Il benessere del lavoro è il benessere dell’impresa
Guardare al lavoro e alla produzione, ai loro luoghi, alle persone che li incarnano, appare essere sempre di più come un elemento fondante di un approccio diverso all’impresa e alla sua cultura. Il lavoro inteso come creatività e capacità manifatturiera, come iniziativa e innovatività, sembra essere una lente, fino ad oggi forse un po’ trascurata, attraverso la quale guardare come le imprese oggi – passata la sbornia dell’informatizzazione e della finanziarizzazione a tutti i costi -, riescono non solo a sopravvivere alla crisi ma a creare comunque ricchezza. E’ la cultura d’impresa che si fa cultura del lavoro, anzi che riallaccia fili in parte spezzati con quella visione del produrre che, fino a qualche tempo fa, era propria dei grandi imprenditori.
E’ importante allora capire come i manager possono guardare oggi al lavoro e, più in generale, al ruolo del cosiddetto “capitale umano” in azienda. Anche nelle realtà medio-piccole che, poi, sono per davvero quelle che costituiscono il succo della produzione industriale rapportandosi con le realtà più grandi. E’ stato questo l’obiettivo che ha mosso Lidia Galabova, (della Technical University of Sofia) e Linda McKie, (della Durham University), nel loro “The Five Fingers of My Hand”: Human Capital and Well-being in SMEs”, appena uscito su Personnel Review. Scopo più puntuale dello studio è quello di comprendere l’atteggiamento dei manager nei confronti del “capitale umano” e del benessere in azienda, intesi come fattori che incidono sui risultati dell’impresa stessa. Lo studio si basa sui dati raccolti attraverso 42 interviste semi-strutturate con i dirigenti di PMI di comparti in crescita nel settore dei servizi. La ricerca è stata condotta in tre paesi dell’Unione europea: Scozia (Regno Unito), Finlandia e Bulgaria.
Il risultato al quale le due ricercatrici arrivano è solo apparentemente banale. I dirigenti delle piccole e medie imprese sono naturalmente interessati alle competenze e all’esperienza come elementi chiave del “capitale umano”. Ma la volontà, la capacità di apprendere e l’entusiasmo “sono – viene spiegato nella ricerca -, spesso considerati più importanti”. Tutto, poi, confluisce in quel “benessere” che in molti casi riesce a fare la differenza fra un’azienda e un’altra.
“The Five Fingers of My Hand”: Human Capital and Well-being in SMEs
Lidia Galabova, Linda McKie
Personnel Review, vol. 42, 6, 2013.
Guardare al lavoro e alla produzione, ai loro luoghi, alle persone che li incarnano, appare essere sempre di più come un elemento fondante di un approccio diverso all’impresa e alla sua cultura. Il lavoro inteso come creatività e capacità manifatturiera, come iniziativa e innovatività, sembra essere una lente, fino ad oggi forse un po’ trascurata, attraverso la quale guardare come le imprese oggi – passata la sbornia dell’informatizzazione e della finanziarizzazione a tutti i costi -, riescono non solo a sopravvivere alla crisi ma a creare comunque ricchezza. E’ la cultura d’impresa che si fa cultura del lavoro, anzi che riallaccia fili in parte spezzati con quella visione del produrre che, fino a qualche tempo fa, era propria dei grandi imprenditori.
E’ importante allora capire come i manager possono guardare oggi al lavoro e, più in generale, al ruolo del cosiddetto “capitale umano” in azienda. Anche nelle realtà medio-piccole che, poi, sono per davvero quelle che costituiscono il succo della produzione industriale rapportandosi con le realtà più grandi. E’ stato questo l’obiettivo che ha mosso Lidia Galabova, (della Technical University of Sofia) e Linda McKie, (della Durham University), nel loro “The Five Fingers of My Hand”: Human Capital and Well-being in SMEs”, appena uscito su Personnel Review. Scopo più puntuale dello studio è quello di comprendere l’atteggiamento dei manager nei confronti del “capitale umano” e del benessere in azienda, intesi come fattori che incidono sui risultati dell’impresa stessa. Lo studio si basa sui dati raccolti attraverso 42 interviste semi-strutturate con i dirigenti di PMI di comparti in crescita nel settore dei servizi. La ricerca è stata condotta in tre paesi dell’Unione europea: Scozia (Regno Unito), Finlandia e Bulgaria.
Il risultato al quale le due ricercatrici arrivano è solo apparentemente banale. I dirigenti delle piccole e medie imprese sono naturalmente interessati alle competenze e all’esperienza come elementi chiave del “capitale umano”. Ma la volontà, la capacità di apprendere e l’entusiasmo “sono – viene spiegato nella ricerca -, spesso considerati più importanti”. Tutto, poi, confluisce in quel “benessere” che in molti casi riesce a fare la differenza fra un’azienda e un’altra.
“The Five Fingers of My Hand”: Human Capital and Well-being in SMEs
Lidia Galabova, Linda McKie
Personnel Review, vol. 42, 6, 2013.