Impresa felice, società contenta
L’impresa e l’imprenditore possono essere le figure ispiratrici di un “nuovo inizio”. A patto che siano “felici” cioè guidati da principi chiari e, soprattutto, attenti alla crescita del benessere sociale. L’idea può apparire provocatoria – e per certi versi lo è per davvero -, ma è da prendere con grande serietà. Perché l’immagine dell’impresa felice che dà forma ad un nuovo modello di società è certamente da esplorare. Per farlo è possibile leggere l’ultima fatica di Renata Borgato (della Facoltà di psicologia di Milano Bicocca oltre che formatrice aziendale).
“L’impresa felice. La responsabilità sociale come impulso alla crescita” – questo il tiolo del volume di poco meno di cento pagine -, cerca di mettere insieme alcuni concetti apparentemente distanti: l’impresa come macchina di produzione e profitto, la responsabilità sociale della stessa e il suo possibile ruolo di guida per – appunto -, la costruzione di un nuovo modello di convivenza.
“La percezione della gravità delle crisi attuali – dice Borgato -, permette di attendere un nuovo inizio. Occorre però individuare il soggetto adatto a guidare il processo di cambiamento, diventando quel punto di riferimento che i tradizionali attori sociali non sono più in grado di essere. Questo soggetto potrebbe essere individuato nell’impresa: non a caso il lavoro è sempre stato uno degli elementi strutturanti delle società”. L’impresa felice viene subito definita chiaramente. E’ quell’entità che fa parte di “un nucleo solido di aziende manifatturiere, agricole e terziarie che hanno riadattato le proprie strategie complessive e rappresentano un blocco solido di economia reale, contrapposto al disgregarsi dell’economia finanziaria”.
E’ su questa base che si dipana il testo che esplora, quindi, i legami fra l’impresa e il territorio, fra questa e l’etica dell’azione e ancora con le persone che la fanno vivere. Renata Borgato, quindi, tocca temi delicati come l’empatia che dovrebbe instaurarsi nell’organizzazione aziendale, la leadership, la comunicazione, la motivazione e la valutazione del personale, gli orari, il trattamento degli errori. Visto tutto questo, il volume passa ad esaminare i “sette vizi capitali” ma dal punto di vista aziendale: “superbia”, “avarizia” e “accidia” nella gestione e nei progetti, “invidia” e “ira” nell’organizzazione, “gola” e “lussuria” negli obiettivi da raggiungere. E’ cioè facile, per esempio, cadere in rapporti organizzativi in cui l’invidia prende il posto della collaborazione oppure scivolare in gestioni che fanno spazio a singoli egoismi o ancora alla pigrizia del lasciar fare senza cercare formule innovative di produzione e di amministrazione. Negli obiettivi da raggiungere, d’altra parte, l’impresa felice è altro da quella che si crea quando prevalgono sete di potere oppure di denaro. Chiude poi il volume un’annotazione di Luciano Pero che racconta – come contrapposte ai vizi capitali -, le quattro virtù cardinali “prudenza”, “giustizia”, “fortezza” e “temperanza”, cercandole, naturalmente, nel modello imprenditoriale che potrebbe dare un senso alla comunità. L’azienda felice, a ben vedere, nasce infatti dalla prudenza nella progettazione e nella gestione unita però alla forza e alla determinazione dell’imprenditore e dei suoi collaboratori che lavorano insieme per obiettivi giusti.
E’ bello l’esempio di impresa felice, che somma le virtù e annulla i vizi, che l’autrice pone quasi all’inizio del volume. Brunello Cucinelli – imprenditore tessile – per raccontare la sua impresa e l’interesse condiviso tra datore di lavoro, lavoratori e comunità, dice: “I profitti vengono ripartiti in quattro parti. La prima va all’azienda, per renderla forte, la seconda a me come imprenditore, la terza agli operai attraverso gli stipendi (che sono di circa il 20% più alti rispetto al contratto nazionale) e la quarta parte va ad abbellire l’umanità… cioè alla creazione di servizi, un teatro o un ospedale per esempio del quale gode l’intera comunità”.
L’impresa felice. La responsabilità sociale come impulso alla crescita
Renata Borgato
Franco Angeli, 2014
L’impresa e l’imprenditore possono essere le figure ispiratrici di un “nuovo inizio”. A patto che siano “felici” cioè guidati da principi chiari e, soprattutto, attenti alla crescita del benessere sociale. L’idea può apparire provocatoria – e per certi versi lo è per davvero -, ma è da prendere con grande serietà. Perché l’immagine dell’impresa felice che dà forma ad un nuovo modello di società è certamente da esplorare. Per farlo è possibile leggere l’ultima fatica di Renata Borgato (della Facoltà di psicologia di Milano Bicocca oltre che formatrice aziendale).
“L’impresa felice. La responsabilità sociale come impulso alla crescita” – questo il tiolo del volume di poco meno di cento pagine -, cerca di mettere insieme alcuni concetti apparentemente distanti: l’impresa come macchina di produzione e profitto, la responsabilità sociale della stessa e il suo possibile ruolo di guida per – appunto -, la costruzione di un nuovo modello di convivenza.
“La percezione della gravità delle crisi attuali – dice Borgato -, permette di attendere un nuovo inizio. Occorre però individuare il soggetto adatto a guidare il processo di cambiamento, diventando quel punto di riferimento che i tradizionali attori sociali non sono più in grado di essere. Questo soggetto potrebbe essere individuato nell’impresa: non a caso il lavoro è sempre stato uno degli elementi strutturanti delle società”. L’impresa felice viene subito definita chiaramente. E’ quell’entità che fa parte di “un nucleo solido di aziende manifatturiere, agricole e terziarie che hanno riadattato le proprie strategie complessive e rappresentano un blocco solido di economia reale, contrapposto al disgregarsi dell’economia finanziaria”.
E’ su questa base che si dipana il testo che esplora, quindi, i legami fra l’impresa e il territorio, fra questa e l’etica dell’azione e ancora con le persone che la fanno vivere. Renata Borgato, quindi, tocca temi delicati come l’empatia che dovrebbe instaurarsi nell’organizzazione aziendale, la leadership, la comunicazione, la motivazione e la valutazione del personale, gli orari, il trattamento degli errori. Visto tutto questo, il volume passa ad esaminare i “sette vizi capitali” ma dal punto di vista aziendale: “superbia”, “avarizia” e “accidia” nella gestione e nei progetti, “invidia” e “ira” nell’organizzazione, “gola” e “lussuria” negli obiettivi da raggiungere. E’ cioè facile, per esempio, cadere in rapporti organizzativi in cui l’invidia prende il posto della collaborazione oppure scivolare in gestioni che fanno spazio a singoli egoismi o ancora alla pigrizia del lasciar fare senza cercare formule innovative di produzione e di amministrazione. Negli obiettivi da raggiungere, d’altra parte, l’impresa felice è altro da quella che si crea quando prevalgono sete di potere oppure di denaro. Chiude poi il volume un’annotazione di Luciano Pero che racconta – come contrapposte ai vizi capitali -, le quattro virtù cardinali “prudenza”, “giustizia”, “fortezza” e “temperanza”, cercandole, naturalmente, nel modello imprenditoriale che potrebbe dare un senso alla comunità. L’azienda felice, a ben vedere, nasce infatti dalla prudenza nella progettazione e nella gestione unita però alla forza e alla determinazione dell’imprenditore e dei suoi collaboratori che lavorano insieme per obiettivi giusti.
E’ bello l’esempio di impresa felice, che somma le virtù e annulla i vizi, che l’autrice pone quasi all’inizio del volume. Brunello Cucinelli – imprenditore tessile – per raccontare la sua impresa e l’interesse condiviso tra datore di lavoro, lavoratori e comunità, dice: “I profitti vengono ripartiti in quattro parti. La prima va all’azienda, per renderla forte, la seconda a me come imprenditore, la terza agli operai attraverso gli stipendi (che sono di circa il 20% più alti rispetto al contratto nazionale) e la quarta parte va ad abbellire l’umanità… cioè alla creazione di servizi, un teatro o un ospedale per esempio del quale gode l’intera comunità”.
L’impresa felice. La responsabilità sociale come impulso alla crescita
Renata Borgato
Franco Angeli, 2014