I valori della conoscenza e del mercato per costruire un Mezzogiorno europeo
Per parlare di Mezzogiorno si può fare leva su due parole. Conoscenza. E mercato. Evitare le vecchie cattive abitudini delle rivendicazioni “riparazioniste” (“…lo Stato che, dall’unificazione d’Italia in poi, ha umiliato ed emarginato il Sud ci deve dare…), le nostalgie neo-borboniche e le tentazioni assistenziali (il Reddito di cittadinanza come scorciatoia per trovare lavoro è solo l’ultima cattiva strada). E ragionare invece di investimenti produttivi sulle infrastrutture, a cominciare da quelle formative (scuole e università di qualità) e dalle reti digitali. E sostenere tutto ciò che serve per promuovere l’intraprendenza, la produttività, la competitività, mettendo le imprese in condizione di crescere ed esprimere le proprie caratteristiche essenziali: essere attori sociali positivi del benessere e del cambiamento.
Il Mezzogiorno, in sintesi, va ripensato come un’area economica fortemente integrata nell’Unione Europea e uno spazio dinamico nel ridisegno delle mappe di un Mediterraneo diventato strategico nelle relazioni geopolitiche e geoeconomiche internazionali (la guerra in Ucraina è l’ultimo, drammatico capitolo di una serie di cambiamenti di vasta portata).
Proprio le opportunità offerte dalle evoluzioni della “economia della conoscenza” e dell’“economia digitale”, con le implicazioni connesse alle straordinarie applicazioni dell’Intelligenza Artificiale a tutti i settori dell’industria, dei servizi e della cultura, innovando profondamente le dimensioni dello spazio e del tempo, mettono il Mezzogiorno in condizione di pensare non più tanto ai “ritardi di crescita da recuperare” quanto soprattutto alle occasioni da cogliere in termini di sviluppo. Uno sviluppo economico e civile, uno sviluppo sostenibile ambientale e sociale.
E’ un nuovo contesto, europeo e internazionale, che va ben compreso andando oltre gli sguardi angusti del localismo e del provincialismo clientelare. E che pone sfide inedite non solo a Bruxelles e a Roma e Milano, le due capitali italiane del potere politico e dell’economia innovativa, alla pubblica amministrazione e agli attori sociali, a cominciare dalle imprese, ma anche ai soggetti più moderni e intraprendenti del Sud.
Sono questi i temi risuonati al Forum “Verso Sud” organizzato, a metà maggio, a Sorrento, dalla ministra per il Mezzogiorno e la coesione territoriale Mara Carfagna (“In mille convegni, il Sud è stato definito ‘piattaforma logistica nel Mediterraneo’. E noi quella piattaforma oggi la realizziamo grazie a importanti investimenti nei porti – 1,2 miliardi – e grazie alla riforma e all’infrastrutturazione delle Zone Economiche Speciali, che sono il ‘cuore’ della nostra scommessa di sviluppo. Luoghi dove sarà finalmente conveniente, più facile, più rapido investire grazie a una burocrazia ridotta e a una tassazione agevolata”). E, alla fine della scorsa settimana, a Palermo, per “Med in Italy”, un incontro nazionale promosso dai Giovani Imprenditori di Confindustria presieduti da Riccardo Di Stefano. “Med” come Mediterraneo, appunto, in cui fare risaltare la centralità del nostro Mezzogiorno e su cui “investire e innovare”.
Una centralità, naturalmente, non solo geografica. Ma politica ed economica. In un mondo che sta ridisegnando le rotte degli scambi e le relazioni dei poteri, sotto la spinta degli eventi drammatici che stiamo vivendo (le conseguenze del Climate change, la pandemia da Covid 19 e la recessione, adesso la guerra in Ucraina che investe direttamente le responsabilità dell’Europa) accelerano la spinta verso un vero e proprio “cambio di paradigma” dei rapporti politici e dello sviluppo economico e sociale.
Serve, appunto, una rilettura critica del catalogo delle idee che hanno guidato le recenti stagioni della globalizzazione e dell’economia digitale e la progettazione di una “ri-globalizzazione selettiva” con processi di reshoring che accorcino le supply chain (la lunghezza le rende fragili e oramai poco efficienti) e le rilocalizzino nel cuore dell’Europa industriale, senza cedere a tentazioni protezioniste ma riqualificando e rilanciando tutto il sistema degli scambi internazionali in una condizione da fair trade, da commercio ben regolato.
Il ritorno a produrre in Europa e dunque in Italia mette in gioco proprio il Mezzogiorno. Da rendere attrattivo per risorse, investimenti, talenti. Come area di insediamenti produttivi high tech. Ma anche di servizi, infrastrutture logistiche (porti, “vie del mare”, interporti collegati alla modernizzazione ferroviaria e aeroportuale). E centri di conoscenza.
Il Mezzogiorno è territorio di intelligenze. Di capitale umano creativo. Di ragazze e ragazzi che sono costretti, da anni, a prendere la via dell’abbandono delle città e dei paesi d’origine per cercare altrove, da Milano alle grandi città dell’Europa e del mondo, migliori occasioni di lavoro e di vita. E di una diffusa imprenditorialità che, pur debole, resiste, nonostante tutti i condizionamenti negativi (una sub-cultura della clientela, un diffuso livello di inefficienza e corruzione della pubblica amministrazione, una tentazione comoda dell’ assistenzialismo, una caduta nelle strade del “sommerso” e nelle tante pieghe dell’economia criminale e delle pressioni di una mafia che “dà pane e morte”).
Ecco il punto chiave. Sono le ragazze e i ragazzi del Sud i destinatari essenziali di quel Recovery Fund chiamato appunto Next Generation Eu che guarda soprattutto all’Italia e al Mezzogiorno (cui sono destinati il 40% dei fondi nazionali, se sarà in grado di spenderli con progetti produttivi e riforme radicali). E le scuole e le università in cui hanno studiato sono dunque da riqualificare e rilanciare, liberandole anche dalla soffocanti baronie familiari che ne umiliano le qualità. E da fare crescere, in una relazione virtuosa di collaborazione con i migliori atenei d’Italia e d’Europa. E con il sistema delle imprese.
Gli investimenti di Apple e di altre aziende high tech a Napoli nel 2021 sono indicatori di una tendenza a valorizzare, nelle città meridionali, le intelligenze e le competenze locali. E, proprio nei giorni scorsi, altre notizie rilevanti arrivano da Pirelli in Puglia e da Bip in Sicilia. La Pirelli, venerdì, ha annunciato l’apertura di un Digital Solutions Center a Bari, in collaborazione con la Regione, l’università e il Politecnico pugliesi e integrato nella rete di servizi software internazionali del gruppo. E Bip (Business Integration Partners, una multinazionale milanese della consulenza, presieduta da Nino Lo Bianco, palermitano) ha presentato il progetto di un Centro di servizi digitali a Palermo, in raccordo con le altre 13 sedi Bip nel mondo. Due conferme rilevanti di come le nuove dimensioni della digital economy e dello smart working offrano straordinarie opportunità di crescita, valorizzazione di competenze, lavoro e affermazione delle capacità e dei progetti delle nuove generazioni, guardando non ai mercati locali, ma al contesto europeo e globale.
Conoscenza. E intraprendenza. Competenze. E mercato, come dicevamo all’inizio.
E’ necessaria, dunque, la scrittura di nuove mappe della conoscenza, della produzione e dei consumi, per riconsiderare scelte politiche, economiche e culturali sul “progresso” e sugli equilibri geografici, sociali, di genere e di generazione, anche nel Mezzogiorno.
La chiave da usare è quella della sostenibilità, ambientale e sociale. Con una profonda convinzione riformatrice: non si tratta di mettere in campo operazioni da green washing né aggiustamenti assistenziali. Ma di pensare a un nuovo corso politico ed economico, secondo i criteri di una “economia giusta”, circolare, civile (per riprendere la lezione del Papa, della migliore letteratura economica internazionale ma anche dei più sensibili protagonisti della finanza e dell’impresa).
Le imprese italiane hanno in sé risorse essenziali: la forza innovativa d’un dinamico capitale sociale e la profondità d’una cultura plasmata dall’umanesimo industriale che ha contraddistinto la storia economica del Paese. Una cultura in grado di riunire la consapevolezza storica d’una identità aperta e molteplice (il Mezzogiorno ne offre esempi illuminanti) e il futuro dei nostri assetti sociali e civili e, dunque, di definire gli orizzonti dell’“avvenire della memoria”. Un avvenire davvero “mediterraneo”.
Per parlare di Mezzogiorno si può fare leva su due parole. Conoscenza. E mercato. Evitare le vecchie cattive abitudini delle rivendicazioni “riparazioniste” (“…lo Stato che, dall’unificazione d’Italia in poi, ha umiliato ed emarginato il Sud ci deve dare…), le nostalgie neo-borboniche e le tentazioni assistenziali (il Reddito di cittadinanza come scorciatoia per trovare lavoro è solo l’ultima cattiva strada). E ragionare invece di investimenti produttivi sulle infrastrutture, a cominciare da quelle formative (scuole e università di qualità) e dalle reti digitali. E sostenere tutto ciò che serve per promuovere l’intraprendenza, la produttività, la competitività, mettendo le imprese in condizione di crescere ed esprimere le proprie caratteristiche essenziali: essere attori sociali positivi del benessere e del cambiamento.
Il Mezzogiorno, in sintesi, va ripensato come un’area economica fortemente integrata nell’Unione Europea e uno spazio dinamico nel ridisegno delle mappe di un Mediterraneo diventato strategico nelle relazioni geopolitiche e geoeconomiche internazionali (la guerra in Ucraina è l’ultimo, drammatico capitolo di una serie di cambiamenti di vasta portata).
Proprio le opportunità offerte dalle evoluzioni della “economia della conoscenza” e dell’“economia digitale”, con le implicazioni connesse alle straordinarie applicazioni dell’Intelligenza Artificiale a tutti i settori dell’industria, dei servizi e della cultura, innovando profondamente le dimensioni dello spazio e del tempo, mettono il Mezzogiorno in condizione di pensare non più tanto ai “ritardi di crescita da recuperare” quanto soprattutto alle occasioni da cogliere in termini di sviluppo. Uno sviluppo economico e civile, uno sviluppo sostenibile ambientale e sociale.
E’ un nuovo contesto, europeo e internazionale, che va ben compreso andando oltre gli sguardi angusti del localismo e del provincialismo clientelare. E che pone sfide inedite non solo a Bruxelles e a Roma e Milano, le due capitali italiane del potere politico e dell’economia innovativa, alla pubblica amministrazione e agli attori sociali, a cominciare dalle imprese, ma anche ai soggetti più moderni e intraprendenti del Sud.
Sono questi i temi risuonati al Forum “Verso Sud” organizzato, a metà maggio, a Sorrento, dalla ministra per il Mezzogiorno e la coesione territoriale Mara Carfagna (“In mille convegni, il Sud è stato definito ‘piattaforma logistica nel Mediterraneo’. E noi quella piattaforma oggi la realizziamo grazie a importanti investimenti nei porti – 1,2 miliardi – e grazie alla riforma e all’infrastrutturazione delle Zone Economiche Speciali, che sono il ‘cuore’ della nostra scommessa di sviluppo. Luoghi dove sarà finalmente conveniente, più facile, più rapido investire grazie a una burocrazia ridotta e a una tassazione agevolata”). E, alla fine della scorsa settimana, a Palermo, per “Med in Italy”, un incontro nazionale promosso dai Giovani Imprenditori di Confindustria presieduti da Riccardo Di Stefano. “Med” come Mediterraneo, appunto, in cui fare risaltare la centralità del nostro Mezzogiorno e su cui “investire e innovare”.
Una centralità, naturalmente, non solo geografica. Ma politica ed economica. In un mondo che sta ridisegnando le rotte degli scambi e le relazioni dei poteri, sotto la spinta degli eventi drammatici che stiamo vivendo (le conseguenze del Climate change, la pandemia da Covid 19 e la recessione, adesso la guerra in Ucraina che investe direttamente le responsabilità dell’Europa) accelerano la spinta verso un vero e proprio “cambio di paradigma” dei rapporti politici e dello sviluppo economico e sociale.
Serve, appunto, una rilettura critica del catalogo delle idee che hanno guidato le recenti stagioni della globalizzazione e dell’economia digitale e la progettazione di una “ri-globalizzazione selettiva” con processi di reshoring che accorcino le supply chain (la lunghezza le rende fragili e oramai poco efficienti) e le rilocalizzino nel cuore dell’Europa industriale, senza cedere a tentazioni protezioniste ma riqualificando e rilanciando tutto il sistema degli scambi internazionali in una condizione da fair trade, da commercio ben regolato.
Il ritorno a produrre in Europa e dunque in Italia mette in gioco proprio il Mezzogiorno. Da rendere attrattivo per risorse, investimenti, talenti. Come area di insediamenti produttivi high tech. Ma anche di servizi, infrastrutture logistiche (porti, “vie del mare”, interporti collegati alla modernizzazione ferroviaria e aeroportuale). E centri di conoscenza.
Il Mezzogiorno è territorio di intelligenze. Di capitale umano creativo. Di ragazze e ragazzi che sono costretti, da anni, a prendere la via dell’abbandono delle città e dei paesi d’origine per cercare altrove, da Milano alle grandi città dell’Europa e del mondo, migliori occasioni di lavoro e di vita. E di una diffusa imprenditorialità che, pur debole, resiste, nonostante tutti i condizionamenti negativi (una sub-cultura della clientela, un diffuso livello di inefficienza e corruzione della pubblica amministrazione, una tentazione comoda dell’ assistenzialismo, una caduta nelle strade del “sommerso” e nelle tante pieghe dell’economia criminale e delle pressioni di una mafia che “dà pane e morte”).
Ecco il punto chiave. Sono le ragazze e i ragazzi del Sud i destinatari essenziali di quel Recovery Fund chiamato appunto Next Generation Eu che guarda soprattutto all’Italia e al Mezzogiorno (cui sono destinati il 40% dei fondi nazionali, se sarà in grado di spenderli con progetti produttivi e riforme radicali). E le scuole e le università in cui hanno studiato sono dunque da riqualificare e rilanciare, liberandole anche dalla soffocanti baronie familiari che ne umiliano le qualità. E da fare crescere, in una relazione virtuosa di collaborazione con i migliori atenei d’Italia e d’Europa. E con il sistema delle imprese.
Gli investimenti di Apple e di altre aziende high tech a Napoli nel 2021 sono indicatori di una tendenza a valorizzare, nelle città meridionali, le intelligenze e le competenze locali. E, proprio nei giorni scorsi, altre notizie rilevanti arrivano da Pirelli in Puglia e da Bip in Sicilia. La Pirelli, venerdì, ha annunciato l’apertura di un Digital Solutions Center a Bari, in collaborazione con la Regione, l’università e il Politecnico pugliesi e integrato nella rete di servizi software internazionali del gruppo. E Bip (Business Integration Partners, una multinazionale milanese della consulenza, presieduta da Nino Lo Bianco, palermitano) ha presentato il progetto di un Centro di servizi digitali a Palermo, in raccordo con le altre 13 sedi Bip nel mondo. Due conferme rilevanti di come le nuove dimensioni della digital economy e dello smart working offrano straordinarie opportunità di crescita, valorizzazione di competenze, lavoro e affermazione delle capacità e dei progetti delle nuove generazioni, guardando non ai mercati locali, ma al contesto europeo e globale.
Conoscenza. E intraprendenza. Competenze. E mercato, come dicevamo all’inizio.
E’ necessaria, dunque, la scrittura di nuove mappe della conoscenza, della produzione e dei consumi, per riconsiderare scelte politiche, economiche e culturali sul “progresso” e sugli equilibri geografici, sociali, di genere e di generazione, anche nel Mezzogiorno.
La chiave da usare è quella della sostenibilità, ambientale e sociale. Con una profonda convinzione riformatrice: non si tratta di mettere in campo operazioni da green washing né aggiustamenti assistenziali. Ma di pensare a un nuovo corso politico ed economico, secondo i criteri di una “economia giusta”, circolare, civile (per riprendere la lezione del Papa, della migliore letteratura economica internazionale ma anche dei più sensibili protagonisti della finanza e dell’impresa).
Le imprese italiane hanno in sé risorse essenziali: la forza innovativa d’un dinamico capitale sociale e la profondità d’una cultura plasmata dall’umanesimo industriale che ha contraddistinto la storia economica del Paese. Una cultura in grado di riunire la consapevolezza storica d’una identità aperta e molteplice (il Mezzogiorno ne offre esempi illuminanti) e il futuro dei nostri assetti sociali e civili e, dunque, di definire gli orizzonti dell’“avvenire della memoria”. Un avvenire davvero “mediterraneo”.