Il rischio dell’innovazione
Un libro racconta pericoli e opportunità dei mutamenti di mercato e dei modi per rispondervi
Innovare è difficile. Cogliere il senso del nuovo, magari precedere gli altri e sapersi destreggiare nel cambiamento, è cosa da pochi. Uno degli ingredienti d’eccellenza del buon imprenditore e del manager una spanna più in là degli altri. E non è cosa solo per le grandi imprese. Anzi.
L’innovazione – o comunque il cambiamento -, possono mettere in crisi più di una perfetta organizzazione della produzione. Dotarsi degli strumenti conoscitivi per capire questa possibilità è importante. E lo è quindi leggere “Il dilemma dell’innovatore” di Clayton M. Christensen appena ripubblicato in italiano.
Christensen è uno dei più eminenti esperti di innovazione al mondo, insegna Business Administration alla Harvard Business School ed è componente del Boston Consulting Group; uno che con le imprese, l’innovazione, i successi e i fallimenti ha ormai una consuetudine lunga decenni. E che soprattutto ha delineato un’ipotesi che si è trasformata in una sorta di pietra miliare: di fronte all’innovazione le grandi imprese possono fallire, spiazzate da chi, più piccolo, riesce ad essere più agile. Detta in altri termini, la tesi di Christensen è che mentre spesso le grandi multinazionali falliscono quando si trovano di fronte a cambiamenti di mercato e di tecnologia, le piccole e medie imprese che sanno ascoltare i consumatori, che anticipano con le loro “antenne competitive” nuovi bisogni emergenti e che puntano aggressivamente su innovazioni tecnologiche “dirompenti”, hanno grandi possibilità di successo.
Christensen dimostra il suo pensiero attraverso l’analisi dei modelli d’innovazione di una serie di settori (dall’industria dei computer a quella farmaceutica, da quella automobilistica a quella siderurgica). Dall’osservazione emerge la constatazione di come spesso le innovazioni davvero “dirompenti” tendano a non essere inizialmente ben accolte dalla maggioranza dei clienti, inducendo le imprese che dominano il mercato a non investire in esse. Il risultato di tale scelta è che queste aziende finiscono con il precludersi la possibilità di crearsi nuovi mercati e di acquisire nuovi clienti per i prodotti del futuro. In fila, per dimostrare la teoria, i casi di imprese dell’elettronica ma anche delle macchine movimento terra, dell’informatica e della mobilità con auto elettriche.
Da tutto deriva anche un’indicazione di fondo. Riuscire ad affrontare il mercato che cambia è anche questione di agilità e di abitudine a combattere ogni giorno per sopravvivere, probabilmente di destrezza e velocità nel saper cambiare. Caratteristiche che possono essere proprie di organizzazioni della produzione più semplici, permeate di una cultura d’impresa ancora abituata a non dare nulla per scontato.
Il dilemma dell’innovatore
Clayton M. Christensen
Franco Angeli, 2016
Un libro racconta pericoli e opportunità dei mutamenti di mercato e dei modi per rispondervi
Innovare è difficile. Cogliere il senso del nuovo, magari precedere gli altri e sapersi destreggiare nel cambiamento, è cosa da pochi. Uno degli ingredienti d’eccellenza del buon imprenditore e del manager una spanna più in là degli altri. E non è cosa solo per le grandi imprese. Anzi.
L’innovazione – o comunque il cambiamento -, possono mettere in crisi più di una perfetta organizzazione della produzione. Dotarsi degli strumenti conoscitivi per capire questa possibilità è importante. E lo è quindi leggere “Il dilemma dell’innovatore” di Clayton M. Christensen appena ripubblicato in italiano.
Christensen è uno dei più eminenti esperti di innovazione al mondo, insegna Business Administration alla Harvard Business School ed è componente del Boston Consulting Group; uno che con le imprese, l’innovazione, i successi e i fallimenti ha ormai una consuetudine lunga decenni. E che soprattutto ha delineato un’ipotesi che si è trasformata in una sorta di pietra miliare: di fronte all’innovazione le grandi imprese possono fallire, spiazzate da chi, più piccolo, riesce ad essere più agile. Detta in altri termini, la tesi di Christensen è che mentre spesso le grandi multinazionali falliscono quando si trovano di fronte a cambiamenti di mercato e di tecnologia, le piccole e medie imprese che sanno ascoltare i consumatori, che anticipano con le loro “antenne competitive” nuovi bisogni emergenti e che puntano aggressivamente su innovazioni tecnologiche “dirompenti”, hanno grandi possibilità di successo.
Christensen dimostra il suo pensiero attraverso l’analisi dei modelli d’innovazione di una serie di settori (dall’industria dei computer a quella farmaceutica, da quella automobilistica a quella siderurgica). Dall’osservazione emerge la constatazione di come spesso le innovazioni davvero “dirompenti” tendano a non essere inizialmente ben accolte dalla maggioranza dei clienti, inducendo le imprese che dominano il mercato a non investire in esse. Il risultato di tale scelta è che queste aziende finiscono con il precludersi la possibilità di crearsi nuovi mercati e di acquisire nuovi clienti per i prodotti del futuro. In fila, per dimostrare la teoria, i casi di imprese dell’elettronica ma anche delle macchine movimento terra, dell’informatica e della mobilità con auto elettriche.
Da tutto deriva anche un’indicazione di fondo. Riuscire ad affrontare il mercato che cambia è anche questione di agilità e di abitudine a combattere ogni giorno per sopravvivere, probabilmente di destrezza e velocità nel saper cambiare. Caratteristiche che possono essere proprie di organizzazioni della produzione più semplici, permeate di una cultura d’impresa ancora abituata a non dare nulla per scontato.
Il dilemma dell’innovatore
Clayton M. Christensen
Franco Angeli, 2016