Il tempo dei costruttori di futuro e le scelte urgenti per il Recovery Plan: investimenti e riforme
Questo dev’essere “il tempo dei costruttori”, sostiene il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nel suo messaggio agli italiani per il nuovo anno. Siamo ancora in piena pandemia da Covid19, con il suo carico quotidiano di contagio e dolore, preoccupazione e morte. La crisi economica è durissima e in primavera, finito il paracadute squilibrato del blocco dei licenziamenti, assisteremo alle conseguenze della perdita di un altro milione di posti di lavoro, mentre scontiamo già la chiusura di decine di migliaia di aziende. I dati più recenti (Moody’s) parlano di una caduta del Pil in Italia del 9% nel 2020 e di un rimbalzo del 5,6% nel ’21, cosicché dovremo aspettare almeno il 2022 per tornare ai livelli economici precedenti alla crisi (come noi, anche Francia e Spagna). E per tutta l’Europa, quest’anno, l’economia sarà “lenta, irregolare e fragile”. La fragilità è il segno di una difficile stagione. Ma, ricordando Dylan, “the times, they are a-changin’”. O, per essere più precisi, i tempi potrebbero e dovrebbero cambiare. E’ il “tempo dei costruttori”, appunto.
E’ cominciata, infatti, la vaccinazione, pur con tutto il carico iniziale di errori, inadeguatezze, incertezze e polemiche. E tra la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno, saranno vaccinati tanti italiani da poter essere protetti dalla cosiddetta “immunità di gregge”. Restano le incertezze sulla durata della protezione dei vaccini, sulla contagiosità residua del Covid19 e delle sue varianti, sulle misure da rendere permanenti come buone abitudini (le mascherine, l’attenzione ai sovraffollamenti, le terapie ben definite nei casi d’emergenza). Ma il vaccino è comunque la svolta. Si può cominciare a ricostruire il tessuto della fiducia, a pensare futuro, senza l’incubo della morte diffusa.
Il secondo pilastro della fiducia è il Recovery Plan “Next Generation” della Ue, con i suoi 200 e più miliardi a disposizione dell’Italia, da investire per finanziare un radicale rinnovamento del sistema Italia, un’ambiziosa stagione di riforme nel doppio segno della green economy e della digital economy, ambiente e innovazione, cioè, con le riforme indispensabili per raggiungere quegli obiettivi: la pubblica amministrazione, la giustizia, la formazione, la ricerca, le infrastrutture materiali e immateriali (a cominciare dal 5G, fondamentale per la trasformazione digitale che investe l’industria e i servizi, la salute e il lavoro, la scuola e la cultura). Ed è proprio qui che il monito di Mattarella acquista un peso di grandissimo rilievo politico e istituzionale.
Sui contenuti del Recovery Plan, infatti, governo e forze politiche hanno dimostrato finora una preoccupante assenza di visione e una grave inadeguatezza nella definizione dei progetti concreti sulla base dei quali la Ue erogherà i suoi finanziamenti. A lungo, nel chiuso delle stanze di Palazzo Chigi e nei circoli di parte della maggioranza di governo, hanno prevalso logiche tipiche più di una “economia dei sussidi” che non di una strategia di investimenti innovativi, una passione per “bonus” e “ristori” che mette in ombra la necessità di avere idee chiare su dove orientare gli investimenti e come consentirne e poi verificarne passo passo l’attuazione.
Il risultato è stato un rischio di deriva corporativa e assistenziale dei progetti e una lentezza nelle scelte di governance che hanno profondamente preoccupato sia i vertici Ue, sia il Quirinale sia gli ambienti economici, imprenditoriali e sociali più responsabili e consapevoli della irripetibilità di una condizione di risorse disponibili e di indicazioni politiche europee per trasformare l’Italia e rafforzare l’Europa.
Le ombre minacciose della crisi di governo non hanno aiutato e non aiutano.
Resta, sempre più diffusa in un’inquieta e allarmata opinione pubblica, la sensazione che si corra il rischio di sprecare un’occasione fondamentale di rinnovamento e di crescita e che ci si ritrovi prigionieri di un gigantesco debito pubblico, senza avere avviato le riforme necessarie per cominciare a crescere e dunque ripagare quel debito e assicurare un futuro migliore ai nostri giovani. A quella “Next Generation” cui guarda l’Europa e che noi non possiamo certo sacrificare per l’insipienza di buona parte della nostra classe dirigente.
Il Recovery Plan, da definire urgentemente, con concretezza e lucidità, è la sfida di oggi. L’orizzonte è quello di saper essere, appunto, “costruttori di futuro”.
Anche le novità del contesto internazionale possono essere di stimolo e aiuto. La nuova amministrazione Biden, alla Casa Bianca, inaugura una nuova stagione fondata sul rilancio del multilateralismo, in un clima più disteso pur se sempre carico di tensioni, dopo i disastri degli anni tempestosi di Trump e del sovranismo prepotente da “America first”. E la rivalutazione dello storico asse atlantico, del rapporto privilegiato tra Usa ed Europa più influire su un miglioramento delle relazioni internazionali, dando alla Ue una forte funzione e di riequilibrio. Resta aperta la ferita della Brexit, con conseguenze pesanti soprattutto per il Regno Unito. Così come restano forti le tensioni nell’inquieto Mediterraneo, con le pressioni che vengono da Turchia e Russia. Ma stiamo, nonostante tutto, entrando in un tempo in cui potranno pesare di più le diplomazie e meno le prepotenti affermazioni dei primati nazionali.
L’Europa è la seconda novità positiva. Un’Europa più consapevole della sua responsabilità politica, più convinta della necessità di farsi carico delle scelte di investimento pubblico per uscire, insieme, da pandemia e recessione e di dovere dare un’anima progettuale e morale al suo sistema di valori, da unione di stati di democrazia liberale e di nuovo welfare inclusivo, con un’attenzione speciale per i suoi giovani, l’ambiente, il futuro. Attore protagonista di quel “cambio di paradigma” in direzione della sostenibilità, ambientale e sociale su cui, appunto, Bruxelles e Washington possono fare ambiziose scelte comuni, da fare valere nei confronti del resto del mondo. Anche in sintonia con il messaggio di Papa Francesco e della sua “economia giusta”.
La crisi del sovranismo e del populismo sono gli assi politici, culturali ed etici su cui provare ad andare avanti. I cardini d’uno sviluppo civile che si ritrovano pure in quell’incitamento del Quirinale al “tempo dei costruttori” da cui siamo partiti. Un tempo da “costruttori del futuro”. Proprio quel pensiero simbolico che, come ci ha insegnato Ernest Cassirer, uno dei maggiori filosofi del Novecento, “può aiutarci a superare l’inerzia che ci avvolge e a trovare l’energia per trasformare il cattivo presente”.
Questo dev’essere “il tempo dei costruttori”, sostiene il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nel suo messaggio agli italiani per il nuovo anno. Siamo ancora in piena pandemia da Covid19, con il suo carico quotidiano di contagio e dolore, preoccupazione e morte. La crisi economica è durissima e in primavera, finito il paracadute squilibrato del blocco dei licenziamenti, assisteremo alle conseguenze della perdita di un altro milione di posti di lavoro, mentre scontiamo già la chiusura di decine di migliaia di aziende. I dati più recenti (Moody’s) parlano di una caduta del Pil in Italia del 9% nel 2020 e di un rimbalzo del 5,6% nel ’21, cosicché dovremo aspettare almeno il 2022 per tornare ai livelli economici precedenti alla crisi (come noi, anche Francia e Spagna). E per tutta l’Europa, quest’anno, l’economia sarà “lenta, irregolare e fragile”. La fragilità è il segno di una difficile stagione. Ma, ricordando Dylan, “the times, they are a-changin’”. O, per essere più precisi, i tempi potrebbero e dovrebbero cambiare. E’ il “tempo dei costruttori”, appunto.
E’ cominciata, infatti, la vaccinazione, pur con tutto il carico iniziale di errori, inadeguatezze, incertezze e polemiche. E tra la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno, saranno vaccinati tanti italiani da poter essere protetti dalla cosiddetta “immunità di gregge”. Restano le incertezze sulla durata della protezione dei vaccini, sulla contagiosità residua del Covid19 e delle sue varianti, sulle misure da rendere permanenti come buone abitudini (le mascherine, l’attenzione ai sovraffollamenti, le terapie ben definite nei casi d’emergenza). Ma il vaccino è comunque la svolta. Si può cominciare a ricostruire il tessuto della fiducia, a pensare futuro, senza l’incubo della morte diffusa.
Il secondo pilastro della fiducia è il Recovery Plan “Next Generation” della Ue, con i suoi 200 e più miliardi a disposizione dell’Italia, da investire per finanziare un radicale rinnovamento del sistema Italia, un’ambiziosa stagione di riforme nel doppio segno della green economy e della digital economy, ambiente e innovazione, cioè, con le riforme indispensabili per raggiungere quegli obiettivi: la pubblica amministrazione, la giustizia, la formazione, la ricerca, le infrastrutture materiali e immateriali (a cominciare dal 5G, fondamentale per la trasformazione digitale che investe l’industria e i servizi, la salute e il lavoro, la scuola e la cultura). Ed è proprio qui che il monito di Mattarella acquista un peso di grandissimo rilievo politico e istituzionale.
Sui contenuti del Recovery Plan, infatti, governo e forze politiche hanno dimostrato finora una preoccupante assenza di visione e una grave inadeguatezza nella definizione dei progetti concreti sulla base dei quali la Ue erogherà i suoi finanziamenti. A lungo, nel chiuso delle stanze di Palazzo Chigi e nei circoli di parte della maggioranza di governo, hanno prevalso logiche tipiche più di una “economia dei sussidi” che non di una strategia di investimenti innovativi, una passione per “bonus” e “ristori” che mette in ombra la necessità di avere idee chiare su dove orientare gli investimenti e come consentirne e poi verificarne passo passo l’attuazione.
Il risultato è stato un rischio di deriva corporativa e assistenziale dei progetti e una lentezza nelle scelte di governance che hanno profondamente preoccupato sia i vertici Ue, sia il Quirinale sia gli ambienti economici, imprenditoriali e sociali più responsabili e consapevoli della irripetibilità di una condizione di risorse disponibili e di indicazioni politiche europee per trasformare l’Italia e rafforzare l’Europa.
Le ombre minacciose della crisi di governo non hanno aiutato e non aiutano.
Resta, sempre più diffusa in un’inquieta e allarmata opinione pubblica, la sensazione che si corra il rischio di sprecare un’occasione fondamentale di rinnovamento e di crescita e che ci si ritrovi prigionieri di un gigantesco debito pubblico, senza avere avviato le riforme necessarie per cominciare a crescere e dunque ripagare quel debito e assicurare un futuro migliore ai nostri giovani. A quella “Next Generation” cui guarda l’Europa e che noi non possiamo certo sacrificare per l’insipienza di buona parte della nostra classe dirigente.
Il Recovery Plan, da definire urgentemente, con concretezza e lucidità, è la sfida di oggi. L’orizzonte è quello di saper essere, appunto, “costruttori di futuro”.
Anche le novità del contesto internazionale possono essere di stimolo e aiuto. La nuova amministrazione Biden, alla Casa Bianca, inaugura una nuova stagione fondata sul rilancio del multilateralismo, in un clima più disteso pur se sempre carico di tensioni, dopo i disastri degli anni tempestosi di Trump e del sovranismo prepotente da “America first”. E la rivalutazione dello storico asse atlantico, del rapporto privilegiato tra Usa ed Europa più influire su un miglioramento delle relazioni internazionali, dando alla Ue una forte funzione e di riequilibrio. Resta aperta la ferita della Brexit, con conseguenze pesanti soprattutto per il Regno Unito. Così come restano forti le tensioni nell’inquieto Mediterraneo, con le pressioni che vengono da Turchia e Russia. Ma stiamo, nonostante tutto, entrando in un tempo in cui potranno pesare di più le diplomazie e meno le prepotenti affermazioni dei primati nazionali.
L’Europa è la seconda novità positiva. Un’Europa più consapevole della sua responsabilità politica, più convinta della necessità di farsi carico delle scelte di investimento pubblico per uscire, insieme, da pandemia e recessione e di dovere dare un’anima progettuale e morale al suo sistema di valori, da unione di stati di democrazia liberale e di nuovo welfare inclusivo, con un’attenzione speciale per i suoi giovani, l’ambiente, il futuro. Attore protagonista di quel “cambio di paradigma” in direzione della sostenibilità, ambientale e sociale su cui, appunto, Bruxelles e Washington possono fare ambiziose scelte comuni, da fare valere nei confronti del resto del mondo. Anche in sintonia con il messaggio di Papa Francesco e della sua “economia giusta”.
La crisi del sovranismo e del populismo sono gli assi politici, culturali ed etici su cui provare ad andare avanti. I cardini d’uno sviluppo civile che si ritrovano pure in quell’incitamento del Quirinale al “tempo dei costruttori” da cui siamo partiti. Un tempo da “costruttori del futuro”. Proprio quel pensiero simbolico che, come ci ha insegnato Ernest Cassirer, uno dei maggiori filosofi del Novecento, “può aiutarci a superare l’inerzia che ci avvolge e a trovare l’energia per trasformare il cattivo presente”.