In difesa dell’impresa
Dagli Usa un libro che racconta perché l’impresa deve essere vista anche come un elemento positivo nella società
L’impresa non è buona e non è cattiva. E’ impresa e basta. Che può, tuttavia, avere notevoli aspetti positivi. Anche se viene gestita solo in base al profitto e a null’altro. Questione di strategie di gestione e, in fin dei conti, di donne e uomini alla guida. Guardare alle organizzazioni della produzione partendo da un approccio di questo genere, è certamente stimolante. Ed è cosa che va fatta. Anche se può condurre a traguardi che magari non sono quelli attesi.
E’ una lettura interessante quindi quella de “L’impresa eccezionale. Come il capitalismo migliora la nostra vita” scritto da Tyler Cowen professore alla George Mason University ed editorialista del New York Times. L’autore scrive con un linguaggio chiaro e accattivante “in difesa dell’impresa, per convincervi che essa merita più amore e meno odio”. Basato sull’analisi delle imprese americane, il testo ha l’obiettivo di far ragionare il lettore sfatando una serie di preconcetti (talvolta basati su dati reali e talvolta no), che minano la credibilità e il buon nome delle imprese (Usa, in particolare).
Chi legge, quindi, viene condotto a considerare temi come l’onestà delle organizzazioni della produzione, le remunerazioni degli amministratori delegati, il monopolio condotto dalle grandi imprese, il significato di Wall Street, le relazioni tra imprese e politica. L’impresa, è la tesi di Cowen, ad un esame attento, è “un affare migliore di quanto sembri: infatti l’impresa, quando opera al suo meglio, garantisce alle nostre vite più possibilità per perseguire obiettivi eroici e nobili, in quanto possiamo usare i prodotti dell’impresa per soddisfare i nostri desideri creativi e migliorare le nostre vite”. Cowen aiuta comunque a farsi un’idea più precisa della realtà. Anche se in alcuni passaggi desta più di una perplessità. Ma quanto scrive è certamente da meditare e da rammentare.
“Molti dei problemi legati all’impresa sono in realtà problemi legati a noi stessi, riflettono le imperfezioni che sono proprie, in modo quasi universale, della natura umana”, scrive per esempio Cowen. Condivisibile e stimolante è uno dei passaggi finali del libro che descrive secondo l’autore i termini essenziali della sua visione di impresa fatta da “un insieme di asset, assemblati a prezzi d’acquisti vantaggiosi”, ma anche da “un nesso di reputazione e norme esterne e interne”, oltre che essere “un vettore di responsabilità” e anche “un bandolo complesso di relazioni transazionalmente efficienti e di relazioni talvolta transazionalmente molto inefficienti”.
Libro chiaramente “di parte”, quello di Cowen ma da leggere tutto con attenzione. E magari rileggere dopo qualche tempo.
L’impresa eccezionale. Come il capitalismo migliora la nostra vita
Tyler Cowen
LUISS University Press, 2020
Dagli Usa un libro che racconta perché l’impresa deve essere vista anche come un elemento positivo nella società
L’impresa non è buona e non è cattiva. E’ impresa e basta. Che può, tuttavia, avere notevoli aspetti positivi. Anche se viene gestita solo in base al profitto e a null’altro. Questione di strategie di gestione e, in fin dei conti, di donne e uomini alla guida. Guardare alle organizzazioni della produzione partendo da un approccio di questo genere, è certamente stimolante. Ed è cosa che va fatta. Anche se può condurre a traguardi che magari non sono quelli attesi.
E’ una lettura interessante quindi quella de “L’impresa eccezionale. Come il capitalismo migliora la nostra vita” scritto da Tyler Cowen professore alla George Mason University ed editorialista del New York Times. L’autore scrive con un linguaggio chiaro e accattivante “in difesa dell’impresa, per convincervi che essa merita più amore e meno odio”. Basato sull’analisi delle imprese americane, il testo ha l’obiettivo di far ragionare il lettore sfatando una serie di preconcetti (talvolta basati su dati reali e talvolta no), che minano la credibilità e il buon nome delle imprese (Usa, in particolare).
Chi legge, quindi, viene condotto a considerare temi come l’onestà delle organizzazioni della produzione, le remunerazioni degli amministratori delegati, il monopolio condotto dalle grandi imprese, il significato di Wall Street, le relazioni tra imprese e politica. L’impresa, è la tesi di Cowen, ad un esame attento, è “un affare migliore di quanto sembri: infatti l’impresa, quando opera al suo meglio, garantisce alle nostre vite più possibilità per perseguire obiettivi eroici e nobili, in quanto possiamo usare i prodotti dell’impresa per soddisfare i nostri desideri creativi e migliorare le nostre vite”. Cowen aiuta comunque a farsi un’idea più precisa della realtà. Anche se in alcuni passaggi desta più di una perplessità. Ma quanto scrive è certamente da meditare e da rammentare.
“Molti dei problemi legati all’impresa sono in realtà problemi legati a noi stessi, riflettono le imperfezioni che sono proprie, in modo quasi universale, della natura umana”, scrive per esempio Cowen. Condivisibile e stimolante è uno dei passaggi finali del libro che descrive secondo l’autore i termini essenziali della sua visione di impresa fatta da “un insieme di asset, assemblati a prezzi d’acquisti vantaggiosi”, ma anche da “un nesso di reputazione e norme esterne e interne”, oltre che essere “un vettore di responsabilità” e anche “un bandolo complesso di relazioni transazionalmente efficienti e di relazioni talvolta transazionalmente molto inefficienti”.
Libro chiaramente “di parte”, quello di Cowen ma da leggere tutto con attenzione. E magari rileggere dopo qualche tempo.
L’impresa eccezionale. Come il capitalismo migliora la nostra vita
Tyler Cowen
LUISS University Press, 2020