Il cuore innovativo dell’industria Ue batte tra Italia e Germania
L’industria resta cardine dello sviluppo, nonostante la crisi faccia ancora sentire i suoi effetti. E il cuore industriale europeo batte soprattutto in un’area che comprende il Nord dell’Italia e l’Ovest della Germania, con una cultura d’impresa incardinata sui valori dell’innovazione, della ricerca delle migliori tecnologie produttive, della qualità d’una manifattura d’avanguardia internazionale. Metodo tedesco, creatività italiana, come motore di crescita per tutta la Ue.
Il giudizio emerge con chiarezza da una indagine della Fondazione Edison e di Confindustria Bergamo sulle province manifatturiere europee (quelle che hanno una quota di valore aggiunto e di occupati nell’industria superiori al 30%, un’occupazione industriale di almeno 20mila addetti e un valore aggiunto per addetto superiore ai 50mila euro) e cioè su 53 province sulle 1300 di tutta la Ue. Sono quasi tutte italiane e tedesche. E se si guarda alle prime 23, in testa ci sono Brescia e Bergamo, poi Wolfsburg (la patria della Wolkswagen) e poi nell’ordine Vicenza, Boblingen (nei pressi di Stoccarda, area della Daimler), Monza e Brianza, Treviso, Modena, Ingolstadt (Audi), Ludwigshafen (sede della chimica Basf), Varese, etc. 10 province italiane e 13 tedesche, non contando, in questa classifica, le città metropolitane (Milano, Monaco, Francoforte) che fanno da hub di servizi (finanza, logistica, creatività, attività commerciali, formazione, ricerca, etc.) per una manifattura evoluta da “economia della conoscenza).
“L’industria ha un cuore italo-tedesco“, ha commentato “Il Sole24Ore” pubblicando la ricerca alla vigilia del vertice del 22 e 23 gennaio tra il premier Renzi e la Cancelliera Merkel a Firenze.
Un patrimonio di cultura manifatturiera “politecnica” da valorizzare, rafforzare, usare come leva di crescita di un’Europa che conferma l’obiettivo di portare, entra il 2020, il peso della manifattura sul Pil al 20%. Per l’Italia, il cuore di questa capacità industriale è la metalmeccanica, seguita da chimica d’avanguardia, gomma-plastica, arredamento e componentistica, per la Germania è l’industria dell’auto (con il supporto di una qualificatissima supply chain italiana).
La Ue sta ragionando su misure da “Industrial compact“. E anche i recenti provvedimenti del governo Renzi sulle piccole e medie imprese innovative (vantaggi fiscali, credito più facile, finanziamento più robusto alla legge Sabatini per chi rinnova macchinari e attrezzature produttive) vanno in questa direzione.
Industria come riscatto e strumento anticrisi, insomma. Con una Ue che finalmente stabilisce priorità di sviluppo e strategie. Una buona strada.
L’industria resta cardine dello sviluppo, nonostante la crisi faccia ancora sentire i suoi effetti. E il cuore industriale europeo batte soprattutto in un’area che comprende il Nord dell’Italia e l’Ovest della Germania, con una cultura d’impresa incardinata sui valori dell’innovazione, della ricerca delle migliori tecnologie produttive, della qualità d’una manifattura d’avanguardia internazionale. Metodo tedesco, creatività italiana, come motore di crescita per tutta la Ue.
Il giudizio emerge con chiarezza da una indagine della Fondazione Edison e di Confindustria Bergamo sulle province manifatturiere europee (quelle che hanno una quota di valore aggiunto e di occupati nell’industria superiori al 30%, un’occupazione industriale di almeno 20mila addetti e un valore aggiunto per addetto superiore ai 50mila euro) e cioè su 53 province sulle 1300 di tutta la Ue. Sono quasi tutte italiane e tedesche. E se si guarda alle prime 23, in testa ci sono Brescia e Bergamo, poi Wolfsburg (la patria della Wolkswagen) e poi nell’ordine Vicenza, Boblingen (nei pressi di Stoccarda, area della Daimler), Monza e Brianza, Treviso, Modena, Ingolstadt (Audi), Ludwigshafen (sede della chimica Basf), Varese, etc. 10 province italiane e 13 tedesche, non contando, in questa classifica, le città metropolitane (Milano, Monaco, Francoforte) che fanno da hub di servizi (finanza, logistica, creatività, attività commerciali, formazione, ricerca, etc.) per una manifattura evoluta da “economia della conoscenza).
“L’industria ha un cuore italo-tedesco“, ha commentato “Il Sole24Ore” pubblicando la ricerca alla vigilia del vertice del 22 e 23 gennaio tra il premier Renzi e la Cancelliera Merkel a Firenze.
Un patrimonio di cultura manifatturiera “politecnica” da valorizzare, rafforzare, usare come leva di crescita di un’Europa che conferma l’obiettivo di portare, entra il 2020, il peso della manifattura sul Pil al 20%. Per l’Italia, il cuore di questa capacità industriale è la metalmeccanica, seguita da chimica d’avanguardia, gomma-plastica, arredamento e componentistica, per la Germania è l’industria dell’auto (con il supporto di una qualificatissima supply chain italiana).
La Ue sta ragionando su misure da “Industrial compact“. E anche i recenti provvedimenti del governo Renzi sulle piccole e medie imprese innovative (vantaggi fiscali, credito più facile, finanziamento più robusto alla legge Sabatini per chi rinnova macchinari e attrezzature produttive) vanno in questa direzione.
Industria come riscatto e strumento anticrisi, insomma. Con una Ue che finalmente stabilisce priorità di sviluppo e strategie. Una buona strada.