Il Codice di Leonardo in mostra a Washington, ambasciatore dell’industria italiana di qualità
La forza delle imprese italiane sui mercati globali sta nella loro “cultura politecnica”, nella capacità cioè di fondare la competitività dei loro prodotti su una miscela originale di saperi umanistici e conoscenze scientifiche: gusto della bellezza e sofisticata innovazione tecnologica, qualità e sostenibilità ambientale e sociale, applicazioni della digital economy e senso della misura (il “saper fare su misura” che riguarda non solo la moda e l’arredamento, ma soprattutto gli impianti industriali e le macchine utensili, la robotica e la componentistica aerospaziale, le produzioni di lusso dei cantieri navali e l’automotive, la chimica fine e la farmaceutica di precisione, i materiali speciali e la meccatronica, etc.). I dati dell’export lo confermano: abbiamo chiuso il ’22 con 650 miliardi di valore, un record e nel ’23 ci avviamo ad avere un’industria manifatturiera in cui per la prima volta la domanda estera sorpasserà quella interna e rappresenterà più della metà del giro d’affari complessivo (“Affari&Finanza” de “la Repubblica”, 12 giugno, su previsioni di Prometeia e Servizio Studi Intesa San Paolo).
Una “cultura politecnica” progettuale e produttiva, dunque. O anche, per dirla diversamente, un “umanesimo industriale” da rafforzare e rilanciare.
Sta in questo quadro la scelta, fatta da Confindustria, di promuovere l’esposizione di 12 tavole del “Codice Atlantico” di Leonardo da Vinci a Washington, alla Martin Luther King Memorial Library, dal 20 giugno al 20 agosto, con una mostra intitolata “Immaginando il futuro. Leonardo, l’anima del genio italiano”, curata da monsignor Alberto Rocca, direttore della Pinacoteca Ambrosiana di Milano (dov’è conservato, appunto, il Codice leonardesco) e sostenuta da grandi imprese di rilievo internazionale (Intesa San Paolo, Ita, 24Ore Cultura, Dolce e Gabbana, Dompé, Pirelli e Trenitalia).
Diplomazia culturale e straordinaria riprova di competenza tecnica (con i disegni dedicati alle macchine, agli ingranaggi, all’arte del volo). Senso dell’equilibrio e della bellezza. E testimonianza di un ingegno che sorregge nel tempo l’intraprendenza. Cultura del progetto. E ingegneria d’avanguardia. Memoria d’una spinta creativa quanto mai visionaria eppur fertile di cambiamenti reali (le opere delle chiuse e dei canali di trasporto, secondo appunto i disegni di Leonardo). E attitudine all’innovazione. Una straordinaria capacità di scrivere “una storia al futuro”. E dunque un insegnamento aperto al resto del mondo: il genio d’origine italiano ha un sapore universale. E l’impresa sa farsene ancora una volta interprete. Con la “leva di una cultura che sa creare ponti”, come sostiene il presidente di Confindustria Carlo Bonomi (“Domenica” de “Il Sole24Ore”, 11 giugno).
Un ponte è anche l’apertura, contestuale all’inaugurazione della mostra, di una sede di Confindustria a Washington, che arricchisce la serie delle sedi estere, da Bruxelles a Singapore e ad altre in corso di definizione. “Diplomazia di sistema”, dicono in Confindustria. Strutture di sostegno all’impegno delle nostre imprese sui mercati internazionali.
Sono tutte iniziative e valutazioni strategiche da tenere ben presenti, quando si parla di valorizzazione del “made in Italy” e di scelte di politica industriale che potenzino il vero cardine di sviluppo del sistema Paese, in prospettiva europea e internazionale: l’industria di qualità. Un’industria che è già stata protagonista della sorprendente ripresa post Covid del ‘21/’22 (una crescita complessiva del Pil di quasi l’11%) e che in questo primo periodo del ’23 mostra però segni di difficoltà, come conseguenza della recessione tedesca, del costo dell’energia e delle conseguenze delle tensioni internazionali.
“La manifattura è a rischio competitività”, avverte infatti il Centro Studi Confindustria (10 giugno), rilevando anche la scarsa produttività generale italiana che mette in difficoltà le imprese, il carico del fisco, gli scarsi margini per i capitali investiti, le difficoltà a reperire mano d’opera qualificata, etc.
C’è un’industria, comunque, da rilanciare, usando con intelligenza ed efficacia i fondi del Pnrr per finanziare la twin transition ambientale e digitale e le infrastrutture materiali e immateriali necessarie alla nostra competitività (dalle reti high tech alla formazione indispensabile per “l’economia della conoscenza” e per l’utilizzo degli studenti dell’Intelligenza Artificiale).
Viviamo, infatti, una difficile stagione di modifica delle ragioni di scambio e di “ri-globalizzazione selettiva”, una vera e propria “riconfigurazione dell’economia globale per gruppi integrati di paesi affini, coalizioni in competizione tra loro per l’egemonia economica, politica e culturale” (la definizione è sul sito de “lavoce.info”). Di ridefinizione delle catene del valore, più corte ed efficienti rispetto ai mercati di sbocco dei prodotti finiti (il re-shoring) ma anche di ristrutturazione degli scambi in blocchi che condividono gli stessi valori: l’economia di mercato, la democrazia economica e politica (il friends-shoring, caro soprattutto all’amministrazione Usa).
Proprio in un contesto così competitivo e selettivo, è interesse dell’economia e dell’impresa italiana qualificare i prodotti e i servizi, tenendo aperti i canali commerciali con la Cina, l’India, il Brasile e gli altri paesi del cosiddetto Global South (guardando con estrema attenzione anche all’Africa) ma anche puntando sulle aree in cui più si apprezzano le nostre produzioni a maggior valore aggiunto: gli altri paesi della Ue e gli Usa, usando dunque con intelligenza le opportunità offerte dal “corridoio Nafta” di libero scambio (Usa, Canada, Mexico, dove parecchie imprese italiane ed europee hanno aperto stabilimenti con alto livello produttivo).
Sono tempi, insomma, in cui le scelte strategiche degli insediamenti (in chiave local for local, di prossimità ai mercati, cioè) hanno bisogno di politiche di sostegno e di accompagnamento. A cominciare da quelle Ue.
Ecco perché mettere in gioco tutti gli strumenti necessari allo sviluppo. Visioni d’impresa. Investimenti per l’innovazione. Sguardo internazionale sulla base di robuste radici territoriali, su filiere e piattaforme produttive. E diplomazia. Economica e culturale. Leonardo, appunto, ne è ottimo ambasciatore.
La forza delle imprese italiane sui mercati globali sta nella loro “cultura politecnica”, nella capacità cioè di fondare la competitività dei loro prodotti su una miscela originale di saperi umanistici e conoscenze scientifiche: gusto della bellezza e sofisticata innovazione tecnologica, qualità e sostenibilità ambientale e sociale, applicazioni della digital economy e senso della misura (il “saper fare su misura” che riguarda non solo la moda e l’arredamento, ma soprattutto gli impianti industriali e le macchine utensili, la robotica e la componentistica aerospaziale, le produzioni di lusso dei cantieri navali e l’automotive, la chimica fine e la farmaceutica di precisione, i materiali speciali e la meccatronica, etc.). I dati dell’export lo confermano: abbiamo chiuso il ’22 con 650 miliardi di valore, un record e nel ’23 ci avviamo ad avere un’industria manifatturiera in cui per la prima volta la domanda estera sorpasserà quella interna e rappresenterà più della metà del giro d’affari complessivo (“Affari&Finanza” de “la Repubblica”, 12 giugno, su previsioni di Prometeia e Servizio Studi Intesa San Paolo).
Una “cultura politecnica” progettuale e produttiva, dunque. O anche, per dirla diversamente, un “umanesimo industriale” da rafforzare e rilanciare.
Sta in questo quadro la scelta, fatta da Confindustria, di promuovere l’esposizione di 12 tavole del “Codice Atlantico” di Leonardo da Vinci a Washington, alla Martin Luther King Memorial Library, dal 20 giugno al 20 agosto, con una mostra intitolata “Immaginando il futuro. Leonardo, l’anima del genio italiano”, curata da monsignor Alberto Rocca, direttore della Pinacoteca Ambrosiana di Milano (dov’è conservato, appunto, il Codice leonardesco) e sostenuta da grandi imprese di rilievo internazionale (Intesa San Paolo, Ita, 24Ore Cultura, Dolce e Gabbana, Dompé, Pirelli e Trenitalia).
Diplomazia culturale e straordinaria riprova di competenza tecnica (con i disegni dedicati alle macchine, agli ingranaggi, all’arte del volo). Senso dell’equilibrio e della bellezza. E testimonianza di un ingegno che sorregge nel tempo l’intraprendenza. Cultura del progetto. E ingegneria d’avanguardia. Memoria d’una spinta creativa quanto mai visionaria eppur fertile di cambiamenti reali (le opere delle chiuse e dei canali di trasporto, secondo appunto i disegni di Leonardo). E attitudine all’innovazione. Una straordinaria capacità di scrivere “una storia al futuro”. E dunque un insegnamento aperto al resto del mondo: il genio d’origine italiano ha un sapore universale. E l’impresa sa farsene ancora una volta interprete. Con la “leva di una cultura che sa creare ponti”, come sostiene il presidente di Confindustria Carlo Bonomi (“Domenica” de “Il Sole24Ore”, 11 giugno).
Un ponte è anche l’apertura, contestuale all’inaugurazione della mostra, di una sede di Confindustria a Washington, che arricchisce la serie delle sedi estere, da Bruxelles a Singapore e ad altre in corso di definizione. “Diplomazia di sistema”, dicono in Confindustria. Strutture di sostegno all’impegno delle nostre imprese sui mercati internazionali.
Sono tutte iniziative e valutazioni strategiche da tenere ben presenti, quando si parla di valorizzazione del “made in Italy” e di scelte di politica industriale che potenzino il vero cardine di sviluppo del sistema Paese, in prospettiva europea e internazionale: l’industria di qualità. Un’industria che è già stata protagonista della sorprendente ripresa post Covid del ‘21/’22 (una crescita complessiva del Pil di quasi l’11%) e che in questo primo periodo del ’23 mostra però segni di difficoltà, come conseguenza della recessione tedesca, del costo dell’energia e delle conseguenze delle tensioni internazionali.
“La manifattura è a rischio competitività”, avverte infatti il Centro Studi Confindustria (10 giugno), rilevando anche la scarsa produttività generale italiana che mette in difficoltà le imprese, il carico del fisco, gli scarsi margini per i capitali investiti, le difficoltà a reperire mano d’opera qualificata, etc.
C’è un’industria, comunque, da rilanciare, usando con intelligenza ed efficacia i fondi del Pnrr per finanziare la twin transition ambientale e digitale e le infrastrutture materiali e immateriali necessarie alla nostra competitività (dalle reti high tech alla formazione indispensabile per “l’economia della conoscenza” e per l’utilizzo degli studenti dell’Intelligenza Artificiale).
Viviamo, infatti, una difficile stagione di modifica delle ragioni di scambio e di “ri-globalizzazione selettiva”, una vera e propria “riconfigurazione dell’economia globale per gruppi integrati di paesi affini, coalizioni in competizione tra loro per l’egemonia economica, politica e culturale” (la definizione è sul sito de “lavoce.info”). Di ridefinizione delle catene del valore, più corte ed efficienti rispetto ai mercati di sbocco dei prodotti finiti (il re-shoring) ma anche di ristrutturazione degli scambi in blocchi che condividono gli stessi valori: l’economia di mercato, la democrazia economica e politica (il friends-shoring, caro soprattutto all’amministrazione Usa).
Proprio in un contesto così competitivo e selettivo, è interesse dell’economia e dell’impresa italiana qualificare i prodotti e i servizi, tenendo aperti i canali commerciali con la Cina, l’India, il Brasile e gli altri paesi del cosiddetto Global South (guardando con estrema attenzione anche all’Africa) ma anche puntando sulle aree in cui più si apprezzano le nostre produzioni a maggior valore aggiunto: gli altri paesi della Ue e gli Usa, usando dunque con intelligenza le opportunità offerte dal “corridoio Nafta” di libero scambio (Usa, Canada, Mexico, dove parecchie imprese italiane ed europee hanno aperto stabilimenti con alto livello produttivo).
Sono tempi, insomma, in cui le scelte strategiche degli insediamenti (in chiave local for local, di prossimità ai mercati, cioè) hanno bisogno di politiche di sostegno e di accompagnamento. A cominciare da quelle Ue.
Ecco perché mettere in gioco tutti gli strumenti necessari allo sviluppo. Visioni d’impresa. Investimenti per l’innovazione. Sguardo internazionale sulla base di robuste radici territoriali, su filiere e piattaforme produttive. E diplomazia. Economica e culturale. Leonardo, appunto, ne è ottimo ambasciatore.