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Il “capitale territoriale” del Centro Nord vale quello tedesco, ma senza industria il Mezzogiorno aggrava il degrado verso la Grecia

Dici Europa, come un tutt’uno, un grande spazio politico ed economico con scambi aperti, regole comuni, un’unica moneta. Ma poi guardi meglio alle sue diverse aree, al di là dei confini nazionali, e scopri tante, forse troppe differenze economiche e sociali. Lo rileva, tra gli altri, Aldo Bonomi, in un recente “Microcosmo” su “Il Sole24Ore”, scrivendo che “il capitale territoriale del Centro Nord italiano vale quello tedesco”, mentre invece “il Mezzogiorno si avvicina alla Grecia”. Divari crescenti. Che pongono sempre maggiori problemi non solo economici, ma anche di coesione sociale, di fiducia e, perché no? di tenuta delle stesse prospettive di solida e ben vissuta democrazia.

Cos’è il “capitale territoriale”? Il concetto, introdotto dall’Ocse, riguarda tutti gli elementi che formano la ricchezza di un territorio, con una visione più ampia del Pil e cioè, ricorda Bonomi, “l’homo faber, le imprese, il capitale produttivo, la produttività del lavoro nell’industria”, i livelli e la qualità della formazione, il tasso di occupazione femminile, il capitale umano e il capitale sociale, cioè. La sua analisi mostra “un’interessante geografia territoriale dell’Europa dell’euro”: in cima, la Germania, in mezzo la Francia, in coda Portogallo, Italia, Spagna e Grecia, il Mediterraneo, cioè. Ma, ecco il dato rilevante, Lombardia ed Emilia Romagna tengono il passo con la Germania, il Sud italiano invece sprofonda: “Appaiono due Italie, una tedesca e una greca”, una dell’industria e dei servizi innovativi, delle buone università e dei collegamenti con il cuore più attivo dell’Europa, l’altra sempre più marginale, desolata.

Sono dimensioni già note, in gran parte. Lo documentano da tempo le statistiche sulla “qualità della vita” nelle province italiane, pubblicate ogni anno da “Il Sole24Ore”, che vedono in testa le aree più industrializzate del Centro Nord (industria, ricchezza, benessere…) ma anche le “Mappe del tesoro” elaborate da Roberto Cartocci, politologo dell’Università di Bologna (suo un interessante “Atlante del capitale sociale” pubblicato da Il Mulino nel 2007) che mostrano le relazioni tra dinamismo economico legato all’industria, coesione sociale e diffusione della partecipazione e delle “virtù civiche”) o, ancora, le indagini di Symbola sulla relazione positiva tra territori produttivi del “bello e ben fatto” e benessere diffuso. In sintesi: alla dinamicità del tessuto economico delle imprese manifatturiere corrisponde un alto livello dei redditi e della qualità della vita, ma anche un’importante consapevolezza della responsabilità dell’essere un protagonista sociale attivo, un imprenditore, un lavoratore qualificato e apprezzato, un ricercatore, un cittadino conscio del legame tra cultura, industria, sviluppo, cittadinanza (ne abbiamo parlato molte volte, in questo blog, negli ultimi anni).

Adesso le analisi di Bonomi aggiungono nuove considerazioni. Ponendo questioni economiche, legate alle scelte di politica industriale Ue. Ma anche questioni sociali (lavorare con politiche territoriali europee di coesione). Sfide agli Stati nazione (usare bene i fondi Ue, che l’Italia utilizza poco e male e soprattutto le regioni del Sud ignorano o sprecano; ma anche riformare per tagliare radicalmente la spesa pubblica improduttiva e clientelare e investire massicciamente su industria, ricerca, formazione). E appelli all’imprenditorialità, anche nel Mezzogiorno. Senza impresa, infatti, senza buona cultura d’impresa, non ci sono né ricchezza, né lavoro, né crescita economica e sociale. E il capitale territoriale del Sud non può che continuare a degradarsi.

Dici Europa, come un tutt’uno, un grande spazio politico ed economico con scambi aperti, regole comuni, un’unica moneta. Ma poi guardi meglio alle sue diverse aree, al di là dei confini nazionali, e scopri tante, forse troppe differenze economiche e sociali. Lo rileva, tra gli altri, Aldo Bonomi, in un recente “Microcosmo” su “Il Sole24Ore”, scrivendo che “il capitale territoriale del Centro Nord italiano vale quello tedesco”, mentre invece “il Mezzogiorno si avvicina alla Grecia”. Divari crescenti. Che pongono sempre maggiori problemi non solo economici, ma anche di coesione sociale, di fiducia e, perché no? di tenuta delle stesse prospettive di solida e ben vissuta democrazia.

Cos’è il “capitale territoriale”? Il concetto, introdotto dall’Ocse, riguarda tutti gli elementi che formano la ricchezza di un territorio, con una visione più ampia del Pil e cioè, ricorda Bonomi, “l’homo faber, le imprese, il capitale produttivo, la produttività del lavoro nell’industria”, i livelli e la qualità della formazione, il tasso di occupazione femminile, il capitale umano e il capitale sociale, cioè. La sua analisi mostra “un’interessante geografia territoriale dell’Europa dell’euro”: in cima, la Germania, in mezzo la Francia, in coda Portogallo, Italia, Spagna e Grecia, il Mediterraneo, cioè. Ma, ecco il dato rilevante, Lombardia ed Emilia Romagna tengono il passo con la Germania, il Sud italiano invece sprofonda: “Appaiono due Italie, una tedesca e una greca”, una dell’industria e dei servizi innovativi, delle buone università e dei collegamenti con il cuore più attivo dell’Europa, l’altra sempre più marginale, desolata.

Sono dimensioni già note, in gran parte. Lo documentano da tempo le statistiche sulla “qualità della vita” nelle province italiane, pubblicate ogni anno da “Il Sole24Ore”, che vedono in testa le aree più industrializzate del Centro Nord (industria, ricchezza, benessere…) ma anche le “Mappe del tesoro” elaborate da Roberto Cartocci, politologo dell’Università di Bologna (suo un interessante “Atlante del capitale sociale” pubblicato da Il Mulino nel 2007) che mostrano le relazioni tra dinamismo economico legato all’industria, coesione sociale e diffusione della partecipazione e delle “virtù civiche”) o, ancora, le indagini di Symbola sulla relazione positiva tra territori produttivi del “bello e ben fatto” e benessere diffuso. In sintesi: alla dinamicità del tessuto economico delle imprese manifatturiere corrisponde un alto livello dei redditi e della qualità della vita, ma anche un’importante consapevolezza della responsabilità dell’essere un protagonista sociale attivo, un imprenditore, un lavoratore qualificato e apprezzato, un ricercatore, un cittadino conscio del legame tra cultura, industria, sviluppo, cittadinanza (ne abbiamo parlato molte volte, in questo blog, negli ultimi anni).

Adesso le analisi di Bonomi aggiungono nuove considerazioni. Ponendo questioni economiche, legate alle scelte di politica industriale Ue. Ma anche questioni sociali (lavorare con politiche territoriali europee di coesione). Sfide agli Stati nazione (usare bene i fondi Ue, che l’Italia utilizza poco e male e soprattutto le regioni del Sud ignorano o sprecano; ma anche riformare per tagliare radicalmente la spesa pubblica improduttiva e clientelare e investire massicciamente su industria, ricerca, formazione). E appelli all’imprenditorialità, anche nel Mezzogiorno. Senza impresa, infatti, senza buona cultura d’impresa, non ci sono né ricchezza, né lavoro, né crescita economica e sociale. E il capitale territoriale del Sud non può che continuare a degradarsi.

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