Il futuro della fabbrica: un “libro bianco” di Assolombarda tra crisi congiunturali e strategie da “digital green economy”
Come si costruisce un buon “futuro della fabbrica”, definendo strategie di sviluppo proprio in tempi di crisi e cambiamenti? Partiamo dalla crisi e cioè dai dati congiunturali che dicono d’una forte frenata del fatturato dell’industria in Italia, con un calo dello 0,3% nel 2019 e una allarmante contrazione degli ordini, -1,9%.
E’ il primo calo dal 2015, segno d’una difficoltà generale di tutto il sistema manifatturiero, eccezion fatta per pochissimi settori (tessile, farmaceutico e alimentare) e con condizioni allarmanti per automotive, meccanica e meccatronica. L’export è in marcata flessione, “non corre più”, come titola “Il Sole24Ore” (22 febbraio). La locomotiva industriale, insomma, s’è fermata. L’Istat, con i dati diffusi venerdì 21 febbraio, certifica in base d’anno quello che già emergeva dalle indicazioni dei territori manifatturieri più forti fin dall’autunno scorso, dalla Lombardia (con allarmi dalle zone a forte concentrazione industriale della Brianza e di Brescia) al Nord Est. E tutto fa temere che anche il 2020 sarà un anno difficile (come testimonia appunto la caduta degli ordini). Le tensioni commerciali internazionali (dalla guerra dei dazi Usa-Cina alle mosse della Casa Bianca di Trump contro l’Europa) ne sono una delle cause determinanti.
Su questa situazione già difficile si abbattono le notizie sul “coronavirus”, con gli effetti pesantemente negativi su tutta l’economia mondiale, a cominciare da quella cinese (il Fondo monetario internazionale prevede come minimo una riduzione della crescita al 3,2%, con una caduta dello 0,1% nel 2020 e dello 0,4% per la Cina, aggiungendo comunque che potrebbe andare anche peggio, se il contagio non fosse tempestivamente frenato e bloccato).
Pure l’economia italiana, naturalmente, ne risente, data l’attuale diffusione del virus soprattutto in Lombardia e Veneto, le zone produttive più dinamiche (valgono il 31% del Pil nazionale, il 40% dell’export): parecchi economisti azzardano la previsione di una recessione tra il – 0.5% e il – 1%. Vedremo meglio, nel tempo, l’effettiva consistenza delle preoccupazioni di crisi di lunga durata.
Un fatto è certo: in momenti di allarmante fragilità e di così evidenti tensioni economiche e sociali, oltre alle tempestive misure congiunturali per affrontare l’emergenza sanitaria e le sue conseguenze sull’economia, è necessario elaborare pensieri forti, di lungo periodo, avere lo sguardo di prospettiva, rafforzare quel vero e proprio “cambio di paradigma” economico per rilanciare qualità dello sviluppo e quantità della crescita economica: dall’emergenza alla ripresa.
Che pensieri? Se ne possono ritrovare nel Libro Bianco “Il futuro della fabbrica”, preparato da Assolombarda (dopo quelli su lavoro, fisco, credito, energia) e presentato nei giorni scorsi, durante un Forum Ansa, da Alberto Dossi, vicepresidente di Assolombarda per le politiche industriali e da Ferruccio Resta, rettore del Politecnico di Milano (partner scientifico della ricerca) oltre che da chi scrive questo blog.
Il primo punto è la riconferma d’una consapevolezza chiara in ambienti economici ma purtroppo non nel mondo politico né in ambienti di governo: “Il manifatturiero italiano è fonte di vantaggio competitivo per l’intero sistema Paese”, leva di costruzione di lavoro, ricchezza diffusa, cambiamento, miglioramento sociale. E’ necessario dunque difendere la nostra capacità industriale, costruire un vero e proprio “Piano di politica industriale nazionale”, in un dialogo stretto tra decisori politici e attori sociali, che ne hanno competenze e conoscenze, secondo una “cultura dal cambiamento” costruita su innovazione, ricerca, formazione.
Siamo di fronte a sfide epocali: le trasformazioni digitali che investono economia e società, le questioni non solo produttive ma anche etiche e culturali poste dalla diffusione dell’Intelligenza Artificiale (ne abbiamo parlato a lungo nel blog della scorsa settimana), i grandi temi della sostenibilità ambientale e sociale, per affrontare le allarmanti alterazioni del clima ma anche le sempre meno tollerabili diseguaglianze sociali, di genere, di opportunità, di generazioni.
L’impresa è al centro di queste sfide. Ne è attore di primo piano. E nel “Libro Bianco” non mancano le indicazioni economiche, politiche e culturali per vivere questa intensa stagione con grande senso di responsabilità, con lo sguardo lungo e ambizioso di chi vuole costruire un futuro migliore. L’impresa è un grande “ascensore sociale”. Bisogna continuare a farla funzionare.
Come? “La persona è al centro della nuova fabbrica”, si sostiene. Conoscenze, dunque, con l’attenzione per “chi sa e sa fare”, un valore economico e sociale fondamentale, in tempi di sconsiderato disprezzo, anche in ambienti politici, per le competenze. Rispetto per la sicurezza, sia nei processi di lavoro che nella dimensione della cybersecurity. Qualità della vita e del lavoro. Formazione di lungo periodo, proprio per poter governare i processi di cambiamento. Con un’attenzione particolare per i giovani, da rendere consapevoli del fascino della fabbrica nella stagione digitale e da coinvolgere nell’attività produttiva.
Per dirla in sintesi, l’orizzonte è quello di una Digital Green Economy, che consideri la sostenibilità come fondamentale asset competitivo.
Leadership forti di valori e conoscenze, dunque. Impegno a muoversi secondo criteri da data driven factory, usando proprio la crescente mole di dati disponibili come fattore produttivo, sempre in termini di qualità, produttività, competitività. E flessibilità culturale e scientifica per capire e indirizzare quei dati verso un radicale miglioramento delle nostre manifatture. Le imprese italiane, d’altronde, sono sempre più “nodi” di una rete, di un “ecosistema produttivo”, di una catena di relazioni che consente loro di tenere testa, anche quando piccole e medie, alle radicali trasformazioni internazionali.
Cosa serve, dunque? Il Libro Bianco insiste sulla necessità di “promuovere l’innovazione del Sistema Paese”. Non si può immaginare, infatti, che le nostre imprese possano reggere da sole la sfida dell’innovazione e della competitività nell’economia digital se il resto dell’Italia resta fermo. Ecco dunque l’importanza di una strategia per lo sviluppo, che investa sull’adeguamento delle infrastrutture, materiali e immateriali, tecnologiche e sociali (la scuola, in primo piano), sul “supporto alla interoperabilità e all’integrazione degli ecosistemi e delle filiere”, su un contesto normativo “efficace, stabile e chiaro”, su “piani pluriennali di politica industriale a supporto dell’azienda del futuro”.
Le imprese, anche in tempi difficili, di tensioni, crisi e metamorfosi, stanno facendo la loro parte. Non chiedono contributi, ma chiarezza d’orizzonte, per poter continuare a investire e crescere. Una sfida culturale e sociale, dunque. Che rivendica scelte politiche conseguenti. Nell’interesse – insiste Assolombarda – di tutto il sistema Italia.
Come si costruisce un buon “futuro della fabbrica”, definendo strategie di sviluppo proprio in tempi di crisi e cambiamenti? Partiamo dalla crisi e cioè dai dati congiunturali che dicono d’una forte frenata del fatturato dell’industria in Italia, con un calo dello 0,3% nel 2019 e una allarmante contrazione degli ordini, -1,9%.
E’ il primo calo dal 2015, segno d’una difficoltà generale di tutto il sistema manifatturiero, eccezion fatta per pochissimi settori (tessile, farmaceutico e alimentare) e con condizioni allarmanti per automotive, meccanica e meccatronica. L’export è in marcata flessione, “non corre più”, come titola “Il Sole24Ore” (22 febbraio). La locomotiva industriale, insomma, s’è fermata. L’Istat, con i dati diffusi venerdì 21 febbraio, certifica in base d’anno quello che già emergeva dalle indicazioni dei territori manifatturieri più forti fin dall’autunno scorso, dalla Lombardia (con allarmi dalle zone a forte concentrazione industriale della Brianza e di Brescia) al Nord Est. E tutto fa temere che anche il 2020 sarà un anno difficile (come testimonia appunto la caduta degli ordini). Le tensioni commerciali internazionali (dalla guerra dei dazi Usa-Cina alle mosse della Casa Bianca di Trump contro l’Europa) ne sono una delle cause determinanti.
Su questa situazione già difficile si abbattono le notizie sul “coronavirus”, con gli effetti pesantemente negativi su tutta l’economia mondiale, a cominciare da quella cinese (il Fondo monetario internazionale prevede come minimo una riduzione della crescita al 3,2%, con una caduta dello 0,1% nel 2020 e dello 0,4% per la Cina, aggiungendo comunque che potrebbe andare anche peggio, se il contagio non fosse tempestivamente frenato e bloccato).
Pure l’economia italiana, naturalmente, ne risente, data l’attuale diffusione del virus soprattutto in Lombardia e Veneto, le zone produttive più dinamiche (valgono il 31% del Pil nazionale, il 40% dell’export): parecchi economisti azzardano la previsione di una recessione tra il – 0.5% e il – 1%. Vedremo meglio, nel tempo, l’effettiva consistenza delle preoccupazioni di crisi di lunga durata.
Un fatto è certo: in momenti di allarmante fragilità e di così evidenti tensioni economiche e sociali, oltre alle tempestive misure congiunturali per affrontare l’emergenza sanitaria e le sue conseguenze sull’economia, è necessario elaborare pensieri forti, di lungo periodo, avere lo sguardo di prospettiva, rafforzare quel vero e proprio “cambio di paradigma” economico per rilanciare qualità dello sviluppo e quantità della crescita economica: dall’emergenza alla ripresa.
Che pensieri? Se ne possono ritrovare nel Libro Bianco “Il futuro della fabbrica”, preparato da Assolombarda (dopo quelli su lavoro, fisco, credito, energia) e presentato nei giorni scorsi, durante un Forum Ansa, da Alberto Dossi, vicepresidente di Assolombarda per le politiche industriali e da Ferruccio Resta, rettore del Politecnico di Milano (partner scientifico della ricerca) oltre che da chi scrive questo blog.
Il primo punto è la riconferma d’una consapevolezza chiara in ambienti economici ma purtroppo non nel mondo politico né in ambienti di governo: “Il manifatturiero italiano è fonte di vantaggio competitivo per l’intero sistema Paese”, leva di costruzione di lavoro, ricchezza diffusa, cambiamento, miglioramento sociale. E’ necessario dunque difendere la nostra capacità industriale, costruire un vero e proprio “Piano di politica industriale nazionale”, in un dialogo stretto tra decisori politici e attori sociali, che ne hanno competenze e conoscenze, secondo una “cultura dal cambiamento” costruita su innovazione, ricerca, formazione.
Siamo di fronte a sfide epocali: le trasformazioni digitali che investono economia e società, le questioni non solo produttive ma anche etiche e culturali poste dalla diffusione dell’Intelligenza Artificiale (ne abbiamo parlato a lungo nel blog della scorsa settimana), i grandi temi della sostenibilità ambientale e sociale, per affrontare le allarmanti alterazioni del clima ma anche le sempre meno tollerabili diseguaglianze sociali, di genere, di opportunità, di generazioni.
L’impresa è al centro di queste sfide. Ne è attore di primo piano. E nel “Libro Bianco” non mancano le indicazioni economiche, politiche e culturali per vivere questa intensa stagione con grande senso di responsabilità, con lo sguardo lungo e ambizioso di chi vuole costruire un futuro migliore. L’impresa è un grande “ascensore sociale”. Bisogna continuare a farla funzionare.
Come? “La persona è al centro della nuova fabbrica”, si sostiene. Conoscenze, dunque, con l’attenzione per “chi sa e sa fare”, un valore economico e sociale fondamentale, in tempi di sconsiderato disprezzo, anche in ambienti politici, per le competenze. Rispetto per la sicurezza, sia nei processi di lavoro che nella dimensione della cybersecurity. Qualità della vita e del lavoro. Formazione di lungo periodo, proprio per poter governare i processi di cambiamento. Con un’attenzione particolare per i giovani, da rendere consapevoli del fascino della fabbrica nella stagione digitale e da coinvolgere nell’attività produttiva.
Per dirla in sintesi, l’orizzonte è quello di una Digital Green Economy, che consideri la sostenibilità come fondamentale asset competitivo.
Leadership forti di valori e conoscenze, dunque. Impegno a muoversi secondo criteri da data driven factory, usando proprio la crescente mole di dati disponibili come fattore produttivo, sempre in termini di qualità, produttività, competitività. E flessibilità culturale e scientifica per capire e indirizzare quei dati verso un radicale miglioramento delle nostre manifatture. Le imprese italiane, d’altronde, sono sempre più “nodi” di una rete, di un “ecosistema produttivo”, di una catena di relazioni che consente loro di tenere testa, anche quando piccole e medie, alle radicali trasformazioni internazionali.
Cosa serve, dunque? Il Libro Bianco insiste sulla necessità di “promuovere l’innovazione del Sistema Paese”. Non si può immaginare, infatti, che le nostre imprese possano reggere da sole la sfida dell’innovazione e della competitività nell’economia digital se il resto dell’Italia resta fermo. Ecco dunque l’importanza di una strategia per lo sviluppo, che investa sull’adeguamento delle infrastrutture, materiali e immateriali, tecnologiche e sociali (la scuola, in primo piano), sul “supporto alla interoperabilità e all’integrazione degli ecosistemi e delle filiere”, su un contesto normativo “efficace, stabile e chiaro”, su “piani pluriennali di politica industriale a supporto dell’azienda del futuro”.
Le imprese, anche in tempi difficili, di tensioni, crisi e metamorfosi, stanno facendo la loro parte. Non chiedono contributi, ma chiarezza d’orizzonte, per poter continuare a investire e crescere. Una sfida culturale e sociale, dunque. Che rivendica scelte politiche conseguenti. Nell’interesse – insiste Assolombarda – di tutto il sistema Italia.