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Il valore d’una politica industriale europea per Intelligenza Artificiale, sicurezza ed energia 

“E’ tempo di parlare di Europa”, è la sollecitazione che Lucrezia Reichlin, da economista lungimirante e competente, rivolge ai responsabili della politica italiana, guardando all’orizzonte delle prossime elezioni dell’8 giugno per il nuovo parlamento della Ue (Corriere della Sera, 28 gennaio). Parlare cioè di mutamenti della geopolitica globale e dunque di conflitti e di tensioni internazionali e della cosiddetta “policrisi” (le guerre in Ucraina e in Medio Oriente ne sono gli aspetti più evidenti e drammatici, ma certamente non gli unici) e di grandi questioni ambientali e sociali. Della stagione di crisi e rischi di declino delle democrazie occidentali, sotto i colpi di sovranismi e populisti e le ostilità della galassia del cosiddetto Global South. E naturalmente di economia e cioè di come impostare una politica economica comune sulle questioni della competitività, dell’innovazione e del lavoro, nella stagione di radicali trasformazioni dominate dalla imperiosa diffusione dell’Intelligenza Artificiale e dei suoi impatti sulla conoscenza, la ricerca, la produzione, i consumi, l’evoluzione delle relazioni economiche e sociali.

Una partita prioritaria, appunto, questa. Che non può essere affrontata soltanto con gli strumenti della regolazione legislativa, su cui la Ue si sta muovendo per prima ma che deve essere guardata in chiave di competitività, di ricerca scientifica e tecnologica, di investimenti e di sostegno alla politica industriale europea: le maggiore imprese sui mercati globali sono, sinora, quelle Usa e è indispensabile fare crescere imprese europee in grado di fare fronte alla sfida.

L’Europa, grande complesso economico ma anche debole consesso politico, è quanto mai fragile, di fronte alle scelte degli Usa e della Cina, ai loro conflitti ma anche alle possibili convergenze di interessi e di volontà di dominio. Per non dire del ruolo crescente, economicamente e dunque anche politicamente, dell’India, attore che da “potenza regionale” aspira a muoversi come “potenza globale”. Ma anche degli espansionismi neo-imperiali della Russia e neo-ottomani della Turchia. In un mondo multipolare, proprio un’autorevole presenza europea può fare la differenza e suggerire strade praticabili per definire nuovi e migliori equilibri di pace e sviluppo.

“L’Europa dovrà decidere se ha la forza di fare quel salto di coesione necessario ad affrontare il nuovo contesto internazionale, che la vede oggi esposta su più fronti”, sostiene la Reichlin. Aggiungendo che “i temi economici sono al solito importanti”, perché “è difficile pensare a una politica estera e di sicurezza comune senza una maggiore condivisione degli strumenti economici” e “senza scelte che non saranno indolori”, sul piano sia economico che sociale”.

Quali scelte? Quelle che riguardano le politiche economiche e fiscali per affrontare, con visione unitaria, i problemi della sicurezza, della crescita economica, della gestione di tutte le complesse partite dell’Intelligenza Artificiale di cui abbiamo parlato e dunque della competitività e del lavoro. Senza dimenticare i temi della salute: “Health is whealth”, ripete spesso Mario Draghi, ben consapevole del rapporto tra qualità della vita e benessere diffuso, ricchezza sociale, possibilità di un futuro più giusto ed equilibrato.

Guardiamo alcuni dati, per capire meglio.

Dal ‘21 al ‘27 la Ue, secondo uno studio del think tank Bruegel, ha avuto e avrà a disposizione, dal suo bilancio, 1.800 miliardi di euro (257 miliardi all’anno) per affrontare gli investimenti dedicati sui temi, considerati prioritari, della transizione verde e di quella digitale, alla difesa e alla sicurezza, alla salute e alla ricostruzione dell’Ucraina (una responsabilità che graverà soprattutto sulla Ue e i paesi europei). Troppo pochi, sostiene Lucrezia Reichlin, anche solo pensando che per il solo Green Deal  della Ue è stimato un fabbisogno di 356 miliardi all’anno.

Pochi, inoltre, rispetto alle politiche economiche messe in campo dagli Usa e dalla Cina. i 737 miliardi dell’Ira (Inflation Reduction Act) messi in campo da Washington per sostenere gli investimenti delle imprese sulle tecnologie per l’energia pulita (uno straordinario attrattore anche per imprese internazionali pronte ad andare a produrre negli Usa). E le ingenti risorse di Pechino per stimolare le imprese cinesi nei settori dell’alta tecnologia.

E dunque? E’ necessario ampliare il bilancio Ue. E mettere in campo uno strumento di cui si discute sempre più spesso: gli eurobond (l’ultimo a sollecitarne l’adozione, la scorsa settimana, è stato il Governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta). L’eredità dalla lezione di Jacques Delors, grande uomo di governo europeo, trova finalmente un ascolto di attualità.

Il Recovery Fund, per raccogliere, come Ue, risorse sui mercati finanziari, da destinare alla ripresa post Covid e alle riforme e agli investimenti necessari a una migliore condizione di sviluppo della Next Generation (alla quale era appunto intitolato il nuovo strumento di politica economica e di cui l’Italia gode delle destinazioni più ingenti), ha fatto da apripista. La Ue può muoversi con successo facendo debito comune per finanziare un comune destino di sviluppo sostenibile.

Adesso, è necessario continuare su questa strada. Costruire, appunto con gli eurobond, un fondo che finanzi gli investimenti per un esercito comune e una più robusta politica di sicurezza (nei giorni scorsi ne hanno parlato con insistenza il popolare tedesco Manfred Weber e il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani). E per tutte le scelte d’investimento legate all’approvvigionamento delle materie prime strategiche e dei prodotti indispensabili all’industria europea, a cominciare dai microchip. Le associazioni degli imprenditori italiani, tedeschi e francesi ne sono consapevoli. Ed è stata proprio Confindustria la più insistente nel sollecitare da tempo, a Bruxelles, l’adozione di strumenti comuni di investimento e intervento. Una strada su cui insistere.

Anche da questo punto di vista, l’orizzonte verso cui guardare e su cui giudicare le proposte delle forze politiche è quello di avere “più Europa e un’Europa migliore”, con maggiori politiche di coesione e competizione, crescita e sostenibilità. Un’Europa, finalmente, capace di essere attore globale, all’altezza dei suoi interessi e dei suoi valori, grazie alla capacità di tenere insieme democrazia, mercato e welfare, libertà e benessere. Un paradigma di rilievo nei confronti del resto del mondo.

Sono temi ricorrenti anche in vista della presidenza italiana del G7, che deve sentirsi impegnata a fare le scelte necessarie per cercare di sanare le divergenze evidenti all’interno del campo occidentale (gli Usa da una parte, con la vicinanza della Gran Bretagna e la Ue dall’altra). E che le imprese, riunite nel B7 guidato da Emma Marcegaglia per conto di Confindustria, hanno già cominciato a discutere.

Un punto di riferimento saranno anche i documenti sulla competitività e il mercato che la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen ha affinato a due italiani che conoscono bene le condizioni dell’Europa e le sue prospettive, Mario Draghi ed Enrico Letta. Un orizzonte su cui, fuori dalle beghe politiche localistiche e provinciali, è necessario discutere a fondo.

(foto Getty Images)

“E’ tempo di parlare di Europa”, è la sollecitazione che Lucrezia Reichlin, da economista lungimirante e competente, rivolge ai responsabili della politica italiana, guardando all’orizzonte delle prossime elezioni dell’8 giugno per il nuovo parlamento della Ue (Corriere della Sera, 28 gennaio). Parlare cioè di mutamenti della geopolitica globale e dunque di conflitti e di tensioni internazionali e della cosiddetta “policrisi” (le guerre in Ucraina e in Medio Oriente ne sono gli aspetti più evidenti e drammatici, ma certamente non gli unici) e di grandi questioni ambientali e sociali. Della stagione di crisi e rischi di declino delle democrazie occidentali, sotto i colpi di sovranismi e populisti e le ostilità della galassia del cosiddetto Global South. E naturalmente di economia e cioè di come impostare una politica economica comune sulle questioni della competitività, dell’innovazione e del lavoro, nella stagione di radicali trasformazioni dominate dalla imperiosa diffusione dell’Intelligenza Artificiale e dei suoi impatti sulla conoscenza, la ricerca, la produzione, i consumi, l’evoluzione delle relazioni economiche e sociali.

Una partita prioritaria, appunto, questa. Che non può essere affrontata soltanto con gli strumenti della regolazione legislativa, su cui la Ue si sta muovendo per prima ma che deve essere guardata in chiave di competitività, di ricerca scientifica e tecnologica, di investimenti e di sostegno alla politica industriale europea: le maggiore imprese sui mercati globali sono, sinora, quelle Usa e è indispensabile fare crescere imprese europee in grado di fare fronte alla sfida.

L’Europa, grande complesso economico ma anche debole consesso politico, è quanto mai fragile, di fronte alle scelte degli Usa e della Cina, ai loro conflitti ma anche alle possibili convergenze di interessi e di volontà di dominio. Per non dire del ruolo crescente, economicamente e dunque anche politicamente, dell’India, attore che da “potenza regionale” aspira a muoversi come “potenza globale”. Ma anche degli espansionismi neo-imperiali della Russia e neo-ottomani della Turchia. In un mondo multipolare, proprio un’autorevole presenza europea può fare la differenza e suggerire strade praticabili per definire nuovi e migliori equilibri di pace e sviluppo.

“L’Europa dovrà decidere se ha la forza di fare quel salto di coesione necessario ad affrontare il nuovo contesto internazionale, che la vede oggi esposta su più fronti”, sostiene la Reichlin. Aggiungendo che “i temi economici sono al solito importanti”, perché “è difficile pensare a una politica estera e di sicurezza comune senza una maggiore condivisione degli strumenti economici” e “senza scelte che non saranno indolori”, sul piano sia economico che sociale”.

Quali scelte? Quelle che riguardano le politiche economiche e fiscali per affrontare, con visione unitaria, i problemi della sicurezza, della crescita economica, della gestione di tutte le complesse partite dell’Intelligenza Artificiale di cui abbiamo parlato e dunque della competitività e del lavoro. Senza dimenticare i temi della salute: “Health is whealth”, ripete spesso Mario Draghi, ben consapevole del rapporto tra qualità della vita e benessere diffuso, ricchezza sociale, possibilità di un futuro più giusto ed equilibrato.

Guardiamo alcuni dati, per capire meglio.

Dal ‘21 al ‘27 la Ue, secondo uno studio del think tank Bruegel, ha avuto e avrà a disposizione, dal suo bilancio, 1.800 miliardi di euro (257 miliardi all’anno) per affrontare gli investimenti dedicati sui temi, considerati prioritari, della transizione verde e di quella digitale, alla difesa e alla sicurezza, alla salute e alla ricostruzione dell’Ucraina (una responsabilità che graverà soprattutto sulla Ue e i paesi europei). Troppo pochi, sostiene Lucrezia Reichlin, anche solo pensando che per il solo Green Deal  della Ue è stimato un fabbisogno di 356 miliardi all’anno.

Pochi, inoltre, rispetto alle politiche economiche messe in campo dagli Usa e dalla Cina. i 737 miliardi dell’Ira (Inflation Reduction Act) messi in campo da Washington per sostenere gli investimenti delle imprese sulle tecnologie per l’energia pulita (uno straordinario attrattore anche per imprese internazionali pronte ad andare a produrre negli Usa). E le ingenti risorse di Pechino per stimolare le imprese cinesi nei settori dell’alta tecnologia.

E dunque? E’ necessario ampliare il bilancio Ue. E mettere in campo uno strumento di cui si discute sempre più spesso: gli eurobond (l’ultimo a sollecitarne l’adozione, la scorsa settimana, è stato il Governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta). L’eredità dalla lezione di Jacques Delors, grande uomo di governo europeo, trova finalmente un ascolto di attualità.

Il Recovery Fund, per raccogliere, come Ue, risorse sui mercati finanziari, da destinare alla ripresa post Covid e alle riforme e agli investimenti necessari a una migliore condizione di sviluppo della Next Generation (alla quale era appunto intitolato il nuovo strumento di politica economica e di cui l’Italia gode delle destinazioni più ingenti), ha fatto da apripista. La Ue può muoversi con successo facendo debito comune per finanziare un comune destino di sviluppo sostenibile.

Adesso, è necessario continuare su questa strada. Costruire, appunto con gli eurobond, un fondo che finanzi gli investimenti per un esercito comune e una più robusta politica di sicurezza (nei giorni scorsi ne hanno parlato con insistenza il popolare tedesco Manfred Weber e il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani). E per tutte le scelte d’investimento legate all’approvvigionamento delle materie prime strategiche e dei prodotti indispensabili all’industria europea, a cominciare dai microchip. Le associazioni degli imprenditori italiani, tedeschi e francesi ne sono consapevoli. Ed è stata proprio Confindustria la più insistente nel sollecitare da tempo, a Bruxelles, l’adozione di strumenti comuni di investimento e intervento. Una strada su cui insistere.

Anche da questo punto di vista, l’orizzonte verso cui guardare e su cui giudicare le proposte delle forze politiche è quello di avere “più Europa e un’Europa migliore”, con maggiori politiche di coesione e competizione, crescita e sostenibilità. Un’Europa, finalmente, capace di essere attore globale, all’altezza dei suoi interessi e dei suoi valori, grazie alla capacità di tenere insieme democrazia, mercato e welfare, libertà e benessere. Un paradigma di rilievo nei confronti del resto del mondo.

Sono temi ricorrenti anche in vista della presidenza italiana del G7, che deve sentirsi impegnata a fare le scelte necessarie per cercare di sanare le divergenze evidenti all’interno del campo occidentale (gli Usa da una parte, con la vicinanza della Gran Bretagna e la Ue dall’altra). E che le imprese, riunite nel B7 guidato da Emma Marcegaglia per conto di Confindustria, hanno già cominciato a discutere.

Un punto di riferimento saranno anche i documenti sulla competitività e il mercato che la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen ha affinato a due italiani che conoscono bene le condizioni dell’Europa e le sue prospettive, Mario Draghi ed Enrico Letta. Un orizzonte su cui, fuori dalle beghe politiche localistiche e provinciali, è necessario discutere a fondo.

(foto Getty Images)

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