Accedi all’Archivio online
Esplora l’Archivio online per trovare fonti e materiali. Seleziona la tipologia di supporto documentale che più ti interessa e inserisci le parole chiave della tua ricerca.
    Seleziona una delle seguenti categorie:
  • Documenti
  • Fotografie
  • Disegni e manifesti
  • Audiovisivi
  • Pubblicazioni e riviste
  • Tutti
Assistenza alla consultazione
Per richiedere la consultazione del materiale conservato nell’Archivio Storico e nelle Biblioteche della Fondazione Pirelli al fine di studi e ricerche e conoscere le modalità di utilizzo dei materiali per prestiti e mostre, compila il seguente modulo.
Riceverai una mail di conferma dell'avvenuta ricezione della richiesta e sarai ricontattato.
Percorsi Fondazione Pirelli Educational

Seleziona il grado di istruzione della scuola di appartenenza
Back
Scuola Primaria
Percorsi Fondazione Pirelli Educational
Lasciate i vostri dati per essere ricontattati dallo staff di Fondazione Pirelli Educational e concordare le date del percorso.

Dichiaro di avere preso visione dell’informativa relativa al trattamento dei miei dati personali, e autorizzo la Fondazione Pirelli al trattamento dei miei dati personali per l’invio, anche a mezzo e-mail, di comunicazioni relative ad iniziative/convegni organizzati dalla Fondazione Pirelli..

Back
Scuole secondarie di I grado
Percorsi Fondazione Pirelli Educational
Lasciate i vostri dati per essere ricontattati dallo staff di Fondazione Pirelli Educational e concordare le date del percorso.
Back
Scuole secondarie di II grado
Percorsi Fondazione Pirelli Educational
Lasciate i vostri dati per essere ricontattati dallo staff di Fondazione Pirelli Educational e concordare le date del percorso.
Back
Università
Percorsi Fondazione Pirelli Educational

Vuoi organizzare un percorso personalizzato con i tuoi studenti? Per informazioni e prenotazioni scrivi a universita@fondazionepirelli.org

Visita la Fondazione
Per informazioni sulle attività della Fondazione e l’accessiblità agli spazi
contattare il numero 0264423971 o scrivere a visite@fondazionepirelli.org

Il futuro dell’economia industriale italiana, fra metropoli e grande provincia produttiva

Il futuro sarà delle metropoli e addirittura delle megalopoli? O non, piuttosto, degli antichi borghi di provincia, tra tesori d’arte e ambiente sereno? Delle cosiddette “città-Stato”, potenti, ricche, frenetiche, attraenti per talenti e innovazioni? O delle reti di città medie, forti di stimolanti connessioni tra industria, conoscenze, relazioni umane più attente alla diffusa qualità della vita? Le domande tornano, nel dibattito pubblico di fine estate, grazie anche a una sapida inchiesta di Paolo Coccorese del Corriere della Sera sul futuro di Torino verso il 2050 e dunque sui suoi rapporti innanzitutto con Milano ma anche con Genova o con Bologna, con i territori delle valli circostanti e con le altre provincie di un Piemonte in cerca di nuove identità e prospettive, dopo la fine della stagione del predominio della cultura industriale dell’auto Fiat.

Una spinta notevole alla riflessione viene da Carlo Ratti, solide radici torinesi (il suo studio italiano è proprio a Torino, in corso Quintino Sella, nell’antica villa del nonno) e vasta esperienza internazionale (insegna al Massachussets Institute of Technology di Boston e dirige il Mit Senseable City Lab Lab, per studiare l’impatto delle tecnologie digitali sull’architettura, il design e la pianificazione degli spazi urbani): “Il futuro di Torino è Milano, unica città globale italiana. Bisogna spingere verso una integrazione tra i due poli metropolitani”, sostiene, ragionando anche sul futuro post-industriale e sui legami con un altro sistema metropolitano d’eccellenza, Bologna. Nel dibattito intervengono urbanisti, sociologi, politici, personalità del mondo dell’impresa e della cultura. La discussione, comunque stimolante, resta aperta, fra tradizione e innovazione. E può essere ben ampliata ragionando su altri sistemi metropolitani, in altre aree italiane.

Vale la pena, dunque, approfittarne per approfondire alcuni nodi della “questione urbana”, cercando di evitare luoghi comuni e provincialismi, nostalgie da “bei tempi d’una volta” (parlando di Torino, viene naturalmente in mente l’ironia di Guido Gozzano sulle “piccole cose di pessimo gusto”) e velleità d’una futurologia para-turistica: le città italiane, per quando ricchissime di tesori d’arte e architettura, non potranno mai vivere solo di turismo e di eventi, figuriamoci poi se si inciampa nei fenomeni del cosiddetto overtourism (le folle ciabattanti ossessionate dai selfie che invadono Venezia e Firenze, Milano e Roma, Napoli e Torino…) e nell’effimero dei “grandi eventi” che consumano ambiente e nulla lasciano di solido nel lungo periodo.

A cosa guardare, dunque? Nel suo ultimo libro, “Urbanità/ Un viaggio in quattordici città per scoprire l’urbanistica”, Einaudi), Ratti sostiene che “l’universale urbano” è determinato dalla composizione di diversi frammenti. E indica come proprio la diversità sia una straordinaria forma di ricchezza. Diversità di culture, vocazioni, attitudini, radici storiche e propensioni al futuro.

Le relazioni urbane e metropolitane, nella necessaria riscrittura delle nuove mappe geo-economiche, vanno dunque definite guardando, per esempio, alle integrazioni in corso tra sistemi produttivi, nel senso ampio del termine. E tutto ciò è evidente nella mega-regione A1/ A4 che prende idealmente nome dalle autostrade che la attraversano e che va dal Piemonte al Nord Est, includendo Lombardia ed Emilia, la fitta rete delle filiere produttive per l’industria con solidi legami europei e internazionali (automotive, meccatronica e robotica, farmaceutica, chimica, gomma, aerospazio, cantieristica navale, agroalimentare, arredo, abbigliamento, etc.), ma anche delle attività finanziarie (Intesa San Paolo, Unicredit, Bpm, Generali e Unipol-Sai), delle università e dei centri di ricerca e formazione, della logistica e di una complessa serie di servizi high tech.

E’ una mappa economica di intrecci imprenditoriali, culturali e sociali, che hanno retto bene le crisi dell’inizio del nuovo millennio, hanno reagito e rispondono anche alle sfide poste dalla cosiddetta twin transition, ambientale e digitale e alle evoluzioni dell’impresa data driven, nella controversa stagione della rapidissima diffusione dell’Intelligenza Artificiale. Dando, così, un contributo essenziale alla crescita del Pil dell’Italia, la migliore nella Ue, dal ‘22 a oggi.

Un intreccio, ancora, in cui sottolineare le relazioni tra grandi e prestigiose università (gli atenei e i Politecnici di Torino e Milano) e università ricche di competenze formative e di ricerca diffuse nella dinamica provincia, dal Nord Ovest all’Emilia e al Nord Est. O i rapporti sociali e culturali, tra solidarietà e competitività, di cui le Fondazioni di origine bancaria, in relazione con le strutture e le associazioni del Terzo Settore, sono protagoniste di grande importanza.

Qual è la caratteristica di questa mappa? Mostrare la tenuta dei rapporti tra le aree metropolitane (Milano, Torino, Bologna, Genova, Venezia/Mestre/PadovaTreviso), le città medie e le province produttive, segnando anche quella che Aldo Bonomi, sociologo attento alle evoluzioni urbane, chiama “la metamorfosi della città medie”, tra “neo-municipalismo” e “capitalismo delle reti” e agevolando le tendenze di una crescita industriale che nel tempo reso rapido dalle nuove ragioni della competitività internazionale, conquista spazi e credibilità nel mondo.

Soggetti originali, come le imprese del Nord Est analizzate da Stefano Micelli, passate rapidamente dalla dimensione dell’artigianato di qualità alle integrazioni nelle supply chain internazionali e adesso ben attrezzate per avere ruoli di primo piano nel back shoring in corso, nel ritorno alle produzioni industriali in prossimità dei mercati di sbocchi, dei mercati nazionali ed europei, cioè. E soggetti socialmente responsabili, perché attenti alla sostenibilità ambientale e sociale considerata non come orpello o furbo vantaggio di comunicazione e marketing, ma come vero e proprio cambiamento produttivo e come asset di competitività (le analisi di Symbola e la presenza di parecchie imprese italiane al vertici degli indici internazionali di sostenibilità ne sono ben documentata conferma).

Quella di cui stiamo parlando, insomma, è la mappa di una condizione originale in Europa. E analizzarla attentamente può aiutare i decisori politici, nazionali e locali, nel definire la politica industriale e fiscale (come stimolo per progetti innovativi), le scelte dei servizi, gli investimenti in infrastrutture, etc. Scelte chiare e lungimiranti, nell’interesse del sistema Paese e delle nuove generazioni, ben diverse dunque dalle tentazioni di politiche corporative, populiste e protezioniste che trovano tanto spazio, purtroppo, nel discorso pubblico attuale.

Quale futuro, allora? “Bisogna allargare i territori, pensare in grande alle relazioni economiche, sociali e civili”, è il giudizio del sindaco di Milano Beppe Sala. Ecco, “allargare i territori”. E progettare futuri ambiziosi, fuori dalle ristrettezze localistiche e dalle illusioni della “decrescita felice”. E modulare, semmai, progetti che facciano leva sulle caratteristiche produttive e sociali che la mappa di cui stiamo parlando fa emergere bene.

Il progetto “MiToGeno” per il rilancio del Nord Ovest, promosso dall’Unione Industriali di Torino, Assolombarda e Confindustria Genova (ne abbiamo parlato anche nel blog dell’1 agosto) va proprio in questa direzione. Così come l’impegno del Centro Studi Grande Milano, attento a stabilire relazioni forti con i sindaci di Genova, Bergamo, Torino, Brescia e, in rapida prospettiva, con quelli delle città dell’Emilia e del Nord Est. Rinnovando così, anche con un potenziamento delle relazioni pubblico-privato, la lezione sapiente d’un grande storico come Carlo M. Cipolla, sull’attitudine positiva degli italiani “a produrre, all’ombra dei campanili, cose belle che piacciono al mondo”.

(foto Getty Images)

Il futuro sarà delle metropoli e addirittura delle megalopoli? O non, piuttosto, degli antichi borghi di provincia, tra tesori d’arte e ambiente sereno? Delle cosiddette “città-Stato”, potenti, ricche, frenetiche, attraenti per talenti e innovazioni? O delle reti di città medie, forti di stimolanti connessioni tra industria, conoscenze, relazioni umane più attente alla diffusa qualità della vita? Le domande tornano, nel dibattito pubblico di fine estate, grazie anche a una sapida inchiesta di Paolo Coccorese del Corriere della Sera sul futuro di Torino verso il 2050 e dunque sui suoi rapporti innanzitutto con Milano ma anche con Genova o con Bologna, con i territori delle valli circostanti e con le altre provincie di un Piemonte in cerca di nuove identità e prospettive, dopo la fine della stagione del predominio della cultura industriale dell’auto Fiat.

Una spinta notevole alla riflessione viene da Carlo Ratti, solide radici torinesi (il suo studio italiano è proprio a Torino, in corso Quintino Sella, nell’antica villa del nonno) e vasta esperienza internazionale (insegna al Massachussets Institute of Technology di Boston e dirige il Mit Senseable City Lab Lab, per studiare l’impatto delle tecnologie digitali sull’architettura, il design e la pianificazione degli spazi urbani): “Il futuro di Torino è Milano, unica città globale italiana. Bisogna spingere verso una integrazione tra i due poli metropolitani”, sostiene, ragionando anche sul futuro post-industriale e sui legami con un altro sistema metropolitano d’eccellenza, Bologna. Nel dibattito intervengono urbanisti, sociologi, politici, personalità del mondo dell’impresa e della cultura. La discussione, comunque stimolante, resta aperta, fra tradizione e innovazione. E può essere ben ampliata ragionando su altri sistemi metropolitani, in altre aree italiane.

Vale la pena, dunque, approfittarne per approfondire alcuni nodi della “questione urbana”, cercando di evitare luoghi comuni e provincialismi, nostalgie da “bei tempi d’una volta” (parlando di Torino, viene naturalmente in mente l’ironia di Guido Gozzano sulle “piccole cose di pessimo gusto”) e velleità d’una futurologia para-turistica: le città italiane, per quando ricchissime di tesori d’arte e architettura, non potranno mai vivere solo di turismo e di eventi, figuriamoci poi se si inciampa nei fenomeni del cosiddetto overtourism (le folle ciabattanti ossessionate dai selfie che invadono Venezia e Firenze, Milano e Roma, Napoli e Torino…) e nell’effimero dei “grandi eventi” che consumano ambiente e nulla lasciano di solido nel lungo periodo.

A cosa guardare, dunque? Nel suo ultimo libro, “Urbanità/ Un viaggio in quattordici città per scoprire l’urbanistica”, Einaudi), Ratti sostiene che “l’universale urbano” è determinato dalla composizione di diversi frammenti. E indica come proprio la diversità sia una straordinaria forma di ricchezza. Diversità di culture, vocazioni, attitudini, radici storiche e propensioni al futuro.

Le relazioni urbane e metropolitane, nella necessaria riscrittura delle nuove mappe geo-economiche, vanno dunque definite guardando, per esempio, alle integrazioni in corso tra sistemi produttivi, nel senso ampio del termine. E tutto ciò è evidente nella mega-regione A1/ A4 che prende idealmente nome dalle autostrade che la attraversano e che va dal Piemonte al Nord Est, includendo Lombardia ed Emilia, la fitta rete delle filiere produttive per l’industria con solidi legami europei e internazionali (automotive, meccatronica e robotica, farmaceutica, chimica, gomma, aerospazio, cantieristica navale, agroalimentare, arredo, abbigliamento, etc.), ma anche delle attività finanziarie (Intesa San Paolo, Unicredit, Bpm, Generali e Unipol-Sai), delle università e dei centri di ricerca e formazione, della logistica e di una complessa serie di servizi high tech.

E’ una mappa economica di intrecci imprenditoriali, culturali e sociali, che hanno retto bene le crisi dell’inizio del nuovo millennio, hanno reagito e rispondono anche alle sfide poste dalla cosiddetta twin transition, ambientale e digitale e alle evoluzioni dell’impresa data driven, nella controversa stagione della rapidissima diffusione dell’Intelligenza Artificiale. Dando, così, un contributo essenziale alla crescita del Pil dell’Italia, la migliore nella Ue, dal ‘22 a oggi.

Un intreccio, ancora, in cui sottolineare le relazioni tra grandi e prestigiose università (gli atenei e i Politecnici di Torino e Milano) e università ricche di competenze formative e di ricerca diffuse nella dinamica provincia, dal Nord Ovest all’Emilia e al Nord Est. O i rapporti sociali e culturali, tra solidarietà e competitività, di cui le Fondazioni di origine bancaria, in relazione con le strutture e le associazioni del Terzo Settore, sono protagoniste di grande importanza.

Qual è la caratteristica di questa mappa? Mostrare la tenuta dei rapporti tra le aree metropolitane (Milano, Torino, Bologna, Genova, Venezia/Mestre/PadovaTreviso), le città medie e le province produttive, segnando anche quella che Aldo Bonomi, sociologo attento alle evoluzioni urbane, chiama “la metamorfosi della città medie”, tra “neo-municipalismo” e “capitalismo delle reti” e agevolando le tendenze di una crescita industriale che nel tempo reso rapido dalle nuove ragioni della competitività internazionale, conquista spazi e credibilità nel mondo.

Soggetti originali, come le imprese del Nord Est analizzate da Stefano Micelli, passate rapidamente dalla dimensione dell’artigianato di qualità alle integrazioni nelle supply chain internazionali e adesso ben attrezzate per avere ruoli di primo piano nel back shoring in corso, nel ritorno alle produzioni industriali in prossimità dei mercati di sbocchi, dei mercati nazionali ed europei, cioè. E soggetti socialmente responsabili, perché attenti alla sostenibilità ambientale e sociale considerata non come orpello o furbo vantaggio di comunicazione e marketing, ma come vero e proprio cambiamento produttivo e come asset di competitività (le analisi di Symbola e la presenza di parecchie imprese italiane al vertici degli indici internazionali di sostenibilità ne sono ben documentata conferma).

Quella di cui stiamo parlando, insomma, è la mappa di una condizione originale in Europa. E analizzarla attentamente può aiutare i decisori politici, nazionali e locali, nel definire la politica industriale e fiscale (come stimolo per progetti innovativi), le scelte dei servizi, gli investimenti in infrastrutture, etc. Scelte chiare e lungimiranti, nell’interesse del sistema Paese e delle nuove generazioni, ben diverse dunque dalle tentazioni di politiche corporative, populiste e protezioniste che trovano tanto spazio, purtroppo, nel discorso pubblico attuale.

Quale futuro, allora? “Bisogna allargare i territori, pensare in grande alle relazioni economiche, sociali e civili”, è il giudizio del sindaco di Milano Beppe Sala. Ecco, “allargare i territori”. E progettare futuri ambiziosi, fuori dalle ristrettezze localistiche e dalle illusioni della “decrescita felice”. E modulare, semmai, progetti che facciano leva sulle caratteristiche produttive e sociali che la mappa di cui stiamo parlando fa emergere bene.

Il progetto “MiToGeno” per il rilancio del Nord Ovest, promosso dall’Unione Industriali di Torino, Assolombarda e Confindustria Genova (ne abbiamo parlato anche nel blog dell’1 agosto) va proprio in questa direzione. Così come l’impegno del Centro Studi Grande Milano, attento a stabilire relazioni forti con i sindaci di Genova, Bergamo, Torino, Brescia e, in rapida prospettiva, con quelli delle città dell’Emilia e del Nord Est. Rinnovando così, anche con un potenziamento delle relazioni pubblico-privato, la lezione sapiente d’un grande storico come Carlo M. Cipolla, sull’attitudine positiva degli italiani “a produrre, all’ombra dei campanili, cose belle che piacciono al mondo”.

(foto Getty Images)

CIAO, COME POSSO AIUTARTI?