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Imprese e Stato per innovare meglio e crescere di più

Conoscere l’ambiente in cui si agisce è fondamentale. Anche per l’impresa, il suo imprenditore, i manager che lavorano con lui. Anzi, senza un adeguato bagaglio di informazioni, aggiornato e critico, l’impresa e chi la conduce rischiano la fine precoce dell’attività e dell’avventura intraprese. Alla realizzazione di questo principio concorre bene e con autorevolezza “Doing capitalism in the innovation economy” di William H. Janeway appena tradotto in Italia con il titolo “Fare capitalismo nell’economia dell’innovazione”.

Il libro è di quelli che solo apparentemente si possono leggere in maniera distratta e frammentata. Non è un manuale di buona prassi gestionale, non è nemmeno la solita raccolta di ricette preconfezionate per tutti gli usi di management e gestione “innovativa”. Si tratta invece del racconto di una vita da economista “non teorico” e da grande attore nell’ambito di Wall Street.  Janeway, infatti, ha una solida preparazione economica che avrebbe potuto aprirgli la strada accademica e della ricerca, un cammino di fatto mai intrapreso perché sostituito da un altro nell’ambito della finanza e della Borsa.

Janeway, quindi, analizza prima l’apparato teorico dell’economia insegnata e lo mette a confronto con la realtà dei moderni sistemi di produzione e finanziari, inserendo, come protagonista, anche lo Stato visto come principale finanziatore delle ricerche che danno luogo a scoperte e invenzioni. Proprio lo Stato, quindi, ha per l’autore un ruolo fondamentale nell’economia dell’innovazione cioè quella che ha preso forma qualche anno fa e che, dal 2008, deve fare i conti con una delle più pesanti crisi del secolo. E sempre Janeway, poi, passa ad analizzare più da vicino quanto è accaduto negli ultimi anni. Rivalutando ancora il ruolo dell’intervento pubblico, quando, per esempio, agisce per preservare la continuità dell’economia in seguito allo scoppio di “bolle finanziarie” che – secondo l’autore -, sempre fanno seguito a scoperte scientifiche e innovazioni tecnologiche promettono di modificare radicalmente la vita delle persone, siano esse treni, computer o Internet. Il protagonista di tutto è il “gioco dei tre giocatori” (Stato, imprenditoria privata che promuove l’innovazione e il capitalismo finanziario), schema d’azione che riesce ad interpretare correttamente quanto accade.

Janeway, per meglio far capire il ragionamento non sempre semplice, racconta se’ stesso, interseca acuta analisi economica con numerosi esempi tratti dal suo lavoro a Wall Street. Scrive da scrittore e non da tecnico economico. Per questo “Fare capitalismo nell’economia dell’innovazione”, è una lettura da fare e rifare ragionandone le numerose sollecitazioni che contiene.

Fare capitalismo nell’economia dell’innovazione

William H. Janeway

Franco Angeli, 2015

Conoscere l’ambiente in cui si agisce è fondamentale. Anche per l’impresa, il suo imprenditore, i manager che lavorano con lui. Anzi, senza un adeguato bagaglio di informazioni, aggiornato e critico, l’impresa e chi la conduce rischiano la fine precoce dell’attività e dell’avventura intraprese. Alla realizzazione di questo principio concorre bene e con autorevolezza “Doing capitalism in the innovation economy” di William H. Janeway appena tradotto in Italia con il titolo “Fare capitalismo nell’economia dell’innovazione”.

Il libro è di quelli che solo apparentemente si possono leggere in maniera distratta e frammentata. Non è un manuale di buona prassi gestionale, non è nemmeno la solita raccolta di ricette preconfezionate per tutti gli usi di management e gestione “innovativa”. Si tratta invece del racconto di una vita da economista “non teorico” e da grande attore nell’ambito di Wall Street.  Janeway, infatti, ha una solida preparazione economica che avrebbe potuto aprirgli la strada accademica e della ricerca, un cammino di fatto mai intrapreso perché sostituito da un altro nell’ambito della finanza e della Borsa.

Janeway, quindi, analizza prima l’apparato teorico dell’economia insegnata e lo mette a confronto con la realtà dei moderni sistemi di produzione e finanziari, inserendo, come protagonista, anche lo Stato visto come principale finanziatore delle ricerche che danno luogo a scoperte e invenzioni. Proprio lo Stato, quindi, ha per l’autore un ruolo fondamentale nell’economia dell’innovazione cioè quella che ha preso forma qualche anno fa e che, dal 2008, deve fare i conti con una delle più pesanti crisi del secolo. E sempre Janeway, poi, passa ad analizzare più da vicino quanto è accaduto negli ultimi anni. Rivalutando ancora il ruolo dell’intervento pubblico, quando, per esempio, agisce per preservare la continuità dell’economia in seguito allo scoppio di “bolle finanziarie” che – secondo l’autore -, sempre fanno seguito a scoperte scientifiche e innovazioni tecnologiche promettono di modificare radicalmente la vita delle persone, siano esse treni, computer o Internet. Il protagonista di tutto è il “gioco dei tre giocatori” (Stato, imprenditoria privata che promuove l’innovazione e il capitalismo finanziario), schema d’azione che riesce ad interpretare correttamente quanto accade.

Janeway, per meglio far capire il ragionamento non sempre semplice, racconta se’ stesso, interseca acuta analisi economica con numerosi esempi tratti dal suo lavoro a Wall Street. Scrive da scrittore e non da tecnico economico. Per questo “Fare capitalismo nell’economia dell’innovazione”, è una lettura da fare e rifare ragionandone le numerose sollecitazioni che contiene.

Fare capitalismo nell’economia dell’innovazione

William H. Janeway

Franco Angeli, 2015

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