produzione, quindi, è capire anche la cultura che da essa si sviluppa: insieme di sentimenti di uomini e donne e idee d’impresa.
Alice Brombin (Dottoranda in Scienze sociali, Università degli Studi di Padova), ha provato ad aggiornare proprio l’idea della fabbrica come luogo sociale e di cultura guardando all’oggi e quindi al convivere, nelle fabbriche appunto, di operai di diversa origine, espressione del mondo globale non solo dei mercati finanziari ma delle persone. Una situazione, a ben vedere, simile a quella che decenni fa si era già creata nelle fabbriche del Nord animate dalla manodopera del Mezzorgiorno e prima ancora nelle fabbriche oltreoceano rese produttive dai migranti europei.
L’articolo – uscito qualche settimana fa nell’Archivio di Studi Urbani e Regionali -, è un po’ ricerca sociale, un po’ indagine antropologica, un po’ analisi economica; leggerlo è come fare un viaggio a ritroso nel tempo ma anche nell’oggi complesso e variegato.
“La fabbrica è qui analizzata – dice l’autrice -, come spazio sociale dove vulnerabilità collettive si traducono in confini simbolici e spaziali”. Ma non solo. Il senso del testo si capisce bene qualche riga più sotto. La fabbrica è “intesa come spazio fisico di azione e di senso in cui agiscono individui e gruppi che intersecano habitat di significato distinti, talvolta condivisi talvolta incomprensibili ed estranei”. E ancora: “Nella fabbrica si riproducono le tensioni che attraversano la città moderna, dove la frammentazione sociale genera segregazione spaziale e gli individui creano legami e rapporti di convenienza più che di affinità o solidarietà reciproca”. Il luogo della produzione, quindi, come specchio della società nella quale l’impresa è collocata e come fonte proprio di una cultura d’impresa che si forma con contributi diversi che si influenzano gli uni con gli altri.
Alice Brombin, quindi, esplora l’argomento conducendo chi legge da un inquadramento teorico ad un caso pratico, quello delle aziende del distretto conciario di Arzignano nel vicentino. Mettendo in evidenza come la conceria non solo “sia il luogo in cui le identità di lavoratori nazionali e stranieri vengono reciprocamente costruite, ma come la fabbrica divenga progressivamente principio interiorizzato di senso e giustificazione della presenza dei lavoratori migranti”.
La fabbrica: lo spazio del migrante. Il caso del distretto vicentino della concia
Alice Brombin
Archivio di studi urbani e regionali
2014, fascicolo 110
La fabbrica è da sempre luogo sociale oltre che produttivo. E’ per questo che la cultura d’impresa nasce anche dai luoghi della produzione, dagli ambienti, dagli uomini che mettono per davvero mano alla manifattura, oltre che dall’imprenditore che le dà forma. Capire cosa accade negli spazi fisici della produzione, quindi, è capire anche la cultura che da essa si sviluppa: insieme di sentimenti di uomini e donne e idee d’impresa.
Alice Brombin (Dottoranda in Scienze sociali, Università degli Studi di Padova), ha provato ad aggiornare proprio l’idea della fabbrica come luogo sociale e di cultura guardando all’oggi e quindi al convivere, nelle fabbriche appunto, di operai di diversa origine, espressione del mondo globale non solo dei mercati finanziari ma delle persone. Una situazione, a ben vedere, simile a quella che decenni fa si era già creata nelle fabbriche del Nord animate dalla manodopera del Mezzorgiorno e prima ancora nelle fabbriche oltreoceano rese produttive dai migranti europei.
L’articolo – uscito qualche settimana fa nell’Archivio di Studi Urbani e Regionali -, è un po’ ricerca sociale, un po’ indagine antropologica, un po’ analisi economica; leggerlo è come fare un viaggio a ritroso nel tempo ma anche nell’oggi complesso e variegato.
“La fabbrica è qui analizzata – dice l’autrice -, come spazio sociale dove vulnerabilità collettive si traducono in confini simbolici e spaziali”. Ma non solo. Il senso del testo si capisce bene qualche riga più sotto. La fabbrica è “intesa come spazio fisico di azione e di senso in cui agiscono individui e gruppi che intersecano habitat di significato distinti, talvolta condivisi talvolta incomprensibili ed estranei”. E ancora: “Nella fabbrica si riproducono le tensioni che attraversano la città moderna, dove la frammentazione sociale genera segregazione spaziale e gli individui creano legami e rapporti di convenienza più che di affinità o solidarietà reciproca”. Il luogo della produzione, quindi, come specchio della società nella quale l’impresa è collocata e come fonte proprio di una cultura d’impresa che si forma con contributi diversi che si influenzano gli uni con gli altri.
Alice Brombin, quindi, esplora l’argomento conducendo chi legge da un inquadramento teorico ad un caso pratico, quello delle aziende del distretto conciario di Arzignano nel vicentino. Mettendo in evidenza come la conceria non solo “sia il luogo in cui le identità di lavoratori nazionali e stranieri vengono reciprocamente costruite, ma come la fabbrica divenga progressivamente principio interiorizzato di senso e giustificazione della presenza dei lavoratori migranti”.
La fabbrica: lo spazio del migrante. Il caso del distretto vicentino della concia
Alice Brombin
Archivio di studi urbani e regionali
2014, fascicolo 110